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CAVALIERE, RISPONDA

Alcuni giorni fa abbiamo lanciato un appello ai partiti affinché sottoscrivano un impegno comune di lotta incondizionata alle mafie e illustrino le azioni che concretamente intraprenderebbero qualora al governo. La motivazione per l’appello è che assistiamo a un moto spontaneo di ribellione della società civile al ricatto e all’oppressione della malavita organizzata, di cui le scelte di Ivan Lo Bello, capo della Confindustria siciliana, sono l’emblema. Ma senza un supporto incondizionato dello Stato, che incoraggi e dia supporto a queste azioni, vi è il rischio che i moti spontanei vengano riassorbiti dalla paura. Ieri abbiamo ricevuto le dichiarazioni dell’onorevole Veltroni e dell’onorevole Boselli, in cui, accogliendo il nostro appello, illustrano le azioni che i loro partiti intraprenderebbe se dovessero governare. In particolare, le parole dell’onorevole Veltroni, al di là delle singole misure, non lasciano spazio a dubbi: "la ‘ndrangheta, la mafia e la camorra decidano quello che vogliono, ma decidano solo una cosa: di non votare per il Partito democratico, perchè devono sapere che il Pd se governerà l’Italia cercherà di distruggere quei poteri che impediscono al Sud di esprimere tutta la sua forze e la sua energia." Non abbiamo ancora ricevuto risposta dall’altro dei due principali candidati premier, l’onorevole Silvio Berlusconi, accreditato dai sondaggi come vincitore più probabile delle elezioni. Nella lotta alla mafia è cruciale che non vi siano dubbi e asimmetrie nella determinazione dei partiti di voler distruggere questa organizzazione. Il silenzio in questo caso rischierebbe di dare adito al dubbio che una parte politica sia meno risoluta. Chiediamo all’onorevole Berlusconi di dichiarare con la stessa chiarezza dell’onorevole Veltroni che la sua parte politica ripudia i voti della mafia e di qualunque altra organizzazione malavitosa.

 

2015: FUGA DAL DOLLARO

Entro dieci anni l’euro potrebbe sorpassare il dollaro quale valuta internazionale di riferimento. La moneta europea è uno sfidante credibile perché ha dimostrato di essere una migliore riserva di valore rispetto a quella americana e perché Eurolandia è grande pressappoco come gli Stati Uniti. Ma il cambiamento non avrebbe conseguenze solo economiche. Rilevanti sono anche le implicazioni geopolitiche. E fanno pensare alle vicende della sterlina nel corso della crisi di Suez.

MONTAGNE RUSSE E BOCCONI AMARI

Nella vicenda Alitalia-Malpensa la politica nostrana sta offrendo il peggio di sé. Il boccone elettorale è evidentemente troppo ghiotto per resistere agli impulsi demagogici. Così, da una parte, si invocano fantomatiche cordate nazionali a sostegno dell’italianità, dimenticandosi che anche se si trovassero le risorse finanziarie si dovrebbe poi essere in grado di far volare gli aerei. Dall’altra, si moltiplicano gli appelli per la difesa dell’indifendibile, dalle rotte ai livelli occupazionali, dimenticandosi che proprio questa difesa a oltranza è stata la responsabile principale della crisi attuale. Ogni parte in gioco, dai sindacati ai politici nazionali e locali, di maggioranza e di opposizione, appare impegnata a criticare le altre nella speranza di far dimenticare le proprie responsabilità. Nell’incertezza, i corsi azionari assomigliano a montagne russe e la compagnia di bandiera è sempre più vicina al punto di non ritorno. La  confusione è tale da far perdere di vista l’essenziale. Per esempio, nel caso dell’offerta Air France quello che appare più indigeribile non è il prezzo offerto (quanto vale una compagnia fallita?) né gli esuberi di personale, oltretutto limitati e facilmente riassorbibili. Piuttosto, è la pretesa della compagnia d’oltre alpe, per difendere i propri hub di Amsterdam e Parigi, di avere la garanzia da parte del governo italiano che da Malpensa non partiranno più le rotte internazionali extracomunitarie precedentemente servite da Alitalia e ora chiuse, una richiesta che secondo le anticipazioni di stampa l’Enac avrebbe già garantito. Se è vero, questo sì che appare lesivo dell’unico interesse nazionale reale, quello dei consumatori italiani, che avranno pure il diritto di volare da dove gli pare e con chi gli pare. Se una compagnia area d’oltreoceano, poniamo asiatica, vuol provare a servire quelle rotte da Malpensa, perché impedirglielo? E’ possibile che il tentativo si riveli fallimentare, come fallimentare era stato quello di Alitalia. Ma sta al mercato stabilirlo e non al governo per conto di Air France. E’ vero che Air France ha posto come irrinunciabile questa condizione, e che comunque, una eventuale risposta negativa da parte del governo ridurrebbe probabilmente ulteriormente il prezzo che Air France è disposta a pagare o aumenterebbe gli esuberi dichiarati. Ma per la collettività può valere la pena di incassare qualche euro in meno o spenderne qualcuno in più per il sostegno dei lavoratori in mobilità, che rinunciare a delle opportunità di mercato che se funzionano potrebbero offrire ritorni economici che sono multipli della spesa attuale. Ed è anche possibile che una simile scelta da parte del governo ridurrebbe anche le richieste di danno della SEA, che allora sì apparirebbero eccessive e ingiustificate. Speriamo dunque che il governo ci ripensi. Ci farebbe una figura migliore, comunque finisca la vicenda.

PISA AMARA PER MERIDIONALI E IMMIGRATI

I risultati dell’indagine Pisa sono sconfortanti per l’Italia. E i punteggi sono significativamente inferiori alla media italiana sia per gli studenti meridionali che per quelli figli di immigrati. Proprio le due componenti destinate a pesare di più nella composizione della popolazione scolastica del prossimo futuro. In prospettiva, dunque, la situazione peggiorerà ancora. Intervenire è necessario. Ma ogni euro investito per migliorare l’offerta scolastica darà potenzialmente maggiori ritorni se indirizzato al Mezzogiorno o agli immigrati.

IL NODO DI MALPENSA

Ostacoli insormontabili nella trattativa per la vendita di Alitalia non sono né la salvaguardia degli occupati né il prestito-ponte. E in fin dei conti neanche la richiesta di indennizzo della Sea. Il vero conflitto riguarda il futuro assetto del mercato fra Fiumicino, Malpensa e gli hub di riferimento di Air France-Klm. E’ qui che deve intervenire il ruolo negoziale del governo. Perché una soluzione di mercato non può prevedere condizioni protezionistiche a vantaggio di qualcuno.

CONSOB E LA CORDATA FANTASMA

Il caso Alitalia tiene ancora banco. Ma nella ridda di dichiarazioni degli ultimi giorni molti sembrano aver dimenticato che la compagnia aerea è una società quotata. E che la Consob, dopo l’attuazione della direttiva Opa, ha in tali situazioni i poteri per garantire la trasparenza e la correttezza delle informazioni. Possiamo quindi sperare che il mistero della cordata fantasma sia tra breve svelato grazie all’intervento dell’Autorità di vigilanza.

MA IL GUARDIANO DOV’E’?

Molti risparmiatori hanno sicuramente perso soldi e qualche speculatore ha guadagnato sul titolo Alitalia negli ultimi dieci giorni. Presentiamo un grafico dell’andamento dell’azione in borsa, con improvvisi “strappi” al rialzo e al ribasso in corrispondenza di prese di posizione dell’offerente ufficiale Air France-Klm e dei “rumors” su ipotetiche offerte rilanciati da Berlusconi. La Consob può fare di più?

ALITALIA AL TERMINAL

L’ultima offerta di Spinetta – CEO di Air France – sembra chiudere il caso Alitalia, lasciando poche speranze a chi ancora pensa o per convinzione ideologica o per opportunismo politico che sia possibile far assorbire manodopera in eccesso a prescindere dal vincolo di bilancio. Puo’ essere vero per una azienda pubblica (e Alitalia lo e’ solo a meta’) ma non per una azienda privata (come Air France con l’ 80% di capitale in mani private). I 2100 esuberi indicati da Spinetta sono probabilmente una delle stime piu’ basse che un acquirente di Alitalia puo’ permettersi di offrire. Questo per due ragioni. In primo luogo perche’ Air France ha un forte interesse per il mercato Italiano e per Alitalia ed e’ disposta – come dimostra l’insistenza in questa trattattiva – a prendersi il rischio di una ristrutturazione complessa e onerosa, e quindi anche ad accollarsi qualche adetto in eccesso in cambio di consenso sindacale. In secondo luogo perche’ la dimensione del gruppo e le sue prospettive di crescita consentono la riallocazione all’interno dello stesso in modo indolore di parte degli esuberi veri che eccedono di gran lunga i 2100 dichiarati. Prima di rifiutare l’offerta di Air France e’ bene quindi riflettere attentamente. L’alternativa potrebbe essere molto peggiore.

UNA GIUSTIZIA DOUBLE FACE

Solo attraverso obiettivi realizzabili e un richiamo alla responsabilità si pongono le premesse perché le valutazioni di professionalità e le sanzioni abbiano possibilità di essere giuste, effettive ed efficaci: puntare tutto sulla frusta e sul conflitto permanente non ha funzionato con nessuna categoria professionale. E non funzionerà con i magistrati. A meno che l’obiettivo non sia una giustizia al ribasso, che assicuri alla classe politica la tranquillità, intesa come sicurezza e impunità.

SALARI, NON DOVEVA ESSERE LA PRIORITA’?

Il 2008, nelle intenzioni di Prodi, doveva essere l’anno della questione salariale. Priorità numero uno del suo Governo. Poi il suo esecutivo è caduto e, in questa campagna elettorale, i contendenti non fanno che ripetere un clichet vecchio: bisogna abbattere le tasse sul lavoro. Sanno, in cuor loro, che non lo faranno, una volta eletti. A fianco dei tagli alle tasse promettono tante nuove spese.  E senza bloccare la crescita della spesa pubblica non si potranno ridurre in modo significato le tasse sui redditi. Inoltre parte del cosiddetto cuneo fiscale rappresenta contributi previdenziali. Se tagliamo quelli, nel nuovo regime contributivo, condanneremo i lavoratori ad avere domani pensioni più basse. Ma è proprio vero che per avere salari più alti bisogna tagliare le tasse sul lavoro? Se però guardiamo a paesi, come Francia e Germania, dove i salari sono aumentati negli ultimi anni, notiamo che hanno un cuneo fiscale superiore al nostro. In Italia, inoltre, il cuneo si è pur marginalmente ridotto nell’ultima legislatura.  Ma i nostri salari sono rimasti piatti al netto dell’inflazione. Il problema non è tanto il cuneo fiscale, quanto il fatto che in Italia la produttività del lavoro non è cresciuta. E, in un mondo globalizzato, se non aumenta la produttività non è possibile aumentare le retribuzioni. Come dunque aumentare sia salari che produttività? Bisogna legare, azienda per azienda, salari e produttività. Questo incentiverebbe a un miglioramento nella produttività del lavoro. Ma qui devono essere le parti sociali, sindacato, Confindustria, associazioni di categoria, a mettersi d’accordo. Purtroppo non lo stanno facendo Non è quindi solo colpa della politica, ma il continuo rinvio della questione salariale è soprattutto colpa delle parti sociali: le organizzazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro da anni parlano di riformare la contrattazione e da anni continuano a rinviare ogni riforma. Nel frattempo un crescente numero di lavoratori ha un contratto da tempo scaduto.

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