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Post-Brexit: regna l’incertezza

Dopo l’uscita del Regno Unito dalla Ue, si apre un periodo di grande incertezza, che coinvolge tutti i protagonisti del voto e tutti i paesi dell’Unione Europea. Su un solo punto sembra esserci quasi totale unanimità di vedute: i danni causati dal referendum saranno profondi e di lungo periodo.

Il Punto

Lo “scudo” di 150 miliardi per le banche italiane servirà a poco. Si tratta di garanzie statali per l’emissione di nuove obbligazioni. Bisognerebbe invece svalutare i crediti in sofferenza per poi ricapitalizzare con contributo pubblico. Il che va bene per la Ue solo se alcune nostre banche escono male dagli stress test.
La politica post-Brexit nel Regno Unito è in confusione su tutti i fronti politici. Una cosa appare chiara a tutti: Bruxelles non concederà a Londra di scegliersi un’Europa à la carte. I principi di libertà di movimento di merci, servizi, capitali, e lavoro sono inscindibili. Tra i danni della Brexit, anche un probabile raffreddamento dei rapporti della Gran Bretagna con i cinesi. Preoccupati dalla volatilità dei cambi e dalla perdita di un alleato per il riconoscimento dello status di economia di mercato.
Se il nuovo Senato uscirà indenne dal referendum costituzionale d’autunno, risulterà svecchiato. Perché l’età minima per accedervi passerà da 40 a 18 anni. Inoltre sarà votato indirettamente da elettori più giovani. Il che – sulla carta – beneficerà il M5s, mentre il partito più penalizzato sarà il Pd.
Mentre il governo sta studiando una riorganizzazione di Agenzia delle entrate e di Equitalia, i nuovi compiti assegnati al fisco dalla mini-riforma avranno indubbiamente dei costi. Proprio quando è alle viste un taglio dell’Ires al 24 per cento. Come far stare insieme queste esigenze contrapposte?
Nelle recenti crisi bancarie i risparmiatori italiani sono stati scottati dal deficit di vigilanza sostanziale delle autorità ma anche dalla propria scarsa educazione finanziaria. Una ricerca dice che chi ne ha di meno, si rivolge meno ai consulenti finanziari. Chi ne ha di più spesso sbaglia per eccessiva fiducia in se stesso.

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La Brexit vista da Pechino

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea preoccupa la Cina. Le prime conseguenze vanno dalla volatilità dei cambi alla perdita di un alleato per il riconoscimento dello status di economia di mercato. E si complicano le prospettive economiche del paese alle prese con una delicata transizione.

Il senso della vita che divide il “leave” dal “remain”*

Nessuna rivincita degli emarginati sui privilegiati: la Brexit non si spiega con un conflitto di classe, ma con un conflitto di valori. Che corre lungo la contrapposizione autoritarismo-libertarismo. Ma non bisogna essere troppo pessimisti: tra Regno Unito e Unione Europea sarà divorzio a metà.

Il Punto

Si è detto che gli elettori pro e contro Brexit si differenziano per età, istruzione e territorio. A ben guardare però la discriminante più profonda è tra chi ha valori ostili all’inclusione e chi ha una concezione del mondo libertaria. I primi, i sostenitori del “Leave”, somigliano molto ai supporter americani di Trump. Proprio la Brexit sembra l’aggancio per costituire un governo in Spagna. Dove le recenti elezioni hanno confermato la frammentazione in partiti che non vogliono né possono allearsi. Eppure se popolari e socialisti si accordano sulla gestione dei drammatici problemi europei, una “grosse koalition” è possibile. In Italia, nelle animate discussioni sul referendum che potrebbe sancire la fine del bicameralismo perfetto si è parlato poco di come cambierebbe il potere d’influenza delle lobby. Che, con procedure legislative più spedite, avrebbero meno possibilità di insabbiare i provvedimenti.
Con il decreto banche appena diventato legge si mette una pezza tardiva alle perdite degli obbligazionisti delle quattro banche “salvate” a fine 2015. Un’autorità a difesa dei risparmiatori – separata dai controllori Consob e Bankitalia – potrebbe evitare il ripetersi di questi episodi.
Ce lo ricorda spesso la Commissione europea: siamo il paese che negli ultimi due anni ha più beneficiato della flessibilità nei conti pubblici. Ma quanto durerà il trattamento di favore? E ne stiamo facendo buon uso?
Con la voluntary disclosure di quasi 130 mila contribuenti italiani, le attività mobiliari e immobiliari riemerse e domiciliate all’estero possono essere rintracciate nel database dei beni pignorabili. E diventa più facile la rivalsa per il creditore con un titolo esecutivo.
All’Ocse li chiamano studenti resilienti. Sono quel 6,4 per cento di alunni che superano situazioni socio-economiche di svantaggio ottenendo buoni risultati scolastici. Ce ne sono meno nel Mezzogiorno dove la sfida è più difficile. Mettere più soldi per aumentare il numero di questi ragazzi è un buon uso del denaro pubblico.

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“Independence day”, ma per chi?

Scozia, Irlanda del Nord e città di Londra chiedono l’indipendenza dal Regno Unito per rimanere nell’Unione Europea. In base ai Trattati Ue, solo la prima può farcela, perché è una nazione con una identità culturale, geografica e storica ben definita. Ma si possono immaginare anche altre soluzioni.

Lezione inglese sul voto dei giovani

Il voto degli elettori più anziani è stato determinante per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Ma a sopportarne le conseguenze saranno soprattutto i giovani, che in prevalenza volevano rimanere nella Ue. Come dare più peso al voto delle giovani generazioni e il problema dell’astensione.

Il Punto

Mentre nell’ingovernabile Spagna torna il “voto utile” e vanno in soffitta le aspirazioni di governo di Podemos, la slavina Brexit produce i suoi effetti. In Gran Bretagna – dove scozzesi, nordirlandesi e londinesi hanno per lo più scelto il Remain – incombe lo spettro del Regno Disunito. Ma l’opzione di rimanere nella Ue è giuridicamente possibile solo per la Scozia. Il referendum inglese ha anche diviso le generazioni. I giovani che hanno votato volevano restare in Europa. Ma più del 50 per cento di quelli sotto i 25 anni sono rimasti a casa. In campo economico, l’aumento delle barriere al commercio internazionale potrebbe costare alle famiglie britanniche tra 850 e 1.700 sterline all’anno. Ed è incerto il futuro della piazza finanziaria di Londra poiché gli operatori con base sulle rive del Tamigi perderanno l’accesso al mercato comunitario. E così Cameron auspica per il suo paese un’Europa à la carte che Bruxelles vede come il fumo negli occhi.
Intanto, visti i tempi eccezionali, tanti chiedono alla Bce una politica monetaria non convenzionale al cubo: distribuire denaro ai cittadini (“helicopter money”). Sostituendo, di fatto, i governi in un’azione di politica fiscale. Meglio valutare prima le possibili conseguenze. Chi certo non innaffia di soldi la clientela sono le banche che piazzano i fondi d’investimento. E anzi si inventano modi per mungere i risparmiatori sotto forma di occulte commissioni di collocamento incassate giorno per giorno per un totale pari a un terzo dei loro utili.
Contribuiscono alla deflazione i salari in diminuzione (-0,7 per cento, -1,4 nella sola industria, primo trimestre 2016 su 2015). Difficile aumentarli quando la produttività ristagna. Se non riducendo il cuneo fiscale.

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Dalla Brexit un conto salato per il commercio britannico

Dopo quarantatré anni, il Regno Unito esce dall’Unione Europea. I possibili scenari prevedono un aumento delle barriere al commercio internazionale del paese. L’uscita dal mercato unico costerebbe alle famiglie britanniche tra le 850 e le 1.700 sterline l’anno. E si tratta di stime prudenti.

Mercati finanziari, un futuro meno londinese e più europeo

La Brexit avrà conseguenze sul settore finanziario. A cominciare dalla perdita del “passaporto europeo” per gli operatori inglesi. Ma soprattutto il Regno Unito non avrà più la capacità di plasmare le strutture portanti delle normative, dando più valore alle tradizioni giuridiche europee.

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