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UN COMMENTO DI ELEONORA MICHELI SULLE VENDITE ALLO SCOPERTO

Speriamo davvero che le autorità di sorveglianza di tutto il mondo ricordino che il divieto delle vendite allo scoperto non ha prodotto gli effetti sperati, quando si troveranno a fronteggiare la prossima crisi. Tra l’altro anche il divieto sulle vendite allo scoperto sui titoli di società oggetto di aumento di capitale, ultimo baluardo rimasto in vigore in Italia sino a pochi mesi fa, di fatto ha impedito il buon funzionamento del mercato, anche se introdotto con il buon proposito di limitare la speculazione. In assenza di vendite allo scoperto si sono bloccati gli arbitraggi e la conseguenza è stata che il prezzo delle azioni, durante l’operazione di aumento di capitale, non si è allineato al valore teorico indicato dai diritti per sottoscrivere l’aumento. Un vero problema nel caso di operazioni sul capitale realizzate con il prezzo dei nuovi titoli fissato a livelli sensibilmente inferiori rispetto al loro corso nei giorni precedenti l’aumento di capitale e con il numero di azioni di nuova emissione sensibilmente più elevato rispetto ai titoli in circolazione precedentemente. Risparmiatori e trader poco avvezzi a fare i calcoli nei primi giorni dell’aumento hanno acquistato a piene mani le azioni, attratti dai valori apparentemente a sconto rispetto a quello dei giorni precedenti al lancio dell’operazione. Si è sempre trattato, però, solamente di un "effetto ottico". L’intervento degli arbitraggisti (investitori che vendono le azioni allo scoperto e al tempo stesso acquistano diritti) avrebbe evitato tale distorsione: gli investitori professionisti avrebbero infatti acquistato diritti e venduto azioni (pur non avendole in portafoglio) fino al completo allineamento dei valori. Ma visto la tecnicità dell’argomento, passiamo a un esempio concreto: Seat Pagine Gialle nella primavera del 2009 ha lanciato un aumento di capitale da 200 milioni (iniziato il 30 marzo e terminato il 17 aprile), con azioni di nuova emissione offerte a 0,106 euro, livello sensibilmente più basso rispetto ai 3-5 euro dei corsi dei titoli nei giorni precedenti l’operazione (5,96 euro il giorno che ha preceduto l’inizio dell’aumento). Nelle prime sedute di aumento di capitale le azioni dell’azienda che edita le Pagine Gialle sono volate fino a toccare un massimo a 1,1 euro (il primo giorno, in particolare, hanno guadagnato oltre il 100% salendo a 0,61 euro). Ma una volta terminata l’operazione, le azioni sono scivolate a 0,17 euro, esattamente il valore che più o meno avevano sempre indicato i diritti. Insomma chi ha comprato nei primi giorni dell’operazione ha avuto solo l’illusione di guadagnare e, a meno che abbia venduto in giornata, ha accusato una sonora perdita. Si potrebbero fare altri esempi citando gli aumenti di capitale di Pirelli Real Estate e Tiscali. Tutte operazioni il cui minimo comun denominatore è stato il fatto che il prezzo delle azioni di nuova emissione è stato notevolmente inferiore a quello pre-aumento di capitale e il numero delle azioni emesse è stato consistente. Concludendo, appare chiaro che durante gli aumenti di capitale l’intervento degli arbitraggisti favorisce l’efficienza del mercato ed evita amare delusioni ai piccoli risparmiatori.

GELMINI DESTRUENS

Finora abbiamo visto solo la parte destruens. Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha sapientemente riorganizzato la scuola primaria e secondaria in modo tale da permettere le riduzioni d’organico che le erano state richieste dal Ministero dell’Economia. I mancati rimpiazzi di insegnanti andati in pensione hanno aumentato l’età media del corpo docente, per altro già elevata per via dell’anomalo andamento delle immissioni in ruolo in periodi passati. Come accaduto lo scorso anno per la scuola primaria, la cosiddetta riforma della scuola secondaria recentemente varata dal governo, riducendo le sperimentazioni, riduce nel contempo il tempo trascorso a scuola da parte dei ragazzi. Analogamente, l’apertura della possibilità dell’apprendistato come assolvimento dell’obbligo scolastico varata dalla Commissione Lavoro della Camera permette di ridurre le risorse destinate al recupero della dispersione scolastica. Tutto ciò che razionalizza e usa in modo più efficiente le risorse date non può che essere benvenuto. Ma non basta. Manca la parte construens. Nel settembre 2008 il Ministro dell’Istruzione aveva promesso che un terzo dei risparmi di bilancio sarebbero stati restituiti al settore sotto forma di meccanismi premianti per i docenti più meritevoli. Era stato promesso un piano per l’edilizia scolastica che recuperasse le situazioni di maggior degrado. Di tutto questo fino ad oggi non c’è traccia nell’operato governativo. Per ottenere comportamenti virtuosi non basta ripetere il mantra del merito. Occorre disegnare meccanismi che orientino i comportamenti verso obiettivi socialmente desiderabili. Pensando all’attuale divario di apprendimento che caratterizza le scuole meridionali a tutti i livelli, nulla è stato messo in campo per spingere insegnanti e giovani meridionali a recuperare rispetto ai loro coetanei del nord Europa. Pensando agli elevati tassi di mancato conseguimento dei titoli secondari nelle regioni nord-orientali, ci domandiamo quali interventi siano stati intrapresi per rovesciare questo andamento. Pensando agli elevati tassi di turn-over dei docenti sulle cattedre, non notiamo alcuna inversione di tendenza. Pensando al reclutamento dei nuovi insegnanti, siamo ancora in attesa di un segnale ai nuovi aspiranti. Last but not least, la valutazione degli apprendimenti in modo universale è ancora di là da venire. Nonostante i miracoli fatti dall’Invalsi, solo il 6.8% degli studenti è stato valutato nell’ultimo test sulla scuola primaria. Ci domandiamo come si pensi di costruire un nuovo modo di fare scuola, quando si rinuncia a misurare, non si premiano i comportamenti virtuosi e si distribuiscono soltanto tagli a pioggia.

PIIGS, PORCI CON LE ALI

Se per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna valessero gli stessi criteri usati per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, sarebbero tutti indicati a rischio default. Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. Verosimilmente per l’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari e a linee di credito intergovernative, per le banche centrali nazionali all’interno dell’euro-sistema e l’assenza di recenti episodi di insolvenza. Ma fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?

Reazioni sbagliate: il divieto di vendite allo scoperto

Dopo il fallimento di Lehman Brothers molti paesi hanno reagito alla crisi vietando la vendita di titoli allo scoperto. L’evidenza empirica indica che nel migliore dei casi il divieto non ha influito significativamente sui prezzi, ma ha danneggiato la liquidità del mercato. Un danno particolarmente grave perché si è verificato quando la liquidità già scarseggiava e gli investitori la cercavano disperatamente a causa del congelamento di molti mercati nel settore del reddito fisso. Una lezione che le autorità di sorveglianza faranno bene a ricordare in futuro.

PERCHÉ LA CRISI RIMANE FUORI DALLE AULE DI ECONOMIA

Non si parla della crisi nelle facoltà di economia italiane. Rimane una sostanziale impermeabilità dei contenuti dei corsi di microeconomia e macroeconomia. Perché? Contano certo le resistenze di studenti e docenti e il perpetuarsi degli steccati corporativi all’interno della disciplina. Ma la verità è che una buona didattica non è in alcun modo incentivata dal nostro sistema universitario e non lo sarà nemmeno dopo la riforma Gelmini.

I DOVERI DI FIAT E QUELLI DELLO STATO

La vicenda Fiat rappresenta una cartina di tornasole della capacità del paese di mantenere sul territorio italiano il quartier generale, e una parte sostanziale della produzione, di una multinazionale nata e cresciuta in Italia. Se invece di lavorare a un progetto di ampio respiro si continuerà a invocare la responsabilità sociale e ad addossare alle imprese oneri che sono di competenza dello Stato, senza neppure fornire una controparte infrastrutturale e istituzionale adeguata, a quella di Termini seguiranno altre chiusure.

ISTRUZIONI PER L’USO DELLA BIBLIOMETRIA

Valutare la ricerca è indispensabile. E per farlo la comunità accademica giudica la qualità delle pubblicazioni scientifiche attraverso due metodi: la recensione dei pari e gli indicatori bibliometrici basati sulle citazioni. I secondi hanno il vantaggio di essere più democratici ed economici dei primi, ma anche due gravi limiti. Non esistono infatti dati di buon livello per tutte le discipline e manca un metodo bibliometrico standard. Meglio allora affidarsi a una saggia cooperazione tra revisione dei pari e bibliometria.

UNA DOTE DA PRENDERE SUL SERIO

I 500 euro proposti da Brunetta per combattere il fenomeno dei bamboccioni erano probabilmente solo una provocazione. Però non è sbagliata l’idea di offrire una dote ai neo-maggiorenni. Per pagare gli studi all’università o correggere le imperfezioni del mercato del credito per iniziare un’attività o comprare una casa. Altri paesi già prevedono misure simili. Per importarli anche in Italia occorre però trovare i finanziamenti necessari. Che si potrebbero ricavare agendo sulla tassa di successione sulle eredità più sostanziose.

VOLTREMONT E IL CALICE DELL’ECONOMIA

Si intitola “Tremonti: istruzioni per il disuso” il libro scritto da cinque economisti. Passa in rassegna in modo impietoso le affermazioni contenute negli scritti del nostro ministro dell’Economia. E dimostra che le sue tesi e le sue previsioni sono molto spesso lontane dalla realtà di dati, numeri e statistiche. Eppure si tratta proprio di quelle stesse affermazioni che hanno contribuito a rendere il ministro l’intellettuale più influente della attuale maggioranza. Perché allora in pochi finora hanno messo in luce le sue incongruenze?

La risposta ai commenti

Cari lettori,

grazie per i vostri commenti. Nel mio intervento giudicavo un’affermazione del Presidente del Consiglio che non regge alla prova dei fatti.
Ma il discorso, nel confronto con voi, si è  molto allargato. Quindi provo a fornire ulteriori dati utili per un confronto informato.
Cominciamo dalla propensione a commettere reati. Secondo il “Rapporto sulla Criminalità in Italia” emanato nel 2007 dal Ministero dell’Interno, la quota di immigrati regolari denunciati è solo lievemente superiore (6%) inferiore alla loro quota (5%) sulla popolazione totale. Quindi la propensione a commettere reati non sembra molto diversa da quella degli italiani.
Altri di voi fanno presente che i miei dati non riguardano l’immigrazione clandestina. Vero. Io giudicavo un’affermazione del Presidente del Consiglio riferita a tutti gli immigrati, non solo ai clandestini. Quindi i dati che ho considerato erano quelli appropriati. A meno che qualcuno voglia sostenere che a fronte di un incremento di quasi 2 milioni degli immigrati regolari c’è stata una riduzione di più di due milioni dell’immigrazione clandestina.
La questione degli immigrati clandestini merita comunque un approfondimento. Ci sono, in effetti, significative differenze tra immigrati regolari e irregolari in termini di propensione a delinquere. Il citato rapporto del Ministero degli Interni mette in luce che tra il 70 e l’80 per cento (a seconda dei reati) degli immigrati denunciati è sprovvista di un regolare permesso di soggiorno, mentre la quota degli irregolari sul totale degli stranieri è molto inferiore. Quindi i clandestini sono sovra-rappresentati fra gli immigrati presumibilmente coinvolti in reati. Ma la cosa importante da stabilire è se le politiche migratorie sin qui perseguite abbiano contribuito a ridurre la criminalità. La mia impressione è che non sia il caso. Perché non sono riuscite a contenere l’arrivo di clandestini (arrivano comunque fin quando il lavoro nero sarà tollerato) e perché hanno reso più difficile agli immigrati che erano già da noi la regolarizzazione, inducendoli a commettere reati che altrimenti non avrebbero commesso. Quanto è forte questo effetto dell’irregolarità in quanto tale sulla propensione a commettere reati? Gli immigrati illegali non sono normalmente osservabili nelle statistiche ufficiali. E la probabilità di richiedere e ottenere un permesso di soggiorno è plausibilmente correlata con altre determinanti della propensione a delinquere (per esempio le potenzialità di guadagno sul mercato del lavoro regolare) che rendono complicato isolare l’effetto dello status giuridico. Per ovviare a queste difficoltà due ricercatori, Giovanni Mastrobuoni e Paolo Pinotti, hanno confrontato la propensione a delinquere degli immigrati Rumeni, che hanno ottenuto lo status legale in Italia a seguito dell’ingresso del loro paese nell’Unione Europea, con quella di altre nazionalità. Dal momento che le differenze tra i due gruppi in termini di status giuridico prima e dopo il 1° Gennaio 2007 dipendono principalmente da un evento esterno (l’allargamento a est dell’Unione Europea) piuttosto che da decisioni e caratteristiche individuali, differenze sistematiche nella dinamica della propensione a delinquere dovrebbero essere altresì indipendenti da variabili diverse dallo status giuridico. Dati individuali sulla recidività degli stranieri scarcerati a seguito del provvedimento di indulto varato 5 mesi prima dell’entrata in vigore della libera circolazione sopperiscono alla tradizionale mancanza di fonti statistiche sugli immigrati irregolari.
I risultati dello studio suggeriscono che l’estensione dello status legale a tutti i Rumeni ha diminuito drasticamente la loro recidività rispetto a quella delle altre nazionalità. Per esempio, la  Figura qui sotto mostra la probabilità che un ex-detenuto Rumeno sia riarrestato in ciascun giorno durante i 10 mesi successivi alla sua scarcerazione, rispetto alla stessa probabilità per un Albanese. La maggiore propensione a delinquere degli immigrati irregolari sembra dunque dovuta, in larga parte, alla condizione stessa di illegalità, piuttosto che a caratteristiche individuali ad essa correlate.
Alla luce di questi risultati, politiche migratorie restrittive possono avere effetti perversi in termini di numero di crimini commessi dagli immigrati (irregolari) presenti sul territorio. Per esempio, è lecito interrogarsi sulle conseguenze di decreti flussi come quello del 2007, che fissò un tetto di 170.000 permessi di soggiorno a fronte di 740.000 domande, la maggior parte delle quali presentate da immigrati già presenti sul territorio, spingendo dunque diverse centinaia di immigrati in una condizione di illegalità.
Recidività degli ex-detenuti liberati con l’Indulto del 2006.

Recidività degli ex-detenuti liberati con l’Indulto del 2006

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