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L’INFRASTRUTTURA NON FA LO SVILUPPO

Si dice spesso che gli investimenti in infrastrutture di trasporto stimolino lo sviluppo economico e la competitività di un territorio. Ma la connessione è molto più problematica e incerta di quanto si pensi. Anche per la rilevanza dei fondi richiesti alla realizzazione delle opere. Per questo va ben valutato quali siano quelle da privilegiare. Soprattutto, gli investimenti devono essere coerenti tra di loro e con l’insieme delle politiche di trasporto adottate. E vanno esplicitati gli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di distribuzione modale.

RITRATTO D’ITALIA CON IMMIGRATO (*)

Il Rapporto annuale Istat certifica una forte crescita degli stranieri residenti in Italia nel 2007: sono ormai il 5,8 per cento della popolazione. Una bella fetta dell’incremento si deve all’iscrizione alle anagrafi di circa 300mila rumeni. E certo si sviluppano forme di mobilità circolare, con l’alternarsi di periodi di soggiorno nel paese d’emigrazione e in quello di immigrazione. Ma forse dovremmo chiederci se possiamo continuare ad affrontare i nostri tanti problemi strutturali facendo leva quasi esclusivamente sull’immigrazione.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Cerco di fornire alcune risposte agli spunti più interessanti proposti dai gentili lettori. L’azzeccata metafora dell’ISEE nel sistema italiano
come una scala a pioli su una barca a vela mi consente di dire che il messaggio che intendo proporre è proprio quello di fare in modo che
sulla barca della politica sociale italiana l’ISEE sia non un attrezzo inutile, se non addirittura pericoloso, ma l’albero maestro
dell’imbarcazione (non sono un uomo di mare, ma spero che il senso del discorso sia chiaro).

1. Sulla veridicità dei dati e sui controlli. Uno dei limiti dell’ISEE è la scarsa deterrenza dei controlli e l’impossibilità tecnica per l’ente
gestore della dichiarazione (l’INPS) di verificare la veridicità delle dichiarazioni. La Finanziaria 2008 ha tentato di ovviare a questo limite
prevedendo che d’ora in poi sia l’Agenzia delle Entrate a calcolare l’ISEE, sulla base di quanto dichiarato dal soggetto richiedente e dei
dati presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria. Tale innovazione permetterà, mediante incrocio dei dati, di rilevare
eventuali omissioni o difformità in relazione a quanto dichiarato dal richiedente. Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate rilevasse
specifiche omissioni o differenze relativamente ai dati del patrimonio mobiliare, potrà formulare richieste di notizie al richiedente e invierà
alla Guardia di Finanza gli elenchi dei soggetti che presenteranno divergenze nella consistenza del patrimonio mobiliare. La Guardia di
Finanza, tra l’altro, sarà tenuta a destinare, nell’ambito della propria programmazione di contrasto all’evasione, una quota di risorse per
effettuare verifiche sui nuclei familiari di chi richiede prestazioni agevolate. Queste innovazioni potrebbero ridurre – il condizionale è
d’obbligo – i problemi di scarsa veridicità dello strumento ISEE.

2. Sulla possibilità di lasciare alle singole amministrazioni la possibilità di modificare gli algoritmi di calcolo: la prima versione
dell’ISEE lasciava ampi spazi di manovra su questo; dal 2000 si è provveduto però ad eliminare la possibilità di "personalizzazioni".
Anche se l’impianto legislativo su cui si sorreggono le poltiche sociali e quindi l’ISEE (essenzialmente gli articoli 9 e 25 della legge 328/00 e il nuovo articolo 117 della Costituzione) induce a interpretazioni divergenti sulla natura nazionale o locale dell’ISEE, personalmente propendo per un unico metodo di calcolo nazionale, in quanto l’ISEE è di ausilio alle politiche assistenziali, le quali sono una componente fondamentale del disegno redistributivo operato in uno Stato. E la redistribuzione – su questo la teoria economica è quasi unanime – rientra tra le competenze del governo centrale.

3. Sui livelli di compartecipazione ai costi dei servizi determinati dall’ISEE. Può accadere, come ci descrive un lettore, che il livello di
tariffazione richiesto a seguito di dichiarazione ISEE venga percepito come socialmente iniquo. Ma in questo caso il problema non è l’ISEE e come viene calcolato, bensì come viene utilizzato (e con quali vincoli di bilancio) dagli enti erogatori delle prestazioni sociali.

4. Il problema delle scelte di risparmio e di consumo dei singoli cittadini, sollevato da un lettore con un esempio efficace è di non poco
conto. Affrontare il problema nella sua interezza ci porterebbe lontano. Brevemente però, porre maggiore attenzione sul risparmio pone problemi enormi nella gestione del flusso delle informazioni; inoltre ciò penalizzerebbe maggiormente quegli individui il cui risparmio è una
quota ridotta del reddito: per esempio gli anziani, o le persone a basso reddito, cioè quelle che dovrebbero essere maggiormente tutelate da una prova dei mezzi come l’ISEE.

5. Sulla relazione tra ISEE e imposte sul reddito personale, animatamente sollevata da un altro lettore, occorre sottolineare come
l’ISEE abbia la finalità di selezionare i beneficiari delle prestazioni sociali o determinare la loro compartecipazione al costo dei servizi. Le
imposte sul reddito hanno lo scopo principale di ripartire il carico fiscale sulla base del principio della capacità contributiva, oltre che
tutelare situazioni e incentivare comportamenti ritenuti meritevoli dal legislatore. Il riordino della disciplina IRPEF è quindi
indipendentemente dal funzionamento dell’ISEE: a generare fantasmi e mostri, più che l’inesperienza dell’autore e la sua presunta voglia di resuscitare morti, è l’incapacità di distinguere tra due strumenti diversi e senza alcuna relazione l’uno con l’altro.

PRENDENDO SUL SERIO L’ALBANIA

Quando era stata avanzata dal Ministro dell’economia in pectore Giulio Tremonti aveva un po’ il sapore della boutade neocolonialista: perché non costruiamo una centrale nucleare nella vicina Albania visto che non è possibile farlo, per varie ragioni, entro i confini nazionali?Presumibilmente l’idea era quella di aggirare le opposizioni di casa e l’esito del referendum del 1987, allo stesso tempo ottenendo elettricità a condizioni privilegiate e vantaggiose. Poi vennero l’assenso di Pierferdinando Casini, Antonio Marzano ed Enrico Letta, le ragionate perplessità di Chicco Testa, e da ultimo lo scetticismo dell’ex-commissario europeo Mario Monti che si sentirebbe “più tranquillo ad avere il nucleare attivo in Francia piuttosto che in altri paesi”. Senza dubbio si riferiva all’Albania, ma forse aveva doti di preveggenza pensando anche ai confini con il nostro Friuli-Venezia Giulia. Quando però il premier dell’Albania Sali Berisha ha dichiarato di non volere escludere i suoi concittadini dal grande potenziale rappresentato dall’energia nucleare e che “l’ideale sarebbe un accordo con i paesi vicini, Italia per prima. Finanzieremo con il governo di Roma un impianto da costruire in Albania” e quando Enel ha dichiarato “nel caso in cui si raggiunge un accordo tra i due governi noi valuteremo questo progetto”, allora abbiamo pensato che si faceva sul serio. Ed allora proviamo a fare sul serio anche noi. Perché l’Italia vorrebbe il nucleare? Possiamo fornire tre ragioni (ma l’elenco non è esaustivo): 1) contribuisce a ridurre le nostre emissioni di gas-serra e quindi ad ottemperare ai vincoli di Kyoto ed europei; 2) riduce la nostra dipendenza energetica dall’estero attraverso minori importazioni di gas usato per produrre elettricità; 3) riduce la bolletta energetica delle famiglie perché il kilowattora prodotto con il nucleare costa meno di quelli prodotti con il gas e con le fonti rinnovabili. Che contributo dà la “proposta albanese” a queste tre esigenze? La risposta è negativa per i primi due quesiti e forse o probabilmente positiva per il terzo. Ma non è chiaro in che misura dovrebbe essere preferibile o più economico importare elettricità dall’Albania anziché – come di fatto stiamo correntemente facendo – dalla Francia, dalla Svizzera o … dalla Slovenia.

UN PACCHETTO IN CERCA DI CONSENSO

Qual è la realizzabilità e la prevedibile efficacia del pacchetto sicurezza?Il primo problema concerne gli investimenti necessari per strutture, personale, trasporti. E se si vuole lottare effettivamente contro l’immigrazione irregolare, bisogna stroncare la domanda che la alimenta. Ovvero inasprire e rendere effettive le sanzioni contro i datori di lavoro, soprattutto quando si tratta di imprese. Se si tratta invece di abusivismo di necessità, come avviene per molte famiglie, occorre prevedere canali più semplici e rapidi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

ALITALIA, TOTO E CATRICALA’

Forse qualcuno dovrebbe ricordare ai tanti protagonisti sulla scena che nella travagliata vicenda Alitalia i destini della compagnia di bandiera non possono sottrarsi ad un severo scrutinio degli effetti sull’assetto competitivo dei mercati. A questo compito verrà chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quando eventualmente si materializzerà il famoso compratore. Senza volersi sostituire alla disamina che il Presidente Catricalà dovrà effettuare, balza agli occhi la impraticabilità di una soluzione che vedesse Airone di Carlo Toto, il secondo vettore per quote di mercato sulle rotte cruciali del mercato italiano, tra cui il Roma-Milano, tra i protagonisti della vicenda. Non sorprende nemmeno che sia stata invocata da British Airways e da Ryanair la normativa europea sugli aiuti di stato, altro caposaldo delle politiche della concorrenza, in merito al prestito di 300 milioni che ha ridato una boccata di ossigeno ad Alitalia e ha appesantito di altrettanto le tasche dei contribuenti. Senza volersi in questo caso sostituire al Commissario alla Concorrenza Kroes, balza altrettanto agli occhi la pretestuosità con cui si vuole presentare come motivato da ragioni di mercato un prestito ponte di cui è noto il pilone di partenza, l’attuale disastrosa situazione di Alitalia, ma è nascosto nella nebbia quello di arrivo, il famoso compratore. Insomma, dovunque la si guardi la vicenda Alitalia inciampa pericolosamente nei paletti che le normative sulla concorrenza pongono. Questo forse ci aiuta a comprendere come tutti gli spasmi e le contorsioni che si susseguono hanno dietro interessi forti e rendite  arcignamente difese, ma non tengono in minimo conto gli interessi di noi consumatori, di noi semplici passeggeri e di noi contribuenti. Non dubitiamo che le autorità preposte alla concorrenza sapranno al momento buono far sentire la propria voce. L’unica perplessità nasce dal fatto che il momento buono è già giunto da tempo senza che la voce dei custodi della concorrenza si facesse sinora sentire alta e netta.

DISCARICA IN CASA CUPIELLO

Il piano appena varato dal governo propone quello che tutte le persone serie auspicano da anni, ma che il sistema napoletano non è stato finora capace di realizzare: raccolta differenziata per quanto possibile e termovalorizzatori per ciò che resta. Nella fase intermedia, uso degli impianti di selezione meccanica per stabilizzare il rifiuto e metterlo in discarica. Con gli incentivi giusti affinché questo periodo duri il meno possibile. Ma il vero problema non è nello schema tecnologico e logistico, è piuttosto nella capacità di metterlo in atto, organizzarlo e farlo funzionare.

L’AZIONISTA E IL MANAGER DALLO STIPENDIO D’ORO *

Perché si discute tanto degli stipendi degli amministratori? Secondo i critici, stock option e altre forme di remunerazione sono un veicolo di espropriazione degli azionisti e indirizzano la gestione aziendale verso obiettivi di breve periodo. Ma una volta rimossi gli ostacoli legali alla vigilanza degli azionisti, è anche necessaria una loro maggiore partecipazione al voto in assemblea. E in Europa si guarda ancora con sospetto al passaggio da una gestione volta a tutelare gli interessi di tutti gli stakeholder a una più indirizzata a garantire dividendi agli azionisti.

BLOCCHI LOCALI

Si torna a parlare di un nuovo blocco dei tributi locali. Che dovrebbe preludere al vero federalismo fiscale. Come nel 2002. Questa volta con l’aggravante dell’eliminazione dell’Ici sulla prima casa, l’unico tributo proprio che i comuni abbiano mai avuto. Il governo vuole così frenare la spesa locale. Un’intenzione comprensibile. Ma nel 2003-2006 non è andata così. E potrebbe peggiorare il rating di Regioni e comuni, mettendo in crisi quelli più indebitati.

BADANTE E CLANDESTINA

Le badanti irregolari superano il 40 per cento. Il governo ha annunciato una regolarizzazione ad hoc per la categoria. Ma le risposte tampone non risolvono il problema, che si ripresenterà. Come è avvenuto dopo la sanatoria del 2002. Servono invece misure strutturali. Va cancellata l’ipocrisia della chiamata a distanza. E va rivisto il sistema delle quote d’ingresso, palesemente incongruente con la domanda reale. Ma è anche necessario un aumento delle agevolazioni fiscali e la costruzione di una rete di servizi. Per collegare politiche migratorie e politiche sociali.

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