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L’INCAUTA PROMESSA DELLE DUE ALIQUOTE

Nell’Italia di oggi riforma tributaria non significa riduzione del prelievo fiscale. Significa, a parità di pressione, cambiare la distribuzione dell’onere tra tipologie di cespiti e contribuenti nonché le modalità tecniche del rapporto tributario per ottenere un sistema più equo, più efficiente dal punto di vista dell’impatto sull’economia e sul piano strettamente tributario. Conviene quindi non alimentare aspettative di riforme radicali, che in genere esaltano gli atteggiamenti emotivi e le proposte fantasiose, poi difficili da governare.

QUANTO COSTA NON RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO

Le mancate riforme del percorso di ingresso nel mercato del lavoro possono costare ai giovani fino al 30% della loro pensione futura. Secondo il presidente del Consiglio, il 2010 sarà l’anno delle riforme. Bene che cominci subito a varare quella del percorso di ingresso nel mercato del lavoro, il modo migliore per difendere le pensioni dei giovani. E se non ha il coraggio di farlo, almeno li informi su quanto varrà la loro pensione fra 40 anni.

A VOLTE RITORNANO: I LOTTI NON FUNZIONALI

La Finanziaria reintroduce la possibilità di finanziare lotti costruttivi e non più solo lotti funzionali delle infrastrutture previste dalla Legge obiettivo. Si potranno così aprire molti nuovi cantieri. Ma è anche possibile che si moltiplichino i casi di puro spreco delle risorse pubbliche. In particolare nelle ferrovie, dove più gravi sono i problemi tecnici di raccordo tra parti nuove e rete esistente: basta pensare al cambio di tensione tra alta velocità e linee ordinarie. Ricordando che oltretutto gli “stop and go” costano molto cari.

MA L’ITALIA È GIÀ MULTIETNICA

L’Italia non sta diventando multietnica perché qualche scriteriato ha aperto le frontiere. Il cambiamento avviene per dinamiche ed esigenze che hanno origine all’interno della nostra società, e in modo specifico nel mercato del lavoro. Discriminare o ritardare l’accesso alla cittadinanza rischia di portare acqua proprio al mulino di quel fondamentalismo che si vorrebbe contrastare. Mentre la legge che definisce reato la permanenza nel nostro territorio senza permesso di soggiorno è inapplicabile per mancanza di strutture e mezzi adeguati, prima ancora che anticostituzionale.

 

SE PER FS LA PUNTUALITÀ È ACCADEMICA

Fs considera in orario i treni che arrivano a destinazione con quindici minuti di ritardo. Insomma, si concede una sorta di quarto d’ora accademico sulla puntualità. Una consuetudine europea, sostengono alla società di Mauro Moretti. In realtà in Europa il limite di tolleranza è in genere di cinque minuti. E le compagnie europee fanno nettamente meglio di Trenitalia sulla media-lunga distanza non ad alta velocità. Per i regionali la puntualità appare invece buona. Lombardia esclusa, però.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Innanzitutto grazie a tutti per i commenti e le osservazioni inviate. Vorrei cercare di riprendere brevemente alcune delle questioni sollevate.

 E CHI LA FAMIGLIA NON LA HA?

Giustamente molti hanno sottolineato uno dei maggiori limiti dell’approccio familistico: il modello non è adeguato a proteggere chi non ha una famiglia (intesa qui come unità composta da più generazioni), o chi vive lontano dalla propria famiglia. È fuori di dubbio che, nel medio-lungo termine, processi quali l’aumento della mobilità geografica delle famiglie, la crescita del numero di separazioni e divorzi (con il relativo indebolimento delle solidarietà intergenerazionali), o l’aumento della quota di coppie senza figli, rendono di difficile attuazione un modello di solidarietà quale quello ipotizzato nel documento “Italia 2020”. Di fronte a questo sarebbe preferibile sviluppare un modello che non parta dall’assunto che tutte le persone anziane avranno una famiglia vicina e disponibile a prendersi cura di loro. Personalmente mi ritrovo con chi dice di avere una preferenza per modelli di tipo scandinavo: fortemente centrati sull’offerta pubblica (non privata) di servizi (non trasferimenti). Ma credo che occorra anche essere realisti e democratici: al momento una tale soluzione sembra non godere dell’appoggio della maggioranza dei cittadini italiani, né dell’appoggio di alcun schieramento politico. Preso atto di questo, una soluzione intermedia potrebbe essere quella offerta dal modello tedesco dove gli utenti possono liberamente optare per i trasferimenti (poi gestiti dalla famiglia per acquistare cure sul mercato) o per i servizi offerti da enti pubblici o in convenzione.

FAMILISMO ESPLICITO E PARTECIPAZIONE DELLE DONNE AL MERCATO DEL LAVORO

Come fa notare il lettore Luca Neri gli effetti del familismo esplicito sull’occupazione femminile non sono affatto scontati. Ad esempio aumentando i trasferimenti alle famiglie potremmo ottenere un forte effetto di disincentivazione delle donne alla partecipazione al mercato del lavoro. Le donne con contratti scarsamente protetti, o con salari bassi, sarebbero ancora più incentivate ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei propri anziani tenendo per sé i trasferimenti pubblici. Anche in questo caso, a mio avviso, la soluzione migliore sarebbe quella di un sistema pubblico di servizi. Tuttavia è assolutamente legittima anche la posizione di chi preferisce lasciare libere le famiglie di decidere se prendersi cura direttamente dei propri cari, ricevendo aiuti dallo stato, piuttosto che demandarne la cura ad altri. Di nuovo una soluzione intermedia potrebbe essere quella di chiedere che, come avviene ad esempio in Francia, vi sia un controllo formale da parte delle istituzioni pubbliche sul come vengono spesi i soldi dei trasferimenti. Quanto meno, in questo modo, i servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato regolare e si eviterebbe l’ipocrisia di incentivare da un lato l’occupazione irregolare di migliaia di badanti e, dall’altro, di fare la faccia cattiva contro l’immigrazione irregolare. 

E CHI PAGA?

In realtà credo che tutti, persino i nostri parlamentari, sarebbero d’accordo sull’aumentare i servizi e gli aiuti per le famiglie che si occupano dei propri anziani. Ma il punto è: dove prendere i soldi per finanziare tale sistema? La maggioranza dei paesi dell’Europa continentale ha messo in campo, negli anni Novanta, schemi di tipo assicurativo. Seguire questa strada, però, ha alcune possibili conseguenze negative, mi preme sottolinearne due: (i) aumenterebbe il costo del lavoro, con possibili ripercussioni sui livelli occupazionali nei settori esposti alla concorrenza internazionale; (ii) il sistema di welfare Italiano, già fortemente sbilanciato a favore della generazione attualmente anziana o  in procinto di pensione, diventerebbe ancor più generoso verso questa coorte di età a spese delle generazioni più giovani.
Il “nodo” del finanziamento, quindi, sembrerebbe essere il primo da sciogliere. Non esiste una soluzione facile o univocamente migliore, tuttavia non fare nulla è probabilmente la peggiore delle soluzioni.

UN’INFLUENZA TRATTATA IN SEGRETO

In pochi si sono vaccinati contro l’influenza A. Un comportamento probabilmente condizionato dalle modalità con le quali è stato trattato il problema: un allarme più mediatico che reale, affrontato in modo poco trasparente, diffondendo informazioni confuse e talvolta addirittura contraddittorie. Ma davvero sorprendente è il contratto tra il ministero e la società farmaceutica che produce il vaccino in Italia: sottoposto a vincolo di segretezza e con un evidente squilibrio di oneri, tutti a carico della pubblica amministrazione.

LO SCUDO MEDIATICO

L’operazione scudo fiscale è stata gestita da un punto di vista mediatico con grande abilità. Focalizzando l’attenzione su un messaggio positivo: il rientro di quasi 95 miliardi, presentato come un segno di fiducia nell’Italia e nella forza della sua economia. Un’informazione però fuorviante. Perché non tutti i capitali sono effettivamente tornati nel nostro paese. E in ogni caso non si può dare per scontato che verranno investiti in Italia. Quanto al gettito, accertamenti con le nuove norme antievasione avrebbero quasi sicuramente garantito maggiori entrate.

Oltre il Pil

Il più contestato tra indicatori economici spesso messi in discussione è senz’altro il Pil. Per il quale da tempo gli economisti cercano un’alternativa. Proprio per questo in Francia si è messa all’opera una commissione presieduta da due premi Nobel. Con risultati però deludenti per chi si aspettava un nuovo indicatore sintetico che sostituisse completamente il prodotto interno lordo. Anche perché si continua a non rendere davvero espliciti gli obiettivi che si vogliono perseguire. Un contributo più originale potrebbe invece arrivare proprio dall’Italia.

LA GRANDE ATTESA PER LA GRANDE RIFORMA FISCALE

Il ministro del Tesoro ha annunciato tra gli obiettivi del prossimo anno il rilancio di una grande riforma fiscale che superi la logica dei “rattoppi” degli ultimi anni. Benissimo. Non c’è dubbio che il sistema tributario italiano avrebbe bisogno di una seria e ponderata revisione. Non solo incombe una riforma in senso federale che deve essere ben meditata anche per evitare ulteriori incrementi nella pressione tributaria. Ma questa, oltre che già elevata, è soprattutto mal distribuita. Il prelievo si concentra infatti quasi esclusivamente su pochi cespiti e pochi contribuenti. Tartassiamo i fattori produttivi, lavoro e capitale, e tassiamo troppo poco patrimoni e rendite. L’opposto di quello che dovrebbe fare un paese che ha seri problemi di crescita e ancor più seri problemi di equità. Sempre di più, l’Italia è un paese dove chi nasce ricco resta ricco, mentre chi vuole legittimamente e legalmente arricchirsi con i frutti del proprio impegno e del proprio lavoro non ha la possibilità di farlo. Ma è importante che il ministro si ricordi che la principale riforma necessaria in Italia è la lotta all’evasione e a tutte le forme presenti nel nostro sistema fiscale di elusione e erosione. Non è possibile immaginare che si possa costruire un sistema fiscale più giusto e efficiente finché tra il 50 e il 75%, a secondo delle stime, dei redditi da lavoro autonomo, piccola impresa e liberi professionisti risulta nascosto al fisco. Non è possibile continuare a tollerare che il 50% delle imprese italiane risulti permanentemente in perdita o che il numero dei contribuenti che dichiarano più di 100.000 euro all’anno sia minore del numero delle automobili immatricolate che costano più di quella cifra. Lo stesso sbandierato successo dello scudo (capitali rientrati a consuntivo pari a quasi il 10% del PIL) da un’idea dell’enormità del fenomeno in Italia. Va anche sottolineato che finora i provvedimenti del governo in campo tributario, tra condoni, riduzione dei controlli sui redditi da lavoro autonomo e abolizione dell’Ici, non sono particolarmente incoraggianti. Ma aspettiamo le nuove proposte per discuterne.

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