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UN’OPPORTUNITA’ PER L’EUROPA

Anche se il provvedimento varato dal governo italiano per la ricapitalizzazione delle banche è largamente condivisibile, resta sul tappeto il problema dell’eventuale salvataggio delle grandi banche transnazionali europee. Che hanno un ruolo chiave sia nell’integrazione dei mercati finanziari europei che nella loro stabilità sistemica. La Bce ha affrontato bene uno dei due aspetti della crisi, il problema di liquidità. In Europa manca però una istituzione che possa mettere in atto una risposta organica. Così dopo il fallimento dell’Ecofin, i paesi membri procedono in ordine sparso. Ma la definizione di regole condivise è questione non più eludibile.

IL RISCHIO DI SCARICARE IL RISCHIO

La corsa dei governi europei a garantire i depositi della clientela presso le banche non sembra l’obiettivo giusto: la crisi ha sinora colpito il sistema interbancario. Vi è un problema di aspettative e le banche non si prestano più liquidità. Una situazione molto delicata che apre nuovi scenari. E che potrebbe richiedere anche soluzioni estreme, come l’estensione della garanzia statale ai depositi interbancari.

OMONIMIE IN CATTEDRA

Da qualche tempo siamo tormentati da docenti della Sapienza che pensano di avere trovato delle falle nel libro di Perotti e nell’ articolo di Boeri su Repubblica sul familismo nell’università. Finora sono solo riusciti a imbarazzare se stessi, e i professori Mei e Panconesi (la cui lettera è riportata qui sotto) nella lettera indirizzata a lavoce non fanno eccezione.
 Mei e Panconesi  ipotizzano   che non ci rendiamo conto di un fatto elementare, che capirebbe anche un bambino di 10  anni: il tasso di omonimia nell’ intera popolazione italiana deve essere  praticamente  il 100 percento (quasi tutti hanno almeno un omonimo nell’ intera   popolazione).  Se però avessero letto con attenzione l’articolo e,
soprattutto, il libro,  scoprirebbero che i nostri risultati non soffrono di questo problema. E soprattutto scoprirebbero che i dati alternativi che essi forniscono sono grossolanamente errati, e scaturiscono da una macroscopica  mancanza di comprensione delle procedure utilizzate nel libro di Perotti. 
Il tasso di omonimia in una determinata facoltà di Medicina  è definito in due modi alternativi: come la probabilità che un docente in quella facoltà abbia almeno un altro collega  con lo stesso nome nella sua stessa facoltà (“indice 1”), oppure nelle altre facoltà di Medicina della Regione (“indice 2”). Prendendo due facoltà a caso, alla Sapienza questi tassi di omonimia  sono rispettivamente del 21 e 30 percento, a Messina del 33 e 38 percento.
Le stesse statistiche per la Bocconi sono il 3 e 9 percento, rispettivamente. Mei e Panconesi sostengono, invece, che il tasso di ominimia per la Bocconi è del 40 percento. Come è possibile che siano incorsi in un infortunio così imbarazzante?  Ovviamente  non hanno compreso la definizione utilizzata nel libro di Perotti, ammesso che l’abbiano letto. Sospettiamo che essi calcolino il  tasso di omonimia per la Bocconi prendendo a universo di  confronto TUTTE le facoltà di TUTTE le università lombarde, ma ovviamente dei pasticci altrui è meglio chiedere conto direttamente agli autori.
Ma Mei e Panconesi non si fermano qui. Sostengono (come, ripetiamo, comprenderebbe anche un bambino di 10 anni) che sia inevitabile trovare un grado di omonimia più alto in un campione casuale più ampio. Ma il punto è precisamente che i campioni non sono casuali! Se avessero guardato la Tabella 4 del libro (pag.58), avrebbero notato che alcuni fra gli indici più alti si registrano nelle facoltà più piccole. E avrebbero notato che l’ indice 2 della Bocconi,  basato su di una popolazione di circa 700 docenti di Economia in Lombardia,  è poco più di un quarto dell’ indice 1 di Medicina di Messina, che pure è basato su una popolazione di docenti inferiore.
Vi è un metodo assai semplice per dimostrare formalmente tutto questo, così come per rispondere ad una diversa possibile obiezione alla nostra definizione (che però Mei e Panconesi, nella loro foga distruttrice,  ignorano completamente): se per motivi storici o culturali in Sicilia o in Lazio vi fossero molti meno cognomi che in Lombardia, sarebbe più facile trovare omonimie nelle prime che nella seconda. Ovviamente sappiamo che differenze così enormi come quelle evidenziate non possono essere spiegate da questo fattore, ma per eccesso di zelo, in un lavoro accademico in progress di Perotti con altri coautori (Durante, Labartino e Tabellini), abbiamo calcolato il nostro indice di omonimia ponderando la frequenza dei cognomi che si ripetono più di una volta per la frequenza relativa degli stessi cognomi in vari bacini di riferimento, quali la provincia, la regione etc.  (Tecnicamente, la soluzione consiste  nel creare una distribuzione  artificiale. Chiediamo al computer di estrarre a caso dalla popolazione di riferimento un sample di individui pari al numero di professori in una certa  unita’ accademica, e di calcolare l’indice di omonimia  corrispondente. Ripetendo la procedura per 100.000 volte  e registrando ogni volta il valore assunto dall’indice di omonimia, otteniamo alla fine una distribuzione dei valori simulati rispetto alla quale possiamo confrontare il dato osservato nella realtà e calcolare quanto sia statisticamente significativo). Con questa procedura, ecco alcuni valori  secondo la prima definizione (omonimie all’interno della stessa facoltà) quando il bacino di riferimento dei cognomi è la provincia.

In TUTTI i casi tranne la Bocconi, l’ipotesi che l’indice empirico possa derivare da un processo puramente casuale è rigettata (con p-value generalmente molto alti). Inoltre, il nostro indice non presenta alcuna distorsione in relazione al numero di docenti: alcune facoltà molto piccole presentano infatti indici molto più alti che altre ben più
grandi. Si noti per esempio Veterinaria a Messina: con soli 65 docenti, ma con un indice di omonimia riferito alla stessa facoltà che raggiunge un incredibile 50 percento: metà dei 65  docenti ha almeno un collega con lo stesso cognome!
Tutta l’operazione di Mei e Panconesi  si commenta dunque da sè, così  come il sarcasmo degli autori, che meriterebbe una causa migliore. In versioni precedenti della loro lettera, inviate a giornali e siti web, Mei e Pancanesi parlavano infatti del paradosso "Boeri-Perotti", che essi pensavano di avere scoperto, come un ottimo strumento didattico, da utilizzare con i propri studenti per insegnare loro come non si fa ricerca; liberissimi di farlo, ma  se fossimo fra i loro studenti cercheremmo  un altro
ateneo quanto prima.
Ma il vero paradosso e’ quello di  "Mei-Panconesi": come e’ possibile  che  ordinari dell’ università più grande d’ Europa perdano il loro tempo per  operazioni di disinformazione così maldestre? Ripetiamo quello che uno di noi  ha  scritto a un vostro collega, impegnato in una simile operazione di discredito,  risoltasi anch’ essa  in una figuraccia imbarazzante per il suo autore: il vostro tempo sarebbe stato molto meglio speso se  vi foste dissociati  pubblicamente dalla scandalosa elezione del rettore Frati. Bastava un minuto e una riga, una sola riga.

 

IL TESTO DELLA LETTERA INVIATA DA ALESSANDRO MEI E ALESSANDRO PANCONESI

Gentile Redazione

Qualche giorno fa è apparso su La Repubblica un articolo che riportava dati apparentemente eclatanti sul nepotismo nelle università italiane: "A Messina quasi il 40 per cento dei docenti (sì, proprio 4 su dieci) ha un omonimo in qualche università della Regione. A Napoli (Federico II e Seconda Università) si viaggia attorno al 35% di omonimie, a Roma (Sapienza, Cattolica e Tor Vergata) non si scende sotto al 30 per cento." L’articolo portava la firma del prof. Boeri che riportava un’analisi del prof. Perotti, suo collega alla Bocconi.

In realtà l’unica cosa impressionante di questi dati è il fatto che si basano su un errore piuttosto grossolano. Innanzitutto, utilizzando la stessa "metodologia" risulta che, analogamente allo "scandaloso" caso dell’università di Messina, circa il 41% dei docenti della Bocconi ha un omonimo tra le università della stessa regione. Rimanendo in Lombardia, il dato per la Statale di Milano sale al 47%. Che il grado di nepotismo della Bocconi e delle altre università lombarde sia addirittura superiore a quello della vituperata Sapienza? Può darsi. Il problema è che è impossibile scoprirlo con la "metodologia" Boeri-Perotti.

Anche chi è completamente a digiuno di matematica può iniziare ad intravedere il grossolano errore chiedendosi quante sono le persone che hanno un cognome unico in Italia, un cognome cioè che non ha nessun altro: Perotti? Difficile. Boeri? Neanche a dirlo. Mei? Ma vah! Neanche un cognome raro come Panconesi è unico. I casi di omonimia per un insieme grande come la popolazione italiana saranno quasi il 100%. Prendendo un insieme molto più piccolo come la popolazione di Milano la percentuale di omonimia continuerà ad essere vicina al 100%. Considerando insiemi via via più piccoli il tasso di omonimia deve iniziare a scendere. Viceversa, se non lo fa, esso può essere considerato il sintomo di qualcosa di anomalo. Ma quanto deve essere piccolo questo insieme affinchè il tasso di omonimia del 41% della Bocconi possa considerarsi sospetto? Il punto è che gli insiemi considerati da Boeri e Perotti sono statisticamente enormi e il tasso di omonimia risultante non è significativo. Questo lo si può vedere facendo un po’ di conti, ma l’esempio della Bocconi dovrebbe essere convincente, se non altro per i due diretti interessati!

In realtà questo fenomeno apparentemente sorprendente è ben noto a chi si occupa di calcolo delle probabilità e va sotto il nome di "Paradosso del Compleanno".

Da un punto di vista più generale queste analisi si inseriscono nel contesto di una campagna denigratoria contro l’università. Tanto per essere chiari, riteniamo l’università italiana una catastrofe di cui La Sapienza, l’università nella quale lavoriamo, ne è un esempio particolarmente eclatante, ma attenzione!
L’università italiana non è tutta uguale e l’attuale rappresentazione mediatica è un po’ come se si parlasse dei problemi del Nord-Est raccontando quello che succede a Napoli o in Valle D’Aosta.  
Analogamente, quello che accade a medicina non può essere considerato rappresentativo di realtà come informatica, fisica o matematica, discipline che, pur con le loro magagne, sono mondi diversi e che, per inciso, nel loro complesso sono allineate con i migliori standard internazionali.

Quello che vorremmo far notare è che se si denigra in modo indifferenziato, prendendo gli esempi più eclatanti come rappresentativi di una realtà molto più variegata, non solo non si rende un gran servizio alla verità, ma si danneggia ulteriormente la parte buona dell’università. Nonostante il contesto infrastrutturale deplorevole, l’università italiana ha al suo interno un notevole patrimonio di eccellenze, scandalosamente sotto-finanziate, basandosi sulle quali il sistema potrebbe iniziare ad essere bonificato. Spesso queste persone, oltre a fare ottima scienza, sono in prima linea in una battaglia interna per migliorare l’università come istituzione. Campagne come quella in atto non fanno altro che indebolire ulteriormente la loro posizione.

Sarebbe, crediamo, molto più utile dare una rappresentazione mediatica di questi sforzi e di queste eccellenze, che non sono poi così sporadiche come si vorrebbe far credere, e chiediamo ai colleghi Boeri e Perotti e ai giornalisti interessati al miglioramento della nostra società di darci una mano in questo. La cosa avrebbe se non altro il merito di orientare l’opinione pubblica e soprattutto gli studenti dalla parte giusta. In caso contrario ne risulterà solo un folle e irresponsabile gioco al massacro.

Cordialmente

Alessandro Mei – Alessandro Panconesi
Docenti di informatica
Sapienza Università di Roma

IL CORAGGIO DI CAMBIARE LE REGOLE

Le risposte comunitarie alla crisi finanziaria sono ancora deboli e incerte. Bisogna rivedere l’organizzazione della vigilanza nell’area dell’euro. Ad esempio, i soli paesi che convergono sull’esigenza di trovare criteri comuni potrebbero istituire propri collegi di controllo sui gruppi che operano nei loro confini, fondati sul principio di maggioranza e sulla delega di poteri a un lead supervisor. Una sorta di vigilanza europea a geometria variabile. Ma anche in Italia è necessario semplificare l’architettura dei controlli, creando un’unica autorità.

MA LA LIBERALIZZAZIONE DEVE PROSEGUIRE

Salvare le banche in difficoltà oggi non è abbastanza. Occorre continuare a favorire la concorrenza, anche facilitando l’ingresso di banche straniere che di solito apportano maggiore efficienza operativa. E si dovrebbe anche imporre l’offerta di alcuni contratti standard, per accrescere la comparabilità delle condizioni proposte da istituti diversi. E’ solo riportando nell’agenda politica la liberalizzazione del settore bancario che sarà possibile restituire alle famiglie e alle imprese una parte dei potenziali benefici del salvataggio.

ALLA RADICE DELLA TEMPESTA PERFETTA

Dopo anni di deregulation e decenni di scarsi controlli, di sfiducia nei sistemi di prevenzione e di vigilanza sugli intermediari, la crisi del credito è scoppiata negli Stati Uniti e da lì si è estesa a tutto il mondo sviluppato. Le origini del problema sono dunque chiare. Il piano approvato dal Congresso punta a rimediare agli effetti e non alle cause della crisi. Per essere efficace dovrebbe invece ri-regolare i mercati e aiutare le famiglie incapienti con mutui. Tanto più che un programma di agevolazioni immobiliari alle famiglie avrebbe molteplici effetti positivi.

A SPESE DEL CLIENTE

Si dice che in America il capitalismo è sfrenato, mentre da noi si concedono meno prestiti, si cartolarizza di meno e non c’è stata la bolla immobiliare. Per questo le nostre banche sono più solide. Ma se gli americani sono un popolo di consumatori indebitati, gli italiani sono un popolo di risparmiatori. Ed è su questo versante che si fanno gli affari e qualche malefatta. Infatti, nel mezzo di una crisi finanziaria con epicentro del rischio nel settore bancario, i portafogli delle famiglie italiane sono zeppi di depositi e obbligazioni bancarie, nazionali e non.

LA SCUOLA DEI TAGLI SENZA UN PROGETTO

Condivisibile l’obiettivo di una riduzione del personale e di una riorganizzazione della rete delle scuole. E probabilmente ragionevole una revisione degli orari di insegnamento almeno negli istituti professionali. Ma nel piano del governo manca un progetto educativo e non c’è alcuna valutazione delle conseguenze dei provvedimenti decisi. Sembra emergere solo la necessità di far cassa rapidamente. Gli stessi risultati si potevano ottenere con interventi alternativi, che non avrebbero colpito altrettanto pesantemente e casualmente l’offerta didattica. Il problema del sostegno.

ANATOMIA DI UN SISTEMA

Dietro il sistema dei subprime non c’è né una bolla né un eccesso di avidità, ma un meccanismo razionale sostenuto da aspettative euforiche sull’andamento futuro dei prezzi immobiliari. Ed è questo forse l’unico elemento effettivamente non razionale. Quando i prezzi sono crollati contemporaneamente in tutti gli Stati Uniti, si è verificata la realizzazione di un rischio aggregato, come tale non diversificabile. Travolgendo le compagnie assicurative che garantivano il funzionamento di tutto il meccanismo. E che per lo stesso motivo sono poi state salvate.

RITORNO A BRETTON WOODS *

Il piano Paulson punta a risolvere i problemi di liquidità del solo settore finanziario statunitense. Anche se nel resto del mondo il settore soffre dei problemi esportati dagli Usa. Ma davvero gli investitori non possono fare altro che affidarsi di nuovo alla locomotiva americana? Si potrebbero invece decidere azioni multilaterali, affidate alle istituzioni nate a Bretton Woods, il primo tentativo di governo dell’economia finanziaria globale. Ancora oggi potrebbero agire in fretta e bene, preparando le basi per la nuova architettura finanziaria internazionale.

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