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Il Punto

Vantaggi incerti e svantaggi certi dall’operazione Tfr in busta paga. Ma per capirli e per compiere scelte consapevoli ci vuole più educazione finanziaria e i lavoratori devono avere tutte le informazioni sul loro futuro pensionistico. Non più rinviabile la spedizione da parte dell’Inps della “busta arancione”. Il ministro Poletti si era impegnato a mandarla entro luglio.
Dove è meglio indirizzare gli investimenti massicci previsti da “la buona scuola” del Governo Renzi? Sull’istruzione dell’obbligo o sull’università? Chi patisce il maggiore divario di risorse rispetto agli altri paesi è il sistema accademico.
Nell’attuale testo della legge di Stabilità il Fondo per i non autosufficienti viene finanziato con 250 milioni, 100 in meno dell’anno scorso (cifra già bassa). E siamo ampiamente sotto la media europea per il sostegno a questi cittadini fortemente svantaggiati. Bene porre rimedio a questo grave errore.
Ci vorranno quasi cent’anni -se si continua così- per arrivare alla parità donne-uomini a livello globale. Il nostro paese è tra quelli più indietro: più potere femminile in politica ma la situazione è peggiorata nell’economia, nelle retribuzioni e nell’istruzione.
Insediandosi a capo della Commissione europea, Juncker ha proposto un piano da 300 miliardi di euro (prevalentemente pubblici) in investimenti infrastrutturali. Che farebbero da traino a crescita del Pil e ad altri investimenti privati. Ma sono soldi veri
Bassa capitalizzazione di alcune banche -come denunciato dagli stress test della Bce– ma anche scarsa profittabilità, relazioni pericolose con il debito sovrano del paese, crescita dei crediti in sofferenza: sono le palle al piede del sistema bancario italiano. Che ha bisogno di un urgente processo di consolidamento. Frenato, però, dall’insana ragnatela degli assetti proprietari per buona parte dominati dalle fondazioni.

Il Punto

Gli stress test della Bce hanno indicato alcune nostre banche come le peggiori europee in termini di capitalizzazione. Banca d’Italia ha alimentato il sospetto che il metodo di valutazione abbia sfavorito gli istituti italiani. Bene che chiarisca cosa andava fatto e perché non è stato fatto nell’ambito di procedure concordate. Se non altro per dare credibilità ai test di Francoforte, non certo per riabilitare Montepaschi e Carige, vittime anzitutto delle fondazioni che le controllano.
Le sorprese della manovra” con i numeri della legge di Stabilità in versione aggiornata dopo le ultime correzioni apportate con lo scambio di lettere tra Katainen e Padoan.
È diffusa l’idea che il bonus da 80 euro non si traduca in consumi. In realtà manca una seria analisi sulla destinazione di quel denaro. Vediamo come potrebbe essere fatta. L’Istat ha i dati per compiere queste analisi. Altrimenti li renda disponibili a chi vuole svolgere queste indagini. Perché se l’effetto si confermasse minuscolo, l’intera manovra, anche se finanziata in parte in disavanzo, può avere effetti recessivi a causa dei tagli di spesa. E quanto può stimolare l’economia (consumi, domanda aggregata e occupazione) il Tfr in busta paga? Se tra il 4 e il 16 per cento dei dipendenti del settore privato deciderà di spenderlo, il Pil potrà aumentare tra lo 0,05 e lo 0,22 per cento. Ma a chi conviene e a chi no la scelta di prendere “pochi, maledetti e subito” i soldi accantonati? Ecco delle simulazioni sulla base di diverse tipologie di lavoratori per verificare cosa gliene viene in tasca nell’immediato e a fine carriera se decidono o meno per il Tfr in busta paga.
I nuovi obiettivi su clima ed energia per il 2030 approvati dal Consiglio europeo prevedono target non molto ambiziosi. La ricerca di un voto unanime ha prodotto un compromesso al ribasso in cui sono prevalsi gli interessi nazionali sulla necessità di un’azione decisa di contrasto al riscaldamento globale.
Altissimo il numero degli studenti italiani che abbandonano l’università o che arrivano alla laurea con grande ritardo. Perché il successo accademico dipende non solo dalle capacità cognitive delle persone ma anche molto da motivazione, pazienza, determinazione. E il nostro sistema accademico non dà sostegno.
Renzo Costi e Francesco Vella replicano all’intervento di Salvatore Bragantini “Chi investe nelle Pmi se l’Opa è ‘à la carte’?
Un commento di Guido Fabiani, assessore allo Sviluppo economico della Regione Lazio, all’articolo “I sussidi alle imprese: troppi e fuori controllo” di Roberto Perotti e Filippo Teoldi

La politica industriale targata Lazio

Gentili Roberto Perotti e Filippo Teoldi, intervengo in risposta al vostro articolo del 18/9/2014 “I sussidi alle imprese: troppi, e fuori controllo”, scusandomi innanzitutto per il ritardo, con l’intento di portare un mio personale e schematico contributo all’approfondimento della questione sia in termini generali che specifici:

  1. La politica economica del Paese ha tutto da guadagnare da un dibattito informato sugli incentivi alle imprese, soprattutto in prossimità dell’avvio della programmazione dei fondi strutturali europei per il periodo 2014-2020. Abbiamo quanto mai bisogno di analisi approfondite e propositive, necessarie a costruire razionalmente politiche favorevoli alla crescita, senza cedere al facile clamore giornalistico. Per fortuna negli ultimi tempi si può notare una seria ripresa della riflessione sulle politiche industriali. E questo sicuramente ci aiuta nella programmazione 2014-20 dei fondi europei. A questo riguardo bisogna sottolineare che, in mancanza di una strategia centrale per l’innovazione e lo sviluppo industriale, a livello regionale si è potuto lavorare solo sulla base di un Accordo di Partenariato: uno smisurato menù di azioni, cui la Regione Lazio ha aderito in misura moderata, selezionando un numero limitato di azioni.
  2. Riferendovi al Lazio, vi soffermate sull’insieme degli interventi attivati nel decennio trascorso per quanto riguarda le politiche industriali, con il giusto intento di trarne suggerimenti utili a cambiarne il verso per il futuro. Bene. Ma allora sarebbe opportuno invitarvi a considerare alcuni aspetti specifici della situazione del Lazio. In questa regione nell’arco di cinque anni c’è stato il succedersi traumatico di ben tre amministrazioni. Questo ha reso difficile il compito di chi, arrivato nel marzo 2013, volendo cambiare passo, ha dovuto riaccendere i motori di una macchina arrugginita da mesi (se non da anni). Partendo da una situazione disastrosa – con una montagna di debiti pregressi e in una fase di crisi, con tagli e riduzione delle risorse pubbliche – si è dovuto provare a impostare una politica economica e una programmazione della spesa in grado, da un lato, di rispondere alla crescente emergenza produttiva e occupazionale e, dall’altro, di sostenere la crescita della competitività dell’economia laziale nel medio-lungo periodo. Con questi obiettivi si è avviato un sistema integrato di interventi (credito, startup, internazionalizzazione, innovazione, trasferimento tecnologico, ecc…) procedendo anche alla rimodulazione e accelerazione della spesa dei fondi europei 2007-2013.
  3. Anch’io (come mi pare sosteniate nella parte conclusiva del vostro intervento), penso che l’annosa diatriba tra piccoli incentivi a pioggia e incentivi concentrati su grandi progetti non aiuti ad affrontare l’argomento. A mio avviso, senza riguardo alle dimensioni, potrebbe essere utile ricorrere alla categoria degli incentivi mirati (piuttosto che generici) impegnandoci ad applicare ad essi un esercizio poco praticato in Italia, quello della valutazione (al quale in Regione stiamo lavorando per introdurlo nel modo più efficace e trasparente). Nel frattempo, nella valutazione degli incentivi, e quindi dei bandi relativi, non credo si possa evitare di considerare le caratteristiche economico-sociali e strutturali del territorio di riferimento. Il Lazio si colloca come seconda regione nella partecipazione alla formazione del pil nazionale. Presenta una struttura economica largamente fondata sulle pmi (oltre 500mila unità). Il settore industriale contribuisce per meno del 10% al pil regionale. C’è una significativa e riconosciuta presenza di imprese multinazionali nel settore dell’aerospazio e del farmaceutico, con eccellenze straordinarie anche di piccola e media dimensione che si pongono sulla frontiera tecnologica. In regione sono attive diverse strutture di formazione e ricerca di alto livello. A tutto ciò si associa un vasto settore della PA, del commercio, dei servizi, dell’artigianato. Da un anno e mezzo tentiamo di mettere a sistema questa complessa realtà, contaminando chi già partecipa isolatamente alla competizione globale con chi appare quantomeno intimorito se non impigrito. Sul piano della politica dell’Assessorato allo Sviluppo (mentre il Bilancio procedeva efficacemente ad avviare il processo di restituzione dei debiti) gli interventi sono stati diretti a: i) un accorpamento dei soggetti operativi regionali (una sola agenzia, invece di cinque); ii) una riorganizzazione degli strumenti per il credito; iii) un recupero di oltre 450 milioni di fondi europei della programmazione 2007-13; iiii) l’impostazione della programmazione dei fondi EU 2014-20 dando una decisa priorità all’innovazione e al trasferimento tecnologico, alla diffusione della banda larga su tutto il territorio, all’internazionalizzazione, alla crescita dimensionale, alla costituzione di reti d’impresa, alla valorizzazione delle start-up. Tutti interventi che – con una significativa partecipazione dei soggetti interessati – stanno cominciando a penetrare nel tessuto produttivo della regione.
  4. Per quanto riguarda il lungo elenco di programmi da voi richiamati, potrei rispondere in dettaglio solo su quelli partiti dopo aprile 2013, non sui precedenti, ma non credo sia il caso di annoiare i lettori con dettagli tecnici. Mi dichiaro comunque disponibile, con i miei collaboratori, a un approfondito confronto critico sulle singole iniziative. Mi sembra, però, necessario produrre solo alcuni esempi di come ci stiamo comportando per incoraggiare le imprese a investire e innovare:
  •  In presenza di una industria audiovisiva, importante per il Lazio, che non investe più in prototipi ed innovazione, nell’ambito dei “creativi digitali” abbiamo pensato di finanziare piccoli progetti, proponendo un bando “mirato”, denominato Progetto 0, dotato di 400.000 € per finanziare 10 progetti (dov’è la pioggia?). Funziona così: da un lato si selezionano giovani autori che abbiano una buona idea per una produzione di serie, dall’altro lato s’individuano le case di produzione, PMI disponibili a produrre almeno la cosiddetta puntata 0, ed infine, considerando che i giovani possono mancare di esperienza, si sceglie un insieme di registi ed esperti che li affianchino nelle procedure necessarie. I giovani stanno ora scegliendo i tutor e le case di produzione. Seguono la stessa filosofia gli avvisi pubblici app on e new book, iniziative di entità finanziaria modesta (2 milioni il primo e 0,8 milioni il secondo) con un contributo per progetto fissato a un massimo di 40.000€. In questo modo riteniamo che si faciliti l’incontro tra l’entusiasmo dei giovani talenti con le competenze e con l’esperienza delle PMI le quali, in un perdurante momento di crisi, non hanno la forza finanziaria per assumere tutti i rischi associati all’innovazione.
  •  Ugualmente, a seguito di un confronto con una commissione di esperti istituita ad hoc, con gli imprenditori e i giovani startupper, e sulla base di un po’ di letteratura che capita anche a noi leggere, abbiamo dedicato una parte dei bandi in corso e una quota importante delle risorse del Quadro Strategico 2014-2020 alla creazione di un ecosistema che agevoli, stimoli e supporti la nascita e la crescita delle startup intese come nuove imprese innovative. Mi riferisco allo sviluppo degli incubatori d’impresa, all’elaborazione dei nuovi programmi di accelerazione, ai partenariati in itinere con investitori istituzionali e business angels per garantire exit importanti; alla creazione di spazi di contaminazione tra giovani talenti e imprese già avviate, ai coworking e ai fab- lab. Stiamo per pubblicare un nuovo Avviso per le startup innovative concordato con il MISE per mettere in pratica quel coordinamento tra politiche nazionali e regionali tanto invocato quanto poco praticato, che anche esso prevede dei contributi di modesta entità (30.000€ per impresa). In questo caso l’aspetto fondamentale è che il contributo sarà condizionato dalla capacità della startup di trovare un uguale ammontare di finanziamenti a rischio di natura privata. L’obiettivo non è certo quello di individuare la prossima Google, ma piuttosto di rafforzare e sviluppare il sistema locale degli operatori e degli investitori privati che affrontano il mercato del seed capital professionalmente. Interventi di maggiore spessore unitario, programmati con le risorse 2014-2020, saranno più aperti a mercati di dimensioni nazionali o internazionali.
  • Per quanto riguarda gli interventi più generali e di maggiori dimensioni (e ce ne sono!), mi piace soprattutto ricordare che nella Regione Lazio l’accesso diretto al Fondo Centrale di Garanzia da parte delle banche era, fino a tutto il 2013, riservato solo ai garanti. In questo modo si privilegiavano alcuni operatori di mercato e due partecipate regionali (nel frattempo chiuse), ma soprattutto si riduceva l’accesso alle garanzie dello Stato da parte delle imprese. Per effetto della “liberalizzazione” da noi prodotta impegnando 30 milioni, i nuovi finanziamenti garantiti dal Fondo Centrale di Garanzia per le imprese del Lazio sono ammontati a 438 milioni solo dal 1 gennaio al 31 luglio 2014 – erano 376 milioni in tutto il 2013.

Una considerazione finale. Nel vostro intervento ironizzate su una mia dichiarazione troppo entusiasta chiedendovi “come è possibile sorprendersi per il successo di un bando che regala soldi pubblici?”. Nella preparazione e nella gestione dei bandi che abbiamo presentato negli ultimi mesi, ci sono stati molta fatica, molto impegno e molta competenza delle strutture. Ma c’è stato soprattutto molto ascolto dei soggetti potenzialmente interessati, perché siamo convinti di dover dare il massimo di attenzione alle condizioni strutturali di difficoltà che vivono oggi le aziende, per sostenerle ad affrontare i necessari cambiamenti. Abbiamo privilegiato gli interventi sussidiari al mercato e riservato il “fondo perduto” alle iniziative più rischiose o ai soggetti più deboli, in linea con le raccomandazioni europee (“from grants to loans”), evitando logiche puramente assistenziali. So bene che ricevere le richieste dalle imprese è una cosa, e che erogare effettivamente le risorse pubbliche è tutt’altro. Se solo in un’ora dall’attivazione del bando arriva una richiesta pari al doppio delle disponibilità vuol dire che si è almeno centrata un’esigenza e si sono previste modalità di accesso semplici: abbastanza per dichiararmi soddisfatto del lavoro svolto, ma perfettamente consapevole che il percorso non è affatto compiuto. E’ sull’intero processo e sulla sua efficacia in termini di risultati che dobbiamo riflettere per migliorare la capacità di dare risposte alle reali esigenze di cambiamento del sistema produttivo. Noi stiamo provando, probabilmente con limiti ed errori, ad avviare con risorse limitate una politica industriale che superi l’idea dell’utilizzo dei fondi come generici ammortizzatori sociali, e quindi con bandi a maglie larghe, per inserirli, invece, in un contesto di interventi utili a una riorganizzazione del sistema Lazio, sollecitando tutte le risorse presenti e cercando di incentivare i settori trainanti che possano intercettare anche le aree internazionali più dinamiche. Altri, nel passato, hanno utilizzato i fondi disponibili con logiche diverse, a volte con risultati di cui le cronache ci hanno anche raccontato. Con le opportune distinzioni, senza personalismi e facili polemiche giornalistiche, ci dichiariamo pronti a discutere e confrontarci con senso di responsabilità sul nostro operato.
Guido Fabiani – assessore allo Sviluppo economico Regione Lazio

Soglie Opa e trasparenza

Grazie a Salvatore Bragantini per le osservazioni che consentono di approfondire e sviluppare le ragioni della nostra proposta.
Prima però alcuni rapidi chiarimenti sul quadro regolamentare. Innanzitutto per le imprese “grandi” il superamento del 25 per cento non comporta l’obbligo di lanciare l’Opa se un altro azionista ha il 25,1 per cento e non necessariamente, come sostiene Bragantini , il 30 per cento. La direttiva comunitaria non impone una soglia fissata dalla legge, ma consente anche allo statuto di determinarla, così come, e rinviamo al nostro articolo, già oggi per tutte le società, la disciplina vigente prevede ampi rinvii allo statuto.
In altri termini, chiunque voglia lanciare un Opa in Italia comunque lo statuto  se lo deve guardare e non ci sembra che leggere una clausola in più rappresenti un insormontabile costo, capace di terrorizzare nuovi investitori. Nelle ipotesi, comunque,  che il potenziale investitore riesca a fare il biblico sforzo,  conoscerà con precisione lo scenario che lo aspetta e non sarà esposto agli inconvenienti finora riscontrarti nella rigidità della soglia fissata per legge e , forse, il mercato  funzionerà meglio. Può darsi che questo significhi “vezzeggiare” le Pmi, ma se il problema, come giustamente dice Bragantini, è quello della crescita dimensionale, vogliamo cercare tutte le possibili strade che realisticamente possano aiutare a raggiungere questo obiettivo, oppure continuiamo a tenerci regole che non sono state capaci finora di favorire la  fuoriuscita dal “ghetto dimensionale”? Ci fa più comodo un’impresa piccola e familiare che se ne sta ai margini del mercato, oppure un’impresa sempre piccola e sempre familiare, ma  meno spaventata  perché lei stessa può decidere le modalità di accesso alla quotazione e che si apre alla raccolta di risorse esterne e al vaglio di investitori e analisti? La trasparenza e  il mercato guadagnano di più con la prima o con la seconda tipologia di impresa?
E poi, tranquillizziamo Bragantini, se una Pmi quotata supera le soglie dimensionali non dovrà nuovamente cambiare lo statuto, semplicemente le si applicheranno le regole che valgono per tutte le altre società e gli investitori non saranno costretti a trascorrere le loro serate rileggendosi gli statuti.

Il Punto

Finalmente abbiamo un testo e i numeri della legge di Stabilità. Rispetto alle variopinte slides renziane, parecchie sorprese. A partire dal disavanzo aggiuntivo, appena sopra 7 miliardi anziché 11 miliardi. La decontribuzione per i nuovi assunti, poi, ci sarà soltanto per il 2015. Altra sorpresa: le entrate arrivano a 10 miliardi grazie alla previsione di 2,5 miliardi in arrivo dalla tassazione del Tfr in busta paga. Infine, i comuni, a differenza di Regioni e Province, hanno un saldo solo leggermente negativo con lo sblocco di 3,3 miliardi del Patto di stabilità interno.
Meglio investire sui nidi per l’infanzia -che sono frequentati solo dal 17 per cento dei bambini- piuttosto che distribuire sussidi come il bonus bebè. Per molti buoni motivi. Spiegati in un nuovo Dossier sul tema.
Demandare allo statuto delle piccole-medie imprese quotate la fissazione delle soglie dell’Opa obbligatoria -come stabilito nel decreto “Competitività”- ha varie controindicazioni. Prima fra tutte: ve li immaginate gli investitori stranieri che setacciano gli statuti per capire dove conviene investire?
Va nella direzione giusta il decreto sulla giustizia civile che vuole diffondere forme alternative di risoluzione delle controversie come mediazione e arbitrato. Improbabili, però, gli effetti positivi nell’alleggerire i tribunali perché mancano incentivi e stimoli a ricorrere a questi istituti.
Stiamo per fare enormi regali alle concessionarie autostradali con le proroghe fino a oltre il 2043 previste dal decreto “Sblocca Italia” su cui si chiede il voto di fiducia. Nella pressoché totale indifferenza di opinione pubblica e Parlamento. Sarebbe il caso di fare una seria analisi costi-benefici e di sentire il parere degli utenti.

Meglio più nidi che bonus bebè

Il bonus bebè di 80 euro previsto dalla legge di Stabilità serve davvero a rafforzare le politiche per la famiglia? Un investimento sui nidi pubblici avrebbe effetti maggiori dei sussidi monetari. Bene che l’Italia segua l’esempio degli altri paesi europei.

Relazione tecnica 2015

Il Punto

Dove troveranno le regioni i 4 miliardi da tagliare previsti dalla legge di stabilità? Il grosso della loro spesa è nella sanità, in cui si annidano quasi 24 miliardi di sprechi e di mazzette. L’unica componente di spesa pubblica dove non ci sono stati tagli negli ultimi anni. Anche nei trasporti locali c’è spazio per realizzare risparmi significativi. Perché molti servizi sono sovradimensionati, i nostri costi sono tra i più alti d’Europa e le tariffe tra le più basse. Qui ci vuole una riorganizzazione complessiva del sistema. Passando sopra a clientele elettorali e interessi particolari.
Mezzo miliardo di euro per il bonus bebè alle famiglie con nuovi nati. Se sarà -come annunciato in tv- una misura universale, andrà in buona parte ai ceti medi sprecando un’occasione per dare un aiuto alle fasce di popolazione povera.
A che percentuale di possesso delle azioni deve scattare l’obbligo di Opa totalitaria? Per le piccole-medie imprese quotate, il decreto “Competitività” lascia agli statuti sociali stabilire la soglia tra il 25 e il 40 per cento. Un modello che forse potrebbe essere esteso alle grandi società.
La corruzione diminuisce il tasso di crescita del Pil. Ma davvero alimenta anche il debito pubblico, come sostengono vari studiosi? In realtà è difficile stabilire un rapporto causa-effetto. Non può perciò diventare un alibi per la spesa di denaro pubblico fuori controllo.
Un commento di Pietro Reichlin all’intervento di Tito Boeri “Dieci ragioni contro il Tfr in busta paga” e la replica dell’autore

Tfr in busta paga: perché sì e perché no

Le “dieci ragioni” contro la proposta di lasciare il Tfr in busta paga enunciate da Tito Boeri non mi convincono. È evidente che il superamento di questo istituto implica ostacoli e problemi di transizione non banali. Come si finanzieranno da domani le piccole imprese? Quali asimmetrie di trattamento si verranno a creare tra lavoratori? Tuttavia, ogni riforma dei regimi previdenziali determina ostacoli e diseguaglianze. Non mi soffermo, quindi, sui problemi legati all’attuazione della misura, ma sui principi più generali. In particolare, provo a elencare quattro ragioni per cui, secondo me, sarebbe opportuno lasciare ai lavoratori la libertà di scegliere come impiegare il proprio salario.

Il Punto

In pochi giorni la legge di stabilità di Renzi, abbozzata come una manovrina, è diventata una manovrona da 36 miliardi, con tagli di spesa di 15 miliardi e peggioramento del deficit di bilancio. Forse è la scossa che ci voleva, ma con molti rischi. Che non arrivano tanto dal vaglio di Bruxelles (dove si potrà trovare un accordo) quanto dalla sua credibilità sui mercati internazionali e fra gli italiani. Speriamo che non avvertano lo stesso senso di provvisorietà che avvertiamo noi leggendo la manovra. In questi giorni abbiamo avuto un assaggio della tempesta che ci aspetta se l’Europa continua a latitare, prigioniera di governi nazionali che danno una risposta disordinata alla crisi e perseguono i propri interessi elettorali di breve periodo.
Dall’Iraq alla Siria, i paesi del petrolio medio-orientale sono un campo di battaglia percorso dalle scorrerie dell’Isis. Eppure il prezzo dell’oro nero tende a ridursi. Cerchiamo di spiegare questa contraddizione.
A confronto due grandi monopolisti: Ferrovie dello Stato e Autostrade per l’Italia. Hanno un potere politico ed economico enorme che nessuno sembra intenzionato a intaccare. Anche a livello europeo, un timido tentativo di liberalizzazione del settore ferroviario è stato bocciato dal Parlamento di Strasburgo.
Un commento di Umberto Lebruto, direttore produzione Rfi, e Marco Caposciutti, direttore tecnico di Trenitalia all’articolo di Ivan Beltramba “Quando il treno è inaccessibile

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