Lavoce.info

Categoria: Povertà Pagina 23 di 31

LA DISUGUAGLIANZA DOPO LA CRISI

Il Governatore della Banca d’Italia si preoccupa per la riduzione della propensione al risparmio nelle classi di reddito più basse. E il rapporto Istat 2010 mette in evidenza l’impatto della crisi sulla disuguaglianza. Nell’Europa dei 15 gli indicatori di disuguaglianza dei redditi sono diminuiti tra il 1995 e il 2000, ma sono aumentati negli ultimi anni. Sulla distribuzione della ricchezza tra paesi, invece, mancano dati significativi dalle economie emergenti e il confronto non ha comunque molto senso se non si specificano gli aspetti distributivi o settoriali.

LA POVERTÀ IN ITALIA: UN PROBLEMA DEL SUD

Il rapporto annuale dell’Istat descrive un’Italia in cui coesistono regioni del Nord con livelli di benessere o inclusione sociale analoghi a quelli della Svezia e regioni del Sud con rischi di povertà o esclusione prossimi a quelli della Romania. Le politiche sociali dei comuni non riescono peraltro a contrastare i divari, anche perché il Nord continua a destinare per la lotta alla povertà molto di più del Sud. E intanto il governo riduce i fondi per le politiche sociali, nonostante gli impegni presi con l’Europa.

SOCIAL CARD: VOGLIAMO FARLA SERIAMENTE?

Il Milleproroghe prevede la sperimentazione per un anno di una nuova social card. Perché sia proficuo l’esperimento deve far parte di un progetto organico di rafforzamento del nostro welfare. E va condotto in modo da comprendere quali siano le modalità più appropriate di fornitura della carta e delle misure di accompagnamento, oltre a quali siano le implicazioni finanziarie e organizzative per la sua estensione a tutte le famiglie in povertà assoluta. Insomma, una sperimentazione da prendere sul serio.

PER UN PIANO NAZIONALE CONTRO LA POVERTÀ

Le Acli hanno elaborato un Piano nazionale contro la povertà che corregge gli aspetti negativi della social card. Si tratta di una misura universale a sostegno delle famiglie in povertà assoluta, anche straniere se con residenza valida in Italia. Prevede un adeguamento dell’importo mensile, graduato in base al costo della vita del territorio. Alle erogazioni monetarie affianca servizi alla persona. Affida ai comuni un ruolo di regia e coinvolge il terzo settore. Nel primo anno bastano 300 milioni per avviare un percorso che può cambiare strutturalmente il welfare italiano.

I TAGLI CHE NON FANNO RUMORE

I servizi sociali sono stati pesantemente penalizzati dai tagli di spesa. Ma nessuno ne parla. Persino sull’azzeramento del Fondo per la non autosufficienza, le reazioni sono state modeste anche da parte di sindacati, associazioni del terzo settore e comuni. Il governo punta a disimpegnarsi dal welfare dei servizi, mentre mantiene salda la gestione del welfare monetario, un insieme di misure poco efficienti, che assorbono gran parte della spesa sociale. Urgente una riforma complessiva della spesa e dei servizi sociali.

SE LA CRISI NASCE DALLA DISUGUAGLIANZA

La crisi economico-finanziaria non nasce solo dagli squilibri internazionali. Ha come causa anche una crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito negli Stati Uniti. I salari dei lavoratori con basso tasso di istruzione sono infatti fermi da trent’anni, mentre l’economia americana è cresciuta del 100 per cento. Per adeguare i consumi a quel livello di crescita economica, la metà della popolazione ha fatto ricorso al debito, alla fine diventato insostenibile. La soluzione della crisi passa per politiche redistributive politicamente difficili da accettare.

Infortuni sul lavoro tra povertà e sommerso *

Gli incidenti sul lavoro in Italia sono apparentemente meno della media europea, anche se il tasso effettivo è probabilmente più elevato. La discrepanza è dovuta all’esistenza di una fiorente economia sommersa e all’influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud, che impedisce la denuncia degli infortuni. Sempre nel Mezzogiorno vive circa il 67 per cento delle famiglie in povertà relativa. L’obiettivo primo dovrebbe essere perciò la riduzione del tasso di povertà, sia combattendo il sommerso, sia con stanziamenti ad hoc gestiti dalla Conferenza delle Regioni.

 

La cancellazione del debito? Un placebo

Dopo quindici anni, i risultati del programma per la riduzione del debito dei paesi poveri sono deludenti. In particolare, non sembra aver prodotto alcun effetto positivo sul tasso di crescita del Pil, né un boom degli investimenti. Semplicemente perché spesso il debito estero non è la causa della povertà, che va ricercata invece nella fragilità delle istituzioni. E intanto cresce l’importanza del debito domestico. Meglio sarebbe se istituzioni internazionali e paesi donatori aiutassero i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale.

 

La politica sociale brasiliana

Tra i diversi primati del Brasile, oltre al numero di campionati mondiali di calcio e la più vasta estensione di foresta primaria, c’è anche quello della disuguaglianza dei redditi. (1) Uno dei principali risultati del governo Lula è stato proprio la sua riduzione.

La risposta ai commenti

Ringrazio per i molti e interessanti commenti. Provo a risposdere ad alcune delle questioni sollevate. Stefano Testoni (disincentivi al lavoro). Un effetto negativo sugli incentivi al lavoro c’è, ma è molto debole. Non è una nostra assunzione, è un risultato del modello (stimato e simulato con dati reali). Un probabile motivo è che le somme trasferite (in media 300-500 euro mensili per famiglia) sono tutto sommato abbasta modeste. Un secondo motivo è che i fattori che determinano se e quanto lavorare vanno al di là del puro trade-off reddito tempo-libero. Come sappiamo, e come caso estremo, esistono molte persone (volontariato) che dedicano molte ore al lavoro senza alcuna retribuzione monetaria, Sandro. La questione del debito pubblico non è rilevante. L’esercizio di simulazione è fatto a gettito fiscale netto costante, quindi non c’è deficit da finanziare. Il salario minimo può essere una buona idea. Vedo due problemi: (a) riguarda solo gli occupati, (b) se è effettivo e non solo simbolico, crea disoccupazione. Agli altri rispondo in un prossimo commento. Per Sandro. Certo i trasferimenti devono essere finanziati. Nel nostro esercizio sono finanziati eliminando gli ammortizzatori sociali correnti, allargando la base imponibile e aumentando alcune delle aliquote irpef (1-2 punti sull’aliquota massima). Il gettito fiscale netto rimane invariato. Naturalmente si può pensare ad altre fonti: riduzioni di voci di spesa pubblica, riduzione dell’evasione ecc. Concordo sul fatto che il reddito universale possa e debba essere accompagnato da altre misure e introdotto gradualmente. Per Marco Cavallero. Concordo pienamente: l’azione culturale è importantissima. Per Ajna. Molti babypensionati lavorano – per quanto possibile – in modi perfettamente legali soprattutto nelle professioni (il che non vuol dire che le baby pensioni siano una buona cosa: non lo sono soprattutto perché si tratta di un beneficio casuale e arbitrario). In ogni caso i free-riders ci sono, in molte situazioni: il costo dei (pochi) free-riders andrebbe confrontato con i benefici delle politiche universalistiche.

Pagina 23 di 31

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén