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Categoria: Lavoro Pagina 66 di 111

TROPPO POCO PER LE DONNE

Le donne soffrono di più la crisi: i dati in proposito sono molto chiari. La riforma del mercato del lavoro propone alcune misure apprezzabili, ma si tratta di interventi simbolici. Mentre non trovano spazio sufficiente la tutela delle donne, il riconoscimento del peso del loro ruolo familiare e gli incentivi a una loro maggiore presenza sul mercato del lavoro. Obiettivo di una riforma efficace dovrebbe essere la riduzione dei divari di generazione e di genere, già così ampi nel nostro paese. E dovrebbe cercare di diminuire, non di accrescere, la dipendenza dei figli dalla famiglia.

LA RIFORMA È FATTA. LUNGA VITA ALLA PROSSIMA RIFORMA

Dalla mediazione tra governo e partiti è uscita una riforma del lavoro con più rigidità in uscita in cambio di meno restrizioni all’abuso di contratti temporanei rispetto alla proposta iniziale. Il compromesso ci consegna un mercato del lavoro che non risolve il dualismo e che aumenta il cuneo fiscale e la complessità della procedura di licenziamento. Ci sarebbe voluto molto più coraggio sulla limitazione delle forme di lavoro parasubordinato e sul percorso verso la stabilità di chi cerca lavoro a tutte le età. A ridurre il precariato ci penserà, inevitabilmente, la prossima riforma.

DISOCCUPAZIONE E CIG

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SE IL LAVORO È PROTETTO, LA CRESCITA RALLENTA

Gli effetti dei regimi di protezione dell’occupazione sul mercato del lavoro in termini di efficienza per imprese e lavoratori sono oggetto di studio e di dibattito approfondito. Meno attenzione è dedicata agli effetti sulla crescita di lungo periodo. Modificando gli incentivi delle imprese all’adozione di tecnologie più innovative nei settori con forza lavoro più qualificata, elevati costi di assunzione e licenziamento rallentano l’espansione di questi settori e la crescita della produttività, favorendo una specializzazione basata su settori maturi e tradizionalmente meno innovativi.

DACCI UN ARTICOLATO!

Il Governo insiste che non cambierà una virgola della riforma del lavoro. Ma la riforma ancora non c’è. Due lettere inviate ai quotidiani nei giorni scorsi dai ministri Fornero e Patroni Griffi hanno chiarito che non è affatto chiaro ciò su cui politici, tecnici e parti sociali “si stanno scazzottando” (l’espressione è di uno dei pugili, Pierluigi Bersani). La prima lettera ci informava del fatto che il Governo deve ancora definire il regime che si applicherà alle partite Iva e che “le proposte saranno messe a punto entro pochi giorni”. La seconda lettera sosteneva che la riforma comunque non si applicherà al pubblico impiego, contravvenendo al testo licenziato solo due giorni prima dal Consiglio dei Ministri e aprendo conflitti fra dipendenti pubblici e privati nonchè possibili problemi di costituzionalità della riforma.
Non si tratta certo di aspetti secondari. Coinvolgono milioni di lavoratori. Questi “chiarimenti” che intervengono dopo settimane di tira e molla nella cosiddetta concertazione, riunioni Abc che annunciano accordi sul testo elaborato dal tavolo e, infine, un Consiglio dei Ministri che ha approvato la riforma ci pongono alcuni quesiti inquietanti. Di cosa hanno mai discusso al tavolo? Di cosa si è parlato in tutto questo tempo se nodi così essenziali non sono ancora stati definiti? Su cosa ci si è confrontati nei tavoli tecnici? E come è possibile che il confronto politico possa aspirare ad una sintesi, fondata su soluzione pragmatiche anziché contrapposizioni ideologiche, se non c’è una base di proposte ben definite da cui partire? Attorno a cosa bisogna aspirare a raccogliere il consenso? Ancora, perché alimentare ansie di lavoratori e datori di lavoro annunciando provvedimenti ancora non ben definiti? Perché creare cosi tanta inutile incertezza attorno al modo con cui verranno regolati in futuro i rapporti di lavoro?
Mai forse come in questo caso il diavolo è nei dettagli. Per definire questi dettagli bisogna scrivere un testo di legge e simulare gli effetti, i costi, di diverse alternative. Invece di molti richiami di circostanza ad un confronto civile e meno ideologico, dovremmo tutti chiedere al governo: per favore dacci un articolato!

L’INDENNITÀ NELL’INCERTEZZA

La possibilità del reintegro nel posto di lavoro non è la questione fondamentale nella discussione sulla riforma del lavoro. È più importante disegnare l’indennità di licenziamento in modo da ridurre il contenzioso. La riforma Fornero non risolve il problema. Meglio sarebbe ricorrere a un meccanismo simile a quello tedesco, che prevede un indennizzo automatico per il lavoratore. Servirebbe a responsabilizzare aziende e dipendenti. Senza impedire il ricorso al giudice se il lavoratore ritiene ingiusto il licenziamento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti i lettori e cerco di rispondere ai quesiti sull’analisi proposta nell’articolo.

1) Luca Falciasecca, HK e Arnaldo Mauri notano come l’intermediazione informale ci sia in tutto il mondo e che spesso svolga una funzione positiva – una sorta di passa parola – circa le qualità (il  talento) di un soggetto. Sono assolutamente d’accordo, infatti nella tabelle e nel grafico, ho indicato a parte  questo dato relativo all’“informale professionale”. L’etichetta applicata non è delle più felici “Attraverso ambiente” [lavorativo], pertanto invito alla lettura dell’articolo completo dove questi passaggi sono chiariti in maniera (spero) esaustiva. Quello che rimane, al netto di coloro che trovano lavoro informalmente in virtù della loro (buona) reputazione, è proprio la quota di posti di lavoro gestiti fuori dal mercato: o attribuiti per trasmissione parentale (il posto nello studio, nell’impresa, nel negozio di famiglia) o perché dati su segnalazione o raccomandazione.
2) Simone Caroli e Luigi Oliveri si chiedono se la riforma in corso modificherà le cose, e suggeriscono anche in che direzione si potrebbe agire, rimarcando soluzioni anche da noi proposte e sostenute. Faccio notare nel documento licenziato dal CdM, e quindi ancora provvisorio, alcuni passaggi: “Per i centri per l’impiego, è necessario individuare Livelli Essenziali di Servizio omogenei … [erogati] direttamente o da agenzie private … Vanno definite premialità e sanzioni per incentivare l’efficienza dei servizi per il lavoro e per spingere a comportamenti virtuosi sia i soggetti che erogano i servizi, sia le persone/lavoratori che beneficiano dei servizi e dei sussidi. Occorre prevedere … una dorsale informativa unica e l’utilizzo dei flussi congiunti … caratterizzato da codifiche uniformi … condizione essenziale … per realizzare la convergenza tra politiche passive e attive [ovvero l’ASpI]…”
3) Cristina Gardani e Savino invece mettono l’accento sul costo opportunità che la pratica diffusa della raccomandazione crea in termini di riduzione delle posizioni libere sul mercato (quelle per cui concorrere) per chi è sprovvisto di una rete personale. In particolare se le persone migliori non sono nei posti migliori la produttività ne risente e, visto il livello medio della crescita economica del nostro paese negli ultimi anni, parrebbe che il fenomeno sia diventato eccessivo, anzi patologico. Come per molti altri aspetti della vita economica, l’inefficienza, non è più sostenibile. Quando le cose vanno male, si deve risparmiare su tutto e anche il raccomandato diventa un lusso non tollerabile. Inoltre la raccomandazione potrebbe creare cattiva produzione ovvero servizi erogati sotto gli standard tradizionali (banalizzando: il padre bravo avvocato difendeva meglio del figlio cattivo avvocato. Ciò vale per il dentista come per il fornitore di componenti, per l’idraulico come per il ristorante, ecc.) e quindi per l’utente la raccomandazione diventa un danno economico (e a volte fisico) e non solo una recriminazione personale.
4) Marco Ascari e Roberta d’Arcangelo parlano di politici. Anche altri notano come nel privato alcuni  comportamenti siano semplicemente deprecabili mentre nel pubblico diventano penalmente rilevanti. Ovviamente sono d’accordo con questa lettura, ma attenti ad una generalizzazione: combattere chi ha inserito (o si è fatto inserire) nella PA impropriamente è un bello sport che va praticato intensamente, invece dire che chi è nella PA è, necessariamente, un raccomandato è una offesa gratuita. Eccellenze e persone per bene e preparate nella Sanità, nell’Istruzione, nelle Aziende Pubbliche, nella Amministrazione Centrale e Periferica non sono una eccezione e spesso suppliscono a fallimenti della politica e del mercato, generano progresso e profitti. Generalizzare vuol dire umiliare chi lavora in condizioni difficili e fare il gioco di chi non lavora. Scendere nel dettaglio e fare i nomi è la strategia più indicata, a mio avviso, per non scadere nel populismo.
5) Invito Roberta d’Arcangelo a leggere il  testo completo in cui il raffronto tra l’intermediazione lato offerta e lato domanda viene fatto per sotto-popolazioni omogenee (per esempio i giovani nel privato) e i risultati convergono in maniera sorprendente.

SOLO LA CIG NON CONOSCE DECLINO

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ARTICOLO 18 NELLA PA: UNA DOMANDA A DUE MINISTRI

Non solo ai dipendenti pubblici si applica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma è già stato introdotto il licenziamento per ragioni economiche, così come il licenziamento individuale. La modifica dell’articolo 18 proposta dal governo non farebbe altro che coordinare meglio le norme e dettare una convergenza tra disciplina del lavoro privato verso quella del lavoro pubblico, che per una volta è stata più rigorosa. A meno che nel testo definitivo non sia prevista una specifica deroga per il pubblico impiego. Ed è appunto questa la domanda che rivolgiamo al ministro.

LA RIFORMA DEL PRINCIPE DI SALINA

La riforma del lavoro ha due pregi e molti difetti. I pregi consistono nell’aver messo fine al potere di veto delle parti sociali e nell’ampiezza dei temi affrontati. Sull’articolo 18, le nuove norme danno più potere ai giudici e aumentano l’incertezza. Non si allarga la platea dei potenziali beneficiari degli ammortizzatori sociali. Gli interventi sul dualismo possono peggiorare la condizione dei lavoratori e aggravano i costi delle imprese senza offrire una vera nuova modalità contrattuale in ingresso. Con il rischio che tutto questo riduca fortemente la domanda di lavoro.

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