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Categoria: Scuola, università e ricerca Pagina 50 di 69

MANAGER ACCADEMICO CERCASI

L’assetto della governance delle università è la vera chiave di volta per qualsiasi riforma complessiva ed efficace del sistema. Il disegno di legge Gelmini fa importanti passi avanti verso la modernizzazione. Ma non risolve la questione delle nomine del consiglio di amministrazione e dell’elezione di rettore, presidi e direttori di dipartimento. Mantenendo sostanzialmente intatti i conflitti d’interesse, individuali o di gruppo, che oggi distorcono molti dei processi decisionali. E continua a mancare la figura essenziale del manager accademico.

CI VUOLE METODO PER VALUTARE LA RICERCA

Gli esercizi di valutazione della ricerca sono condotti in Italia con il sistema “informed peer-review”. Che ha però molti limiti di precisione, affidabilità, robustezza, funzionalità, costi e tempi di realizzazione. Difetti che invece non si ritrovano nel sistema di supporto alla valutazione della ricerca che si basa sui dati dell’Osservatorio della ricerca pubblica. Ed è paradossale che si valuti la ricerca ignorando i progressi fatti nelle metodologie di valutazione.

VIA IL VINCOLO ALLE RETTE UNIVERSITARIE

Le rette universitarie sono molto inferiori al costo che lo Stato sopporta per offrire un’istruzione universitaria. In prima approssimazione uno studente universitario costa allo Stato circa 7mila euro l’anno. Le rette variano, ma raramente superano i 3mila euro l’anno. Rette tanto inferiori al costo medio dell’istruzione non sono in primo luogo un problema finanziario. Riducono gli incentivi degli studenti e delle loro famiglie a vigilare (e quando necessario a protestare) se la qualità del servizio è scadente. Sono anche, soprattutto nel Mezzogiorno, un trasferimento dai poveri ai ricchi, come mostra Roberto Perotti nel capitolo 3 del suo "L’università truccata" (Einaudi, 2008).
Le università non possono determinare liberamente le loro rette poiché la legge impedisce che questa fonte di ricavi superi il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario (l’ammontare che esse ricevono dallo Stato.)
Il ministro dell’Economia ha ridotto i finanziamenti alle università e ha loro detto sostanzialmente "arrangiatevi!". Ottimo, ma se è coerente e vuole che davvero "si arrangino" elimini il vincolo sulle rette.

PAROLA D’ORDINE PER L’UNIVERSITÀ: AUTONOMIA E CONCORRENZA

Un recente studio di alcuni noti economisti che da tempo si occupano di istruzione, mercato del lavoro e crescita mostra come autonomia e concorrenza tra atenei migliorino la qualità della ricerca e della didattica. In Italia invece è in discussione una riforma che propone qualche novità sulla governance delle università, ma non rinuncia all’atavico centralismo. E piuttosto che disegnare nuove regole di concorrenza, definisce gli argini per evitare gli abusi più vistosi, senza modificare in modo sostanziale la struttura degli incentivi in cui operano le università.

RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ: LA SELEZIONE DEL DOCENTE

La proposta di legge per la riforma dell’università prevede un’ampia delega al Governo che dovrà poi emanare molti regolamenti attuativi. Delle sue tre parti – governance degli atenei, qualità del sistema universitario, progressioni delle carriere dei docenti – cominciamo a esaminare la terza. Il suo un impianto dirigistico la espone a un forte rischio di manipolazione. La carriera accademica non appare particolarmente allettante per i giovani. E le nuove norme entreranno in vigore solo alla fine della legislatura. Troppo tempo per una riforma tanto urgente.

LA SCUOLA DOPO L’ENNESIMA DOCCIA SCOZZESE

Da anni, la scuola italiana è sottoposta a una sorta di doccia scozzese. A sperimentazioni di varia qualità seguono interventi di riforma che non ne tengono affatto conto. L’ultimo esempio è la riorganizzazione degli indirizzi nella scuola superiore. Sembra avere come obiettivo la mera riduzione dei costi. Perché non è chiaro quali siano le logiche formative che portano a tagliare le ore di materie chiave in ogni tipo di indirizzo (e i documenti alla base di questa riorganizzazione sono noti solo agli addetti ai lavori). Continueremo così a formare cittadini ignoranti dei meccanismi fondamentali che regolano la società in cui vivono.

SE SPIFFERI IL REFEREE

Il finanziamento della ricerca sulla base del merito scientifico necessita di valutazioni anonime. Poiché il valutatore spesso conosce le persone che sta valutando e ci interagisce per lavoro, solo l’anonimato ne garantisce la necessaria franchezza. È così in tutto il mondo. Il professor Claudio Fiocchi denuncia che mentre valutava alcuni progetti medici per ottenere fondi del MIUR (Ministero dell’istruzione, università e ricerca), il suo nome è giunto velocemente a conoscenza dei valutati, i quali non si sono fatti scrupoli a fargli pressione per coartagli un buon giudizio. Come riportato ieri da Repubblica, il professor Fiocchi informa il MIUR e rinuncia all’incarico. Il fatto è grave. Il danno è duplice. Getta un’ombra sullo sforzo fatto dal Ministero per fare passare un messaggio tanto ovvio quanto rivoluzionario per l’accademia italiana: premiare il merito. Dà ragione a quanti, incapaci di ottenere finanziamenti avanzando un decente progetto di ricerca, hanno cercato di screditare un meccanismo che ambiva ad allocare i fondi di ricerca solo in base alla qualità della proposta, lasciando ad intendere con ironico, sospettoso scetticismo che tanto, alla fine i soldi vanno sempre agli amici degli amici. E’ grave che il nome del valutatore sia trapelato e giunto alle orecchie dei valutati; è grave e disdicevole che questi abbiano esercitato rozze pressioni sul valutatore. Ma l’aspetto più grave della vicenda è che il MIUR abbia ignorato la denuncia di questi avvenimenti fatta dal Professor Fiocchi. Ci si sarebbe aspettata tutt’altra reazione: un ringraziamento per la segnalazione, una pronta rassicurazione sulle azioni che ne sarebbero seguite… Perché questo non è stato fatto?
Il Ministro Gelmini ha con doveroso e benvenuto tempismo annunciato che su questo fatto il Ministero predisporrà un’inchiesta. Chiediamo al Ministro che l’indagine sia rapida e rivelatrice dei meccanismi che hanno dato luogo all’episodio. Ma soprattutto che risponda alla domanda avanzata sopra: perché il MIUR non ha dato seguito alla denuncia del Prof. Fiocchi? Solo un chiarimento di questo punto e l’individuazione di eventuali responsabilità potrà restituire credibilità al MIUR e convincere i ricercatori seri, oggi palesemente dubbiosi se farlo, a continuare ad offrirsi come valutatori negli anni a venire. Nell’attesa che questo avvenga noi oggi comunicheremo al Ministero la nostra temporanea indisponibilità a fare i valutatori dei progetti, pronti a renderci nuovamente disponibili appena il caso sarà chiarito.

PERCHÉ PROTESTA L’INSEGNANTE

Dietro le proteste degli insegnanti precari ci sono due problematiche diverse. Quella di coloro che sono già abilitati e iscritti nelle graduatorie a esaurimento. E quella di chi invece aspira all’abilitazione. Il progetto del ministero non dà risposte né agli uni né agli altri. Perché non dice niente sui nuovi sistemi di reclutamento. E perché sulla formazione dei futuri docenti si è scelta una via opposta a quella seguita nel resto d’Europa. Quanto alla programmazione del fabbisogno di insegnanti, lo contraddice l’ammissione al tirocinio di soprannumerari.

LUCI E OMBRE NEL FONDO PER L’UNIVERSITÀ

La ripartizione del finanziamento statale rappresenta l’atto fondamentale di governo del sistema universitario da parte del ministero. Dal 1994 le risorse sono trasferite con modalità che favoriscono una responsabilizzazione degli atenei. Il ministro Gelmini in luglio ha dato risonanza all’assegnazione del 7 per cento del Ffo sulla base di criteri meritocratici. Positivo che la quota ottenuta da ciascuna università si basi sulla capacità di produrre ricerca e didattica di qualità. Le ombre riguardano invece il modo in cui il processo di erogazione è stato gestito.

INGEGNERIA CONCORSUALE

Ripartono i concorsi universitari con nuove regole per la formazione delle commissioni: dalle elezioni si è passati al sorteggio dei commissari. Dovrebbe servire a evitare di privilegiare i candidati interni e gli scambi di favori. Ma le polemiche riguardano anche i profili scientifici e il numero di pubblicazioni ammesse. In definitiva, ogni norma presta il fianco a critiche plausibili. E allora non sarebbe meglio abolire i concorsi e lasciare le università libere di promuovere chi vogliono, assumendosi l’onere delle proprie decisioni?

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