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La risposta ai commenti

Scrive il dott. Harari nella sua replica al nostro articolo che il livello dell’’inquinamento delle città del nostro Paese è inaccettabile e che per ridurlo sono indispensabili “strategie ambientali” su macro-regioni. Non si precisa quali dovrebbero essere tali strategie.
La nostra modesta cultura sanitaria non ci permette di esprimere una valutazione informata dell’’impatto sulla salute dell’’inquinamento atmosferico.  Ci pare però utile presentare ai lettori qualche altro parere, perché possano formarsi un’’opinione e, se ne hanno voglia, decidere di approfondire la questione. Ecco dunque quanto scriveva qualche anno fa l’’Accademia Francese delle Scienze (1): “Vi sono numerose incertezze in merito alla rilevanza degli effetti a corto e a lungo termine. Tali incertezze sono legate alla piccolezza del rischio (corsivo nostro). È relativamente facile misurare un rischio relativo superiore a 5, come accadeva trent’anni fa. Negli anni Ottanta dello scorso secolo ci si è occupati di rischi dell’’ordine di grandezza da 1,5 a 2 e già questo risultava molto più difficile poiché i fattori di confusione introducono rilevanti elementi di imprecisione. Ma, oggi, i rischi relativi sono compresi fra 1,02 e 1,05; ci si viene quindi a trovare in una situazione assai complessa in quanto i risultati sono largamente influenzati dal tipo di metodologia utilizzata: la correzione dei fattori di confusione, i modelli matematici che sono indispensabili per l’’analisi determinano infatti livelli di incertezza assai rilevanti… Se si paragonano le diverse Regioni della Francia si può riscontrare una forte correlazione fra la mortalità prematura e il consumo di alcol e di tabacco mentre non è possibile rilevare alcun impatto delle diverse forme di inquinamento sulla speranza di vita o sulla frequenza dei casi di cancro sia a scala nazionale che regionale. In particolare, in Francia, non si registra alcuna correlazione fra l’’evoluzione della speranza di vita e l’’inquinamento atmosferico; la speranza di vita più elevata dell’’intero Paese è quella che si registra nell’’Île de France ossia nella regione più densamente popolata e che fa registrare i livelli di traffico più elevati. Si può inoltre rilevare come le due regioni nelle quali la speranza di vita si è maggiormente accresciuta nel corso degli ultimi decenni sono la regione di Parigi e la Provenza Costa Azzurra. Tali elementi non consentono di escludere che esista un qualche impatto dell’’inquinamento sulla salute ma suggeriscono che non si tratta di fattori che hanno un peso maggioritario”. Analoghe considerazioni, aggiungiamo noi, possono essere presumibilmente svolte con riferimento all’’Italia.
Un impatto, dunque, da non sottovalutare ma neppure da sovrastimare. Come ha fatto notare nel suo commento il dott. Galavotti (AUSL Modena) il rischio della sovrastima è che: “una spasmodica attenzione verso l’inquinamento collettivo riduca l’attenzione dei cittadini sul più grave e rimediabile dei fattori di rischio sanitario: il comportamento individuale”. Al riguardo si segnalano anche le parole di Umberto Veronesi (2): “un atteggiamento, inaccettabile, è quello di cambiare la realtà dei fatti. Un luogo comune, molto diffuso, è quello di affermare che l’inquinamento atmosferico, specie in città, è tale che una sigaretta in più o in meno non fa alcuna differenza. È un’affermazione sbagliata e priva di senso: l’inquinamento cittadino provoca bronchiti, allergie, ma la possibilità che provochi tumore al polmone è minima rispetto a quella del fumo di sigaretta. Pochi lo sanno, ma nell’arco alpino, ad esempio in Friuli, dove si fuma molto, l’incidenza del cancro al polmone è superiore a quella che si registra in città come Milano o Genova. Impegnarsi per un ambiente più pulito è giusto, ma questo non deve distoglierci dalla lotta contro i tumori”. Infatti, secondo il parere del dott. Aldo De Togni (AUSL Ferrara): “una persona che respira per un anno lo smog di una città molto inquinata come Los Angeles inala la stessa quantità di inquinanti combusti che un fumatore introduce col fumo di 40 sigarette”. L’’inquinamento atmosferico, nel peggiore dei casi, sarebbe dunque paragonabile al fumo di una sigaretta ogni nove giorni.
Impatto sulla salute a parte, vale la pena di precisare che il nostro intervento mirava a smentire con i numeri la tesi secondo cui l’’inquinamento nelle città italiane starebbe continuamente peggiorando. Non abbiamo detto – né avremmo avuto gli strumenti per farlo – che il livello attuale del particolato o di altri inquinanti nelle città italiane è alto, basso o accettabile e neppure abbiamo nascosto che le città italiane si trovano in coda alla lista nella graduatoria delle città europee per rispetto dei limiti comunitari in materia di emissioni di particolato. Volevamo e vogliamo richiamare la differenza tra livelli e dinamica, nonché tra livelli assoluti e relativi. Ignorando queste differenze, a nostro avviso, si fa solo confusione. E dalla confusione non nascono buone politiche. In ogni caso, eventuali ulteriori politiche di riduzione dell’’inquinamento atmosferico dovrebbero essere valutate alla luce di un’’attenta analisi dei costi e dei benefici.
Come evidenziato nell’’articolo, le politiche di riequilibrio modale indotto dal potenziamento dell’’offerta di trasporti collettivi (a spese dei comuni) non sembrano superare questo test: avrebbero elevati costi per i contribuenti e benefici molto modesti, se paragonati a quelli conseguiti grazie alla innovazione tecnologica. L’’offerta non crea la sua domanda! L’’introduzione di un pedaggio, abbinata al potenziamento della rete stradale (specie sotterranea) – il cui obiettivo prioritario sarebbe la riduzione dei costi di congestione che risultano essere assai più elevati di quelli correlati all’’inquinamento –avrebbe come beneficio ancillare la riduzione delle emissioni nelle città, perché contribuirebbe alla riduzione della circolazione di autoveicoli. Il potenziamento del trasporto collettivo, in questo caso, verrebbe trainato dalla maggior domanda (di coloro che usano meno l’’auto privata) e dalla maggior velocità di circolazione nelle aree sottoposte a pedaggio. I costi sarebbero molto più bassi. Infatti, per potenziare il servizio a congestione invariata (come nello scenario “riequilibrio modale”) sarebbero necessari più autisti, più mezzi, più spese di manutenzione e più carburante; nello scenario “pedaggio”, viceversa, sarebbe in buona misura possibile potenziare il servizio spendendo in più solo per il carburante e per le manutenzioni, a parità di ore lavorate, di autisti impiegati e di parco autobus. Considerando quanto incide il costo del lavoro sui costi totali di gestione e quanto pesano i mezzi sulla spesa per investimenti…

(1) Académie des Sciences – Cadas, (1999), Pollution atmosphérique due aux transports et santé publique, Rapport commun n. 12, Paris, p. 177
(2) L’’Unità, 13 aprile 2002

Come evitare la guerra delle valute

Siamo alla vigilia di una guerra valutaria, come sostiene la stampa finanziaria interpretando le mosse recenti e future delle banche centrali? Forti oscillazioni delle monete producono tensioni e conseguenze inaspettate. Ma se Fed, Bce e Banca del Giappone procedessero contemporaneamente a un nuovo giro di “quantitative easing” per favorire le esportazioni, il problema non si porrebbe. Più difficile la posizione dei paesi emergenti che rischiano inflazione, bolle e ritorsioni commerciali. Dovrebbero perciò puntare a rafforzare la domanda interna di prodotti manifatturieri.

Sapessi com’è strano frequentare un nido a Milano

Non c’è da stupirsi se a Milano diminuiscono i residenti nella fascia di età 25-35 anni, quella in cui si concentrano le famiglie con figli al di sotto dei tre anni. L’inizio d’anno scolastico per i nidi milanesi è stato all’insegna del caos. In molti mancavano le educatrici e sono stati sospesi i nuovi inserimenti con gravi ripercussioni sull’organizzazione familiare e, soprattutto, sui bambini. Tutto a causa di una incomprensibile disorganizzazione dell’amministrazione comunale.

Il nuovo patto? Non funzionerà

 

La terza versione del Patto di stabilità e crescita prevede sanzioni più severe e soprattutto automatiche per i paesi dell’eurozona che non rispettano i vincoli su debito e deficit. Ma le nuove regole sono destinate al fallimento, esattamente come quelle precedenti. Perché derivano da una analisi sbagliata delle cause della crisi. E per il difetto di legittimità politica che incombe sulla Commissione europea. Si possono però ipotizzare norme alternative, tenendo conto anche delle responsabilità delle autorità monetarie.

La lungimiranza delle regole semplici

Nelle proposte di riforma del Patto di stabilità e crescita spicca l’idea di chiedere ai paesi ad alto debito una riduzione continua del rapporto debito pubblico-Pil, secondo una formula semplice. Se fosse stata applicata fin dall’avvio del l’area euro, il rapporto debito-Pil italiano sarebbe ora in vista del 70 per cento e non vicino 120 per cento. L’Italia può chiedere un’applicazione “intelligente” della nuova regola. Oppure uniformarvisi anche se nel primo periodo comporterà decisioni dolorose. Il paese saprà fare la scelta giusta?

Si guadagna poco, ma non è colpa dell’inflazione

Secondo l’Ires-Cgil negli ultimi dieci anni i lavoratori italiani hanno perso 5.500 euro per colpa dell’inflazione. Nostri calcoli dicono che non è andata così. Anzi, il potere d’acquisto dei lavoratori è oggi leggermente aumentato rispetto a quello di dieci anni fa. Questo non cancella il fatto che in Italia esista una questione salariale. Ma i bassi salari non sono colpa dell’inflazione, bensì della bassa produttività. Ed è questo il problema che si dovrebbe pensare a risolvere.

Niente romani, please

Pare che sia la volta buona: a giorni avremo la nomina del nuovo ministro per lo Sviluppo economico. Vista la girandola di nomi e le molte false partenze di questi mesi, ci permettiamo di dare qualche suggerimento, sperando di sortire qualche effetto. Chiarendo quali caratteristiche dovrebbe avere un buon ministro dello Sviluppo economico in questa fase difficile della nostra economia. Dovrebbe essere persona convinta e decisa sostenitrice della concorrenza, motore insostituibile per la competitività delle nostre imprese; dovrebbe essere sponsor delle liberalizzazioni, da troppo tempo in sonno profondo; dovrebbe farsi portatore di interventi che evitino il “caso per caso” e la discrezionalità e che invece agevolino funzioni cruciali per lo sviluppo delle imprese: il sostegno agli sforzi di esportazione in nuovi mercati, di innovazione di prodotto e di processo. Dovrebbe essere figura capace di seguire una molteplicità di settori oggi impegnati in queste sfide, capace di dialogo con le imprese, le forze sociali e le autorità indipendenti, attento alla dimensione europea delle politiche industriali e della concorrenza. E non dovrebbe invece essere persona di limitate prospettive, irrimediabilmente attratta dal settore televisivo, incapace di resistere alla tentazione di entrare in campo e favorire una squadra, maldestra paladina di interessi di parte nelle discussioni a Bruxelles. Insomma, per intenderci, non uno come Paolo Romani.

Post scriptum, 4 ottobre 2010: …appunto.

Le conseguenze del patto riformato

La crisi finanziaria ha messo a nudo l’inadeguatezza dei meccanismi di sorveglianza europei nel prevenire l’indisciplina di bilancio, l’esplosione dei debiti sovrani, gli squilibri commerciali e i divari di competitività tra i paesi membri. Per questo la Commissione europea ha adottato un’importante riforma del Patto di stabilità e della governance economica dei paesi dell’euro. Sarà sufficiente?

La prima e ultima decisione

Nel giorno stesso in cui il governo ha ricevuto la fiducia alla Camera, è apparsa sul sito del ministero del Tesoro la prima Decisione di finanza pubblica. Arriva in ritardo e rischia di essere già stata superata dai fatti. Perché riflette solo decisioni già prese, rese insufficienti dalle revisioni del Patto di stabilità e dall’andamento del gettito tributario inferiore alle previsioni. Oltretutto sarà anche l’ultima.

Inquinamento: se la diagnosi è sbagliata la terapia non funziona

Non è vero che la qualità dell’aria in Italia è peggiorata. Sono i vincoli dell’Unione Europea a essere divenuti più rigidi e molte città italiane faticano a rispettarli. Si è invece aggravato il problema della congestione stradale nelle grandi aree metropolitane. Ma per risolvere questo problema la strategia più adeguata non è il potenziamento dei trasporti collettivi. Sarebbe preferibile introdurre sistemi di pagamento per la circolazione nelle aree urbane.

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