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CHI SI RIVEDE: LE AZIONI DI RISPARMIO!

Le azioni sviluppo proposte da Assolombarda e Borsa italiana sarebbero in grado di perseguire due obiettivi considerati fra loro contrapposti: favorire la crescita delle imprese e garantire la continuità imprenditoriale. In realtà ricordano molto da vicino le azioni di risparmio, la cui esperienza non è stata particolarmente felice. E anche il nuovo strumento ha evidenti limiti che accrescono invece di risolvere i conflitti. Basterebbe limitare il valore del controllo, attraverso maggiori tutele delle minoranze e soprattutto l’applicazione della legge.

QUANTO E’ REDISTRIBUTIVA LA FINANZIARIA 2008? POCO

Nella legge finanziaria 2008 c’è un sostegno alle famiglie numerose. Ma l’effetto redistributivo della manovra è modesto. Perché lo sconto sull’Ici è generalizzato, senza legame col reddito complessivo Irpef dei proprietari. Intanto l’Irpef negli ultimi anni sta assumendo una struttura nuova: da una parte tecnicamente più complessa (forse troppo per essere comprensibile da parte del contribuente) e dall’altra un po’ più attenta ai fenomeni di povertà e ai limiti intrinseci di una imposta personale sul reddito.

SANITA’ E POLITICA: SEPARARSI E’ DIFFICILE

Con un disegno di legge collegato alla Finanziaria il governo cerca di limitare l’ingerenza della politica nelle procedure di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie e dei primari. Ma le regioni rivendicano l’autonomia sancita in materia dalla riforma costituzionale del 2001. E nella loro visione, la politica della salute si identifica con la gestione dell’apparato. Per ragioni diverse tra Nord e Sud. Il governo dovrebbe allora sviluppare modalità pattizie, anche sulle regole, che possano differenziarsi nei diversi ambiti territoriali.

LA PAGA DEL POSTINO. E QUELLA DEL MANAGER *

La Germania ha davvero fatto progressi nelle riforme del mercato del lavoro? Non sembra a giudicare dalla scelta di imporre un salario minimo per i dipendenti delle poste alla vigilia della privatizzazione del servizio. E’ un ostacolo al decollo della distribuzione privata della corrispondenza e impedirà la creazione di un buon numero di posti di lavoro. E che dire del dibattito su un possibile tetto agli stipendi dei manager? E’ solo demagogia. Basterebbe applicare ai più alti dirigenti d’azienda le stesse regole che vigono per le stelle del calcio.

I RISCHI DELLA MIFID

Le novità introdotte dalla direttiva Mifid 2 rappresentano un passaggio epocale, di cui l’opinione pubblica non sembra avere una percezione adeguata. Con qualche rischio perché resta irrisolta la questione della migliore esecuzione dell’ordine di acquisto o vendita e della trasparenza nei nuovi mercati internalizzati. Le informazioni su prezzi e volumi dei titoli scambiati vanno concentrate in un organismo istituzionale indipendente e facilmente accessibile a tutti gli investitori. Altrimenti si darà l’impressione di una giungla degli scambi.

IL LUNGO PERIODO SPAVENTA LE CASSE

Il mondo della previdenza professionale in Italia richiama sovente l’attenzione sulla tenuta del proprio sistema pensionistico. I requisiti per un buon sistema, sostenibilità finanziaria, equità e adeguatezza delle prestazioni, non possono dirsi raggiunti. C’è ancora molto da fare, in particolare sul primo punto.
Del requisito della sostenibilità finanziaria difettano le casse professionali privatizzate prima della riforma Dini (1), ancor più quegli enti che coniugano un finanziamento rischioso dal punto di vista demografico a pensioni poco eque sotto il profilo attuariale.
All’esame dello “storico” di variabili economiche strutturali [1] il grado di copertura della spesa per pensioni può apparire per talune categorie addirittura crescente. (2) Si dà il caso che forse non è tutto oro quello che luccica. Lo dimostrano due fattori : realtà previdenziali ancora molto giovani (buon rapporto iscritti/pensionati), a cui si aggiungono i risultati delle proiezioni attuariali (obbligatorie per legge) e di alcune analisi economiche mirate.
Ecco, quindi, che a meno di rendimenti patrimoniali nel tempo decisamente vantaggiosi o di modifiche in corso d’opera dell’architettura previdenziale, scarse diventano le probabilità che in futuro il grado di copertura della spesa pensionistica possa mantenersi superiore all’unità.

Un passato troppo recente

Appare strano – o forse no – che chi era tenuto a vigilare sulla stabilità finanziaria di questi enti ne abbia “nascosto” le fragilità strutturali dietro vincoli a maglie larghe. La riserva legale può limitarsi a coprire cinque annualità di pensione; invece per le proiezioni attuariali triennali basta una lettura dei successivi quindici anni.
Ma quindici anni sono un periodo troppo breve per riuscire a scuotere le fondamenta di argilla di alcune casse e sollecitare negli amministratori soluzioni più responsabili a favore delle categorie tutelate.
Ma non è mai troppo tardi: i ministeri vigilanti hanno di recente adottato una linea di maggior rigore, allungando le proiezioni e ancorandole a un periodo di tempo non inferiore a trent’anni. È il minimo ragionevole per chi deve mantenere promesse previdenziali con iscritti la cui carriera lavorativa difficilmente è inferiore a 30-35 anni. Siamo di fronte, vogliamo sperare, solo a un primo passo lungo questa direzione, perché nel compiere valutazioni sul futuro dei pensionati non è pensabile limitarsi a guardare appena oltre il palmo di naso.
Se il futuro delle casse non si prospetta particolarmente roseo, nonostante risultati gestionali di breve termine generalmente favorevoli, non è chiaro fino a che punto la norma che il legislatore ha partorito sia indirizzata a responsabilizzare le casse professionali di fronte ai propri aderenti. (3) A ben leggere, siamo di fronte a un compromesso politico che sminuisce in parte l’effetto riformatore. Un gioco delle parti, dove da un lato si estende il periodo delle proiezioni e dall’altro si riafferma e si rafforza l’autonomia normativa delle casse, premessa per riequilibrare il sistema spostando solo marginalmente la soglia di copertura.

Un futuro che nessuno vuol vedere

Onestamente non capiamo a chi giovi rinviare di continuo il momento delle decisioni definitive. Per questo motivo, forse, oltre che per rendere concreta la spinta riformatrice di cui il legislatore avrebbe dovuto farsi carico, è intervenuto di recente il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Il Nucleo ha proposto vincoli ancora più stringenti in una soluzione che guardi concretamente al lungo periodo. Non a trent’anni di proiezioni, ma a cinquanta, secondo i tecnici del Welfare, dovrebbe corrispondere il periodo di previsione minimo per testare l’effettiva sostenibilità di un sistema pensionistico.
Quella del Nucleo non appare come una proposta rivoluzionaria: in altri paesi utilizzare previsioni a lunga gittata rappresenta la soluzione tecnica adeguata per effettuare scelte di policy vitali agli equilibri macroeconomici. Resta il fatto che l’azione del Nucleo ha amplificato per tutta risposta lo scetticismo (di facciata) nei confronti di previsioni “troppo” dilatate. Chi deve amministrare ne ritiene fuorvianti i risultati per l’elevato numero di variabili in gioco. Eppure, per quel che è dato vedere, l’instabilità del sistema di questi enti ha ormai raggiunto un codice di rischio elevato.
Con gli strumenti oggi a disposizione, è paradossale che continui a farsi strada l’idea che previsioni più lunghe restituiscano solo risultati più incerti.
L’intero ciclo di vita previdenziale di un individuo ha una durata notevole. Viene allora da chiedersi se cinquant’anni saranno solo un arco temporale raccomandato dal Nucleo o un vincolo assoluto da dover rispettare per rientrare nei parametri di stabilità. Aspettando una risposta ancora in embrione, quello che si desidera è una soluzione che abbia molto di tecnico e poco, ma davvero poco, di politico.

Sabina de Rocca

(1) Decreto legislativo n. 509/94.
(2) Il riferimento è alle statistiche del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale.
(3) Articolo 1, comma 763, legge 27 dicembre 2006, n. 298.

STRATEGIA DI LISBONA E MODELLI DI WELFARE

L’Unione Europea non riuscirà a divenire l’economia più competitiva del pianeta se non riduce significativamente gli attuali livelli di tassazione, necessari per finanziarie i costosi welfare state, e il ruolo dello Stato nella regolazione dei mercati. In un mondo sempre più globalizzato e con una competizione crescente servono reti di sicurezza che proteggano i lavoratori più esposti ai rischi del cambiamento. Ma che non possono essere i sistemi di protezione sociale pensati nel secolo scorso. Ne occorrono di nuovi, più efficienti e più amici del mercato.

LE BANCHE ITALIANE SI SCOPRONO SOLIDE

Dopo una fase di riassorbimento delle turbolenze estive, sui mercati finanziari internazionali si registra una nuova ondata di sfiducia, prontamente segnalata da forti tensioni negli scambi interbancari e un rialzo del premio di rischio. Tuttavia, le banche italiane, grandi e piccole, sembrano aver affrontato in maniera più che soddisfacente la crisi di liquidità. In un contesto di estrema incertezza, gli istituti esteri hanno dimostrato un alto livello di fiducia nella solidità delle istituzioni creditizie del nostro paese.

BANCHIERI SOTTO ACCUSA

La recente lunga fase di turbolenza finanziaria ha messo in evidenza i fallimenti nella conduzione della politica monetaria, nei metodi di gestione delle linee di credito di ultima istanza delle banche centrali e nel sistema di regolazione dei mercati finanziari. I rimedi ci sono, ma non sono semplici da applicare. Si dovrebbero sanzionare, oltre alle banche, i banchieri che, pur non colpevoli di atti illegali, abbiano prodotto gravi danni al sistema finanziario e ai risparmiatori. Con la loro esclusione per lunghi periodi, magari per sempre, dalla comunità finanziaria. Un commento di Guido Tabellini all’articolo.

NON E’ TUTTA COLPA DELLA FED

Concordo in pieno sulle critiche che Stefano Micossi rivolge alla vigilanza bancaria e al fatto di non aver fermato i mutui irresponsabili già a partire dal 2005. Dissento, però, su altri punti.

La politica monetaria della Fed, il dollaro e l’inflazione

È possibile che nel 2002-2003 la Fed abbia tenuto i tassi bassi più di quanto suggerito dalla regola di Taylor. Ma dobbiamo ricordare che all’epoca era diffuso il timore di deflazione: ex-ante quello era il rischio che faceva più paura. Quanto al 2004-2006, quando i tassi a breve hanno ricominciato a risalire, l’anomalia è stata nei tassi a lungo termine, che sono rimasti stranamente bassi e nessuno sapeva spiegarsi bene il perché. Così non hanno trasmesso la graduale inversione della politica monetaria al resto dell’economia.
Se in quel periodo i tassi reali a breve fossero negativi o meno, dipende da quale misura di inflazione si utilizza: ad esempio, la core inflation è stata molto più bassa della headline inflation.
Infine, mi sembra semplicistico attribuire alla Fed l’attuale debolezza del dollaro. E l’andamento delle commodities dipende dalla Cina molto più che dalla Fed.

Il controllo della liquidità

Concordo pienamente con le critiche alla Banca d’Inghilterra, e penso anch’io che gli interventi coordinati avrebbero dovuti essere mesi in atto prima.
Ma è ancora troppo presto per dire che le tensioni sono rientrate. Per ora è sceso il tasso interbancario sulle scadenze su cui la Bce ha immesso 350 miliardi. Tuttavia, non è affatto detto che quella liquidità abbia raggiunto gli intermediari non-bancari che ne hanno bisogno. E restano i timori di insolvenza. Spero di sbagliarmi, ma non credo che basti aprire i rubinetti della liquidità per porre fine alla crisi.
Quanto ai galloni della Bce, il suo comportamento recente ha sorpreso le tesorerie di alcune banche, quelle che si erano procurate tempestivamente liquidità quando era più cara, e che ora dovranno restituirla a prezzi più bassi. Anche la gestione della liquidità deve basarsi su una politica coerente e in linea con le aspettative, e in questo la Bce non è stata esemplare.

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