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Cassa depositi e prestiti, cosa fanno gli omologhi europei

Il ruolo di Cdp, sempre più protagonista in questo periodo di crisi da pandemia, ripropone al centro del dibattito la questione dell’intervento pubblico nell’economia. Ma come funziona in Francia, Spagna e Germania? E quali le alternative?

Il Punto

La sanatoria per gli irregolari avrebbe dovuto colpire soprattutto il caporalato ma ne hanno usufruito principalmente colf e badanti. Il problema è che si continua a gestire il fenomeno con misure emergenziali. Anche per la digitalizzazione serve un piano organico: le infrastrutture ad altissima velocità di connessione non bastano. In Italia urge un’accelerazione per non perdere il treno dell’innovazione.
Dove si è registrato il maggior aumento della mortalità dall’inizio della pandemia? Nelle zone periferiche e nei contesti socio-economici più svantaggiati. Uno studio può aiutare a individuare le aree a rischio.

Nelle scorse settimane, come di consueto ad agosto, lavoce.info ha sospeso l’invio della newsletter ma abbiamo continuato ad aggiornare il sito con nuovi articoli. Parlando di: riforma dell’Irpef, tra esigenza di garantire l’equità e rischi legati a bonus e regimi speciali; di come il lockdown abbia sortito gli effetti sperati in termini di calo della mortalità e dei ricoveri in terapia intensiva; di scuola e università, con la doppia necessità di comprendere come la pandemia abbia cambiato l’esperienza degli studenti e di far sì che i corsi di formazione degli insegnanti continuino anche online; del ruolo delle fondazioni bancarie nella crescita del territorio; e di come si stanno comportando a livello di voti e presenze i parlamentari della legislatura in corso, a poche settimane dal referendum costituzionale.

“Un settore pubblico acceleratore di sviluppo”: lavoce.info ha lanciato un concorso di idee, aperto a tutti gli studenti universitari e di dottorato. Per presentare la propria proposta c’è tempo fino al 6 settembre e l’idea vincitrice sarà premiata nell’ambito del Festival dell’Economia di Trento. Tutte le info sul sito.

Spargete lavoce: 5 per mille a lavoce.info
Destinate e fate destinare il 5 per mille dell’Irpef a questo sito in quanto “associazione di promozione sociale”: Associazione La Voce, Via Bellezza 15 – 20136 Milano, codice fiscale 97320670157. Grazie!

Dalle fondazioni bancarie un sostegno ai territori

Favorendo lo sviluppo del capitale sociale, le erogazioni delle fondazioni bancarie hanno un ruolo preciso nel processo di crescita delle economie locali. E in un momento di grave crisi, aiutano a preservare il tessuto economico e sociale del paese.

Il Punto

La pandemia offre alle fondazioni bancarie l’occasione per concentrarsi sul loro compito fondamentale, il sostegno del sistema economico e sociale. Una simulazione con dati dettagliati ci dice che l’impatto del lockdown sui redditi delle famiglie è molto pesante. Diamo anche un po’ di numeri su come si distribuiscono i lavoratori, per età e genere, nei settori chiusi o aperti per la crisi sanitaria. E facciamo vedere quanto l’esposizione e la vulnerabilità al virus dipendano (e non dovrebbero!) anche dalle diseguaglianze sociali.
Si discute molto su come (Mes o eurobond) si debba finanziare la ricostruzione post-pandemia. Meno controverso è cosa la Ue – più che i singoli stati – debba finanziare, cioè la ricostruzione di capitale umano e sociale. Intanto è utile riflettere sui ritardi e reticenze della Cina nel rivelare il contagio che ha facilitato la diffusione di Covid-19.
Una certa confusione sui dati dei decessi da Covid-19 domina i media più o meno tradizionali. Vediamo perché le cifre ufficiali siano difficilmente confutabili. A patto di imparare a leggere i numeri correttamente. Mentre restano all’ordine del giorno produzione, distribuzione e uso di mascherine, prima difesa dal virus.

Andrea Boitani e Roberto Tamborini rispondono ai commenti dei lettori al loro articolo “Coronabond, titoli di cittadinanza europea”.

Continuano le puntate de lavoce in capitolo, il podcast de lavoce.info. Ci potete ascoltare ogni mercoledì su tutte le app per i podcast e sul nostro sito. Questa settimana: “La scuola in quarantena“, con Andrea Gavosto.

Se la valutazione si fa con i fichi secchi

Governo e fondazioni bancarie hanno costituito un “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”. L’accordo prevede la valutazione puntuale di andamento, risultati ed effetti delle attività intraprese. Una buona notizia. Peccato che per i valutatori non sia previsto alcun compenso.

Fondazioni bancarie troppo spesso “infallibili” sulle questioni sociali

Il dibattito che non c’è stato

A Tiziano Vecchiato [Nella lotta alla povertà un ruolo per le fondazioni bancarie] va riconosciuto il merito di avere attirato l’attenzione sulle fondazioni di origine bancaria al di fuori di questioni di nomine e di partecipazioni azionarie nelle banche. Sull’(in)opportunità di nomine e partecipazioni si è discusso ampiamente e ritornarvi toglierebbe solo spazio al tentativo di avviare un dibattito su una diversa questione: sulla base di cosa, attivando quali meccanismi e giudicando quali esiti, le fondazioni decidono di spendere le risorse loro affidate.
Il problema sociale sollevato da Vecchiato riguarda la possibilità di “attivare” gli adulti abili al lavoro e beneficiari di un futuro reddito minimo; ci troviamo in accordo con il fatto che questo sia un elemento essenziale nel disegno di una misura universale di contrasto alla povertà. Siamo meno d’accordo con l’altra tesi avanzata da Vecchiato, ossia che le fondazioni di origine bancaria siano adatte e pronte per un ruolo di leadership nell’innovazione sociale.
La questione di cosa le fondazioni fanno non è stata finora oggetto di grandi dibattiti pubblici, ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente. Potrebbero trovarsi presto a svolgere anche ruoli molto delicati – una sorta di Wolf Foundation – per provare soluzioni nuove ad alcuni dei più difficili da risolvere problemi sociali. Ad esempio, il recupero educativo dei minori inseriti nel circuito penale (per i quali la legge di stabilità 2016 prevede iniziative finanziate da un fondo alimentato dalle fondazioni). Oppure l’attivazione al lavoro degli adulti beneficiari di reddito minimo, un’idea abbracciata con entusiasmo da Vecchiato quando afferma che “(…) dove altri non sono riusciti, possono farcela le fondazioni di origine bancaria, perché in questi anni si sono misurate con l’innovazione, mettendo in relazione gli investimenti con i risultati, impegnandosi a valutare gli esiti e l’impatto sociale”.
Pur avendo stima per molto del lavoro svolto dalle fondazioni bancarie negli anni, temiamo che questo tipo di investitura in bianco, in un paese sempre alla ricerca di un qualche deus-ex-machina, possa trasformarsi in un boomerang. Soprattutto se si tiene presente che spesso si trascura un’importante considerazione sull’idoneità delle erogazioni delle fondazioni a incidere sui problemi sociali: un tipo particolare di avversione al rischio, che nel caso delle Fob si manifesta come ritrosia ad ammettere di aver finanziato progetti che si sono rivelati un insuccesso. Nei bilanci sociali o di missione delle fondazioni è difficile, se non impossibile, trovare riferimenti a “programmi che non hanno funzionato”, a “soluzioni promettenti poi rivelatesi inefficaci”. Sembra quasi che le fondazioni siano infallibili.
Peraltro, una forte avversione al rischio pare esistere nelle organizzazioni filantropiche un po’ dovunque, se dobbiamo credere alla netta presa di posizione di un gruppo internazionale di esperti riuniti nel 2011 dalla Rockfeller Foundation per discutere di Risk and Philanthropy. Dalle conclusioni del rapporto apprendiamo che: “I partecipanti all’incontro hanno insistito sul fatto che, per innovare, le organizzazioni filantropiche devono imparare ad accettare l’insuccesso e riconoscere che per ottenere un cambiamento su larga scala una parte delle risorse vadano sprecate. L’occasionale insuccesso deve essere considerato un costo ammissibile dell’innovazione”.
Il problema dell’avversione ad ammettere l’insuccesso è grave: è diffuso, trasversale a ogni tentativo di innovazione, sia scientifica sia sociale, e finisce per distorcere i comportamenti degli attori coinvolti. Gli uni pubblicano solo gli studi riguardanti interventi per i quali si hanno risultati positivi; gli altri spendono le risorse sui soggetti che danno maggiori garanzie di adottare un certo comportamento, anche al prezzo di mirare l’intervento dove c’è meno bisogno.

Il dibattito che dovrebbe esserci

Detto più semplicemente, non ci si può aspettare che le fondazioni sacrifichino tanto volentieri l’abitudine a fare sempre bella figura, in cambio di una sequela di probabili insuccessi. Riteniamo sia urgente un serio dibattito su se e come organizzazioni private con una forte vocazione pubblica, e con un ormai consolidato modus operandi, possano dare risposte rapide ed efficaci ai più difficili problemi sociali del paese. Se questo dibattito si avviasse, le fondazioni potrebbero anche tentare di perdere l’abitudine di documentare solamente quanto spendono per un certo problema o quanti sono i beneficiari, e provare invece a stimare per quanti beneficiari l’erogazione ha fatto la differenza e quanto è costata. Almeno provarci.

Nella lotta alla povertà un ruolo per le fondazioni bancarie

La lotta alla povertà è finalmente entrata nell’agenda politica. Ma fa ancora troppo affidamento sull’aiuto economico, certo utile nell’emergenza, ma non risolutivo. La capacità di innovazione sociale delle fondazioni bancarie per realizzare programmi efficaci perché pensati con i beneficiari.

Fermateli!

Le fondazioni bancarie, sorrette da politici locali senza scrupoli, stanno nuovamente ostacolando gli aumenti di capitale degli istituti nell’occhio del ciclone dopo l’Asset quality review. Sia a Siena sia a Genova, dopo aver già bruciato miliardi di patrimonio, sono disposte a prosciugare del tutto la dotazione della fondazione pur di non mollare la loro presa sulle banche conferitarie. Le fondazioni bancarie descritte in passato come le salvatrici del nostro sistema bancario sono così diventate il principale fattore di instabilità.
Se la Fondazione Monte Paschi avesse investito il suo patrimonio in un fondo diversificato, come si conviene a una fondazione, anziché usarlo per assicurarsi il controllo e il (pessimo) governo di Mps, oggi avremmo una banca sana in più e una ricca fondazione che poteva servire le esigenze sociali dei senesi per i secoli a venire. Abbiamo invece una banca al tracollo e una fondazione immiserita. Se Fondazione Carige avesse seguito le indicazioni della Legge Ciampi anziché concentrare il 90 per cento del proprio patrimonio in Banca Carige, se non si fosse indebitata pur di non scendere per molti anni sotto il 46 per cento del capitale dell’istituto, oggi avremmo una banca ben capitalizzata, aperta ad accogliere un management moderno anziché vertici imposti dalla fondazione, di stretta nomina politica. Invece, la fondazione si ostina a opporsi all’aumento di capitale richiesto dall’Eba mettendo a rischio la sopravvivenza dell’istituto.
Come più volte argomentato su questo sito, l’uscita delle fondazioni dal capitale delle banche è desiderabile sia dal punto di vista del buon funzionamento delle banche che da quello della sopravvivenza delle fondazioni. Come scriveva Adam Smith, quando l’amministratore di una società ne esercita il controllo senza metterci soldi propri, lo farà “ma senza la stessa ansiosa vigilanza che userebbe se in gioco ci fossero i suoi soldi”.  È quello che è accaduto a Mps e a Carige ed è ciò che ha travolto banche e fondazioni nei due casi.
Ci sono molte altre realtà a rischio. Se si vuole evitarlo, la politica che oggi controlla fino al 75 per cento dei consigli delle fondazioni, deve fermare quest’azione suicida. Il buon esempio non può che venire dall’alto. Basterebbe che Renzi, che si è impegnato a combattere i poteri forti, impegnasse il suo partito a far uscire le fondazioni dalle banche liquidando le partecipazioni nelle banche conferitarie. Chieda ai membri del suo partito che occupano posizioni di rilievo nelle fondazioni di procedere in tal senso. E lo faccia presto.

Tutte le debolezze delle banche italiane

Non c’è solo il deficit di capitale di alcuni istituti, evidenziato dallo stress test. I nodi del sistema bancario italiano non sono mai stati affrontati in modo adeguato e ora la scarsa profittabilità e la crescita delle sofferenze pesano sul credito. Consolidamento e ruolo delle fondazioni.

Mediobanca e le fondazioni

Gentili Signori,
Vi ringrazio per l’articolo apparso su lavoce.info, contenente il Vostro commento sul secondo rapporto stilato da Mediobanca Securities sulle Fondazioni bancarie, e mi rallegra registrare ancora una volta la concordanza di opinioni tra Voi e me sulla delicata questione.
Il fatto che un documento autorevole e redatto attraverso un’accurata analisi dei più recenti dati di bilancio abbia ribadito lo stato disastroso delle Fondazioni ex bancarie e del modello ormai non più proponibile Fondazione/Banca, ed abbia stigmatizzato la pervicace mancanza di volontà, testimoniata dai fatti accaduti negli ultimi due anni, di non diversificare adeguatamente l’investimento del patrimonio, per rimanere fedeli alla concentrazione nell’asset bancario, che si sta rilevando dannoso, mi conforta nei convincimenti e nei principi che vado sostenendo da molto tempo, e che ho fatto divenire concreta realtà all’interno della Fondazione Roma, la prima e per il momento l’unica ad aver dato piena attuazione alle leggi “Amato” e “Ciampi”, trovando finalmente crescenti riconoscimenti presso la stampa specializzata.Inoltre, nel Vostro articolo ho apprezzato, in particolare, i giusti dubbi da Voi sollevati sulle osservazioni critiche rivolte a chi ha scompostamente attaccato gli autori del citato ultimo rapporto di Mediobanca Securities.
Nel rinnovarVi la mia stima per le sempre acute riflessioni che dedicate al tema delle Fondazioni di origine bancaria, seppur non sempre tutte da me condivise, e con l’auspicio che vogliate mantenere l’autonomia e l’imparzialità di valutazione che finora hanno contraddistinto i Vostri interventi, mi è gradita l’occasione per inviarVi cordiali saluti.

Emmanuele Francesco Maria Emanuele

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