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Categoria: Stato e istituzioni Pagina 65 di 83

Imup, imposta dal futuro incerto

La seconda fase della riforma della fiscalità comunale scatterà dal 2014. A partire da quell’’anno, i comuni che decideranno di farlo potranno istituire una nuova imposta, denominata Imposta municipale propria (d’’ora in poi Imup), regolata dalla normativa statale ma con il riconoscimento ai comuni di margini di autonomia. Se istituita, l’’Imup cancellerà le imposte statali immobiliari devolute nella prima fase (con l’’eccezione della cedolare secca sulle locazioni) e l’’Ici.

DUE COMPONENTI PER UN’IMPOSTA

Dell’’Imup, il decreto fissa alcuni elementi fondamentali ma su altri rimanda la decisione al futuro. Sarà un’’imposta “doppia”, con due differenti componenti: la prima basata sul possesso dell’’immobile, come l’’Ici attuale, la seconda sul suo trasferimento, come oggi l’’imposta di registro e quella ipo-catastale. E sarà un’imposta patrimoniale, visto che la base imponibile resta il valore catastale, gravante prevalentemente sulle seconde case (a disposizione e locate) e sugli immobili non residenziali, con netta conferma dell’’esenzione totale dell’’abitazione principale per la “componente possesso”. Le aliquote base saranno fissate dallo Stato, ma si riconosce ai comuni la possibilità di manovrarle in aumento o in diminuzione entro limiti prefissati, addirittura fino al 3 per mille sulla “componente possesso”. Sulla stessa componente è poi previsto un regime fortemente agevolativo, addirittura metà dell’’imposta ordinaria, nel caso di immobili locati e in quello di immobili utilizzati nell’’esercizio dell’’attività di impresa, arti e professioni ovvero posseduti da enti non commerciali.
La nuova Imup sarà in realtà un tributo composito, basato su presupposti differenti (il possesso, il trasferimento di immobili), una collezione di tributi oggi esistenti che, sotto una etichetta unica, manterranno in gran parte i loro caratteri distintivi. Insomma, una forzatura dettata dall’’obiettivo di attribuire tutta la tassazione immobiliare ai comuni (con margini differenziati di manovrabilità) e di “semplificare” a tutti i costi, senza però cambiare nulla in sostanza, senza cogliere l’’occasione per mettere mano a una riforma concreta della tassazione immobiliare.

UNA SUPER-PATRIMONIALE SULLE SECONDE CASE

Valutare l’’Imup è esercizio arduo in quanto il decreto manca di fissare un elemento fondamentale del nuovo tributo: l’’aliquota base della sua componente principale, quella collegata al possesso dell’’immobile. Qualche considerazione di larga massima è comunque possibile.
Sotto il vincolo della “neutralità finanziaria”, data la riconferma della piena esenzione della prima abitazione, data la necessità di recuperare la perdita di gettito derivante dalla cedolare secca al 20 per cento rispetto all’’Irpef attuale e dati infine i regimi fortemente agevolativi previsti nella nuova imposta, il risultato non può che essere un pesante spostamento del prelievo fiscale a danno, in particolare, delle seconde case.
Le prime simulazioni indicano che per garantire parità di gettito, l’’aliquota base dovrebbe essere fissata nell’’intervallo tra l’’11 e il 14 per mille, ossia circa il doppio dell’’aliquota Ici attuale. Il risultato sarebbe pertanto una super-patrimoniale sulle seconde case. Questa prospettiva avrebbe qualche vantaggio in termini redistributivi, ma penalizzerebbe fortemente l’’investimento immobiliare diverso da quello finalizzato all’’acquisizione della prima abitazione. La possibilità di fissare l’’aliquota base a un livello un po’’ più basso dipende criticamente dall’’effettivo recupero di evasione nella tassazione sugli immobili che dovrebbe derivare dagli incentivi all’’emersione generati dall’’abbattimento dell’’aliquota previsto con la cedolare secca e dal maggiore coinvolgimento dei comuni nell’’attività di accertamento. Ma su entrambi i fronti, i margini di incertezza sono forti.
Anche per la seconda fase rimangono i problemi evidenziati sul piano perequativo, in quanto la nuova Imup concorre al finanziamento del fondo di perequazione. Un punto di ambiguità che permane nel testo del decreto è poi quello che riguarda il carattere facoltativo del passaggio dalla prima alla seconda fase. La Relazione sul federalismo fiscale del 30 giugno affidava l’’istituzione dell’’Imup “a una verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni”. Si tratta di una previsione alquanto singolare poiché nel caso in cui solo alcuni comuni decidano di passare alla nuova imposta, si avrebbero seri problemi di funzionalità per il sistema perequativo municipale. E ciò perché il meccanismo perequativo dipende dalla determinazione della capacità fiscale, la quale deve necessariamente riferirsi a tributi di applicazione generale in tutti i comuni. Il testo del decreto sembra allontanare questo scenario, ma non risolve tutte le ambiguità.
Da ultimo, la riforma va valutata sul piano dell’’obiettivo della semplificazione della tassazione immobiliare rispetto al quadro attuale. Il combinato dei differenti trattamenti differenziali previsti per le diverse tipologie di proprietari e di immobili porta a un sistema di tassazione di redditi e patrimoni immobiliari (vedi tabella 1) che sembra francamente coraggioso definire più semplice e più neutrale rispetto a quello attuale.

Scelte locali per la conciliazione famiglia-lavoro

La conferenza Stato-Regioni ha finalmente dato il via libera alla nuova formulazione dell’articolo 9 della legge 53/2000 che prevede contributi a favore delle imprese per misure a sostegno della flessibilità e conciliazione famiglia-lavoro. Nei dieci anni passati dalla prima approvazione della norma i progetti presentati sono stati ben pochi. Non per questo è stata necessariamente un fallimento. Sarebbe meglio però lasciare alle autonomie locali le decisioni sullo sviluppo delle politiche di genere e per la famiglia. E su quali siano gli interventi più adeguati.

Una mezza riforma per la finanza comunale

Positiva l’enfasi data alla fiscalità immobiliare nella finanza comunale, ma attenzione agli abbellimenti lessicali spacciati per riforme. Soprattutto è bene non dimenticare che rimane aperto il vulnus dell’abolizione dell’Ici sulla prima casa che deresponsabilizza molti cittadini di fronte alla spesa pubblica del comune. Esistono inoltre problemi di equità legati all’Imposta municipale unica e di semplificazione relativi all’applicazione della cedolare secca.

A governatori e sindaci la patata bollente dei tagli

Tremonti ha vinto il braccio di ferro con i governi locali: i tagli complessivi a carico degli enti territoriali restano invariati. Sarà però la Conferenza Stato-Regioni a decidere sul riparto dei sacrifici. Si tratta di un’eccellente mossa strategica da parte del governo. L’onere delle decisioni viene ora ribaltata su Regioni e comuni. Se non riusciranno a trovare un accordo, il governo potrà sempre scaricare su di loro la responsabilità politica degli interventi. I probabili vincitori e perdenti.

La risposta ai commenti

Siamo consapevoli del fatto che la PA ha mille problemi, noi ne abbiamo studiato uno: come reagiscono le assenze alla legge 133 e sue modifiche nel tempo per donne, uomini, giovani e anziani, rango professionale, regione? Il crollo delle assenze del 2008 è stato accolto con incredulità: era un dato significativo oppure no?
La Commissione non è fatta di consulenti del Ministro, ma di docenti e professionisti che hanno lavorato gratuitamente per due anni e mezzo. Non era tra i nostri compiti studiare norme per migliorare l’’ambiente lavorativo della PA o aumentare la produttività. Stupisce che accademici preferiscano l’’insulto agli argomenti o che si scivoli nell’’inclinazione italica di: “il problema è ben altro”. Credevamo che si potesse discutere di assenze senza che al solo udire la parola scattassero reazioni viscerali: “Brave le autrici,compitino ben fatto”… “ Ma siete sicuri, voi wanna-be-Brunetta, di sapere di cosa parlate? E i bravi estensori di questa dotta ricerca che cosa volevano dimostrare?” “Noto con rassegnato sgomento che c’è ancora molta gente disposta a credere che interventi alla Brunetta forniscano risultati positivi. E gongolano leggendo le statistiche truffaldine, che al massimo possono raccontarci se si è al lavoro oppure no.
Noi, con non rassegnato sgomento, constatiamo che c’’è ancora chi pensa che ISTAT (dati forze di lavoro), AE (circa 34.000 dipendenti) INPS (circa 38000 dipendenti + tutto il settore privato), Ragioneria Generale dello Stato emettano dati falsi, che una ventina di professionisti a gratis li abbiano elaborati in maniera “truffaldina” e che il Ministero della PA, con l’’aiuto dell’’ISTAT, scelga solo le risposte che vuole al questionario.
Credevamo che si potesse valutare l’’operato di un ministro, facendo parlare i numeri. Invece ben pochi sono i commenti che intervengono nel merito del nostro lavoro:

“Voglio esprimere la mia sorpresa per l’implicita assunzione che essere presenti in ufficio significhi lavorare..Piuttosto ragioniamo di come rendere il lavoro più interessante e significativo, di come coinvolgere di più i lavoratori nella definizione dei processi di lavoro. Siamo ancora ad una cultura fordista del lavoro? Ci scusi, ma al momento vorremmo ragionare sui risultati che abbiamo ottenuto che non sono poca cosa,  poi se ne avremo le forze, e il Ministero ce lo chiederà,  passeremo altri due anni a studiare la produttività nella PA.
“Non si capiscono le ragioni del supporto a provvedimenti che creano un sistema di disincentivi ai pubblici dipendenti onesti”. Caro Fabio, siamo economisti indipendenti che hanno elaborato una straordinaria quantità di dati e offerto le loro conclusioni alla pubblica attenzione: l’’obiettivo della Commissione non era quello di dare sostegno ai provvedimenti, ma se vuoi la nostra impressione, non crediamo che disincentivi gli onesti. Il disincentivo per gli onesti è la constatazione che i comportamenti opportunistici continuano a prevalere senza sanzione. Purtroppo l’’identificazione dei lavoratori che si ammalano veramente da quelli che abusano della malattia è impossibile con le informazioni disponibili. L’’epidemiologo della Commissione, Giuseppe Costa, ha cercato di distinguere i fattori di rischio dell’’assenza tra quelli che portano ad ammalarsi davvero e quelli sociali e culturali che esistono ed hanno peso.
E’ vero che le norme, decurtando la parte accessoria dello stipendio, “puniscono” non solo gli assenteisti, ma tutti indistintamente: lo spirito della legge è proprio decurtare la componente della retribuzione collegata alla presenza. Ma come si fa a distinguere i buoni dai cattivi? Non esiste un’’informazione codificata né un modo di selezionarli con la legge. Forse a tre anni dalla legge e con questo bagaglio di informazione si potranno pensare ritocchi che tengano conto dei tassi di assenteismo dei vari settori, migliorare il controllo, varare in modo definitivo l’’invio telematico dei certificati medici e mantenere il rigore sulle visite fiscali.
Quella di Brunetta non è una legge stupida, è intelligente: introduce incentivi per un uso sobrio e ragionevole della prestazione che non è un atto dovuto da parte dello Stato poiché non è finanziato in base a criteri di equità attuariale. E’ sicuramente una legge migliorabile. L’’informazione che abbiamo consegnato al Ministero permetterà di lavorare di fine tuning: certo se persino gli scienziati saltano sulla cattedra non appena sentono la parola assenza o Brunetta, non facciamo progressi.
Nella sua relazione alla nostra conferenza finale, il Presidente dell’’INPS Antonio Mastrapasqua ha spiegato come sia aumentato il controllo sui certificati medici e le visite fiscali, le norme esistenti sui controlli: è stato approvato in Parlamento il Decreto legislativo 150/2009 per rendere obbligatoria la comunicazione on-line dei certificati di malattia all’’INPS da parte dei medici. Questo renderà più immediati i controlli a casa e eviterà scelte conniventi e documenti falsificati. La Commissione non ha studiato questo aspetto che però è un punto importante nell’’agenda del Ministro. INPS, cioè noi contribuenti, spende 2 miliardi di euro per pagare i 50.000.000 di giorni di malattia ai dipendenti, riceve ogni anno circa 500.000 certificati medici. Prima, il costo medio del “ciclo dei certificati di malattia” era circa 10 euro a pratica. Infatti il lavoratore inviava il certificato al datore di lavoro via fax o per raccomandata con ricevuta di ritorno e l’’INPS dedicava al data entry dei certificati del settore privato oltre 500 persone. Nel 2008 la malattia è costata circa lo 0,5 per cento del Pil. Si stima ora un risparmio di carta di 100.000.000 euro e  un abbattimento dei costi di gestione di circa 500.000.000 euro l’’anno.

A chi ci chiede chiarimenti, come Ania, rispondiamo che gli spill-over del provvedimento sulle assenze in coppie in cui un partner lavora per il settore pubblico e uno nel privato non hanno a priori una direzione chiara. Da un lato si potrebbe assistere ad un aumento delle assenze del partner occupato nel privato come risposta all’’aumento del prezzo relativo delle assenze per malattia per il partner dipendente pubblico. Ciò determinerebbe un aumento nei tassi di assenza nel settore privato e una contemporanea diminuzione delle assenze nel settore pubblico. Allo stesso modo, se si ipotizza che ciascun individuo  insieme a comportamenti opportunistici come l’’assenteismo senta anche il costo psicologico che dipende dalla diffusione in un determinato gruppo di riferimento (il partner in questo caso), la riduzione del fenomeno nel gruppo direttamente interessato dal provvedimento può generare analoghe riduzioni anche altrove. Il lavoro di Francesco D’’Amuri mostra appunto che, durante il primo anno di applicazione della legge 133/2008, i lavoratori del settore privato (non direttamente interessati dal provvedimento) con un partner nel settore pubblico hanno ridotto le assenze per malattia rispetto a lavoratori, sempre occupati nel privato e con caratteristiche simili, che non hanno un partner dipendente pubblico. Questo risultato suggerisce che ci siano effetti indiretti della riforma, che hanno contribuito a moderare le assenze per malattia anche al di fuori del settore pubblico.
A chi dice, come Damiano Vezzosi, che il giorno di malattia costa troppo rispondiamo che in molte pubbliche istituzioni il costo è basso per chi ha basse retribuzioni, proprio colui che ha più alta probabilità di assenza. Le assenze però hanno registrato una immediata accelerazione quando nel 2009 sono state ristrette le fasce di reperibilità, a cui le assenze sono davvero sensibili: se costavano troppo, perché le assenze sono aumentate di colpo appena ridotti i controlli? In molte PA, dopo lo shock iniziale, la penalità viene percepita come un costo accettabile per un giorno di libertà. Ecco alcune cifre: il costo medio è 6.5 euro in un’’università, all’’INPS il costo medio è 16 euro al giorno: operai 9 euro, impiegati 16 euro, manager 48 euro. Per gli impiegati di Agenzia delle Entrate è 14 euro, per managers intermedi 18 euro, per i direttori 70 euro.
Ringraziamo Domenico Amato per avere sollevato il problema della giungla di differenze contrattuali all’’interno della PA, che rendono diversa anche la disciplina delle assenze. Non dimentichiamo che prima della legge 133, bastava aver superato il 15° giorno di assenza per evitare ogni decurtazione, esisteva quindi un incentivo forte a protrarla.
Nella PA, per tradizione secolare non solo italiana, una specie di contratto implicito ha scambiato la sicurezza totale con una retribuzione bassa e una tacita accondiscendenza alla flessibilità: la 133/2008, con i disincentivi all’’assenza per malattia, ha reso più esplicito il contratto pubblico e ha cercato di ridurre le molte differenze contrattuali.

Assenteismo? Il calo è reale*

A due anni dall’introduzione della legge 133, nella pubblica amministrazione le assenze si sono ridotte significativamente. Riflessi indiretti si sono avuti anche nel settore privato, riducendo la tendenza a comportamenti opportunistici. Nel privato le assenze sono contenute dalla necessità di confrontarsi con il mercato. Nel pubblico, la nuova norma ha dato un prezzo al giorno di assenza, introducendo una regola chiara in un sistema frammentato per qualifiche e settori. I risultati del lavoro di una commissione indipendente di valutazione.

Federalismo: avanti piano

La Relazione sul federalismo è una positiva prova politica, offre un’importante documentazione contabile, contiene qualche proposta convincente come il passaggio alla finanza comunale delle imposte sui trasferimenti immobiliari. Inatteso e stupefacente il richiamo agli studi di settore, ma se ne potrà discutere. Sarebbe stata utile maggiore attenzione al rapporto tra norme e comportamenti, che è il punto debole della finanza pubblica italiana. Manca soprattutto ogni ipotesi su come rimediare alla irresponsabile abolizione dell’Ici sulla prima casa.

Il boss of rights

Grazie ai militanti della Lega adesso sappiamo davvero cosa è il federalismo in salsa padana. Nei giorni scorsi hanno tempestato di telefonate sedi di partito ed emittenti padane alla ricerca di chiarimenti. I sindaci del Carroccio si sono rifiutati di salire sul palco della festa di Pontida. Come è possibile, si chiedevano molti di loro, che un Governo in cui la Lega conta sempre di più abbia regalato miliardi alla Sicilia spendacciona, abbia salvato dalla bancarotta il Comune di Catania, regalato 300 milioni a quello di Roma in un momento in cui ne taglia 2500 a tutti gli altri, e adesso riduca del 14 per cento i fondi alle Regioni del Nord? Che razza di federalismo, si chiedevano, può di fatto commissariare tutti gli enti territoriali togliendo loro qualsiasi margine di autonomia fiscale, con l’eliminazione dell’Ici e il blocco di tutte le addizionali?
La risposta, un po’ stizzita, è arrivata da Pontida. Umberto Bossi e gli altri leader della Lega ci hanno finalmente chiarito qual è la visione federale del partito. Si regge su quattro pilastri.
Il primo è il folklore. La squadra della Padania ha vinto i campionati mondiali di calcio, ha sottolineato con orgoglio il padre del “Trota”, team manager della rappresentativa. Non sappiamo se al prestigioso Campionato partecipasse la rappresentanza di Bahia, capitanata da Ricardino Kakà. O solo la squadra dell’oratorio di Klagenfurt. Ma l’importante è vincere. Evviva.
Il secondo è l’amore. Come ha sottolineato Bossi, la Lega è amata in tutto il mondo. Per fare un esempio, ha parlato della Svizzera. Lì i banchieri e le mucche, se ci presenta come militanti della Lega, ti accolgono come fratelli. Si hanno tutte le porte (incluse quelle delle cassette di sicurezza?) spalancate.
Il terzo pilastro è l’acqua. Finalmente il Lago Maggiore è tornato in Lombardia, finalmente la regione più ricca ha la sua spiaggia. Ce ne rallegriamo. Potremo finalmente non doverci più portare appresso il passaporto (e in bicicletta appesantisce alquanto la pedalata) quando andiamo a Stresa.
Il quarto è il campanile. Lavori pubblici e servizi sociali solo ai residenti di quel municipio, possibilmente da almeno 10 generazioni. Solo che qui si sa dove si comincia e non dove si finisce. Perché Sulbiate inferiore dovrebbe accettare che anche i residenti di Sulbiate superiore partecipino a un concorso per vigile urbano? E la frazione della frazione di Buccinasco che diritti ha? Inutile spiegare a Bossi & C. che le grandi federazioni, come gli Stati Uniti, si reggono proprio sulla mancanza di ogni discriminazione territoriale tra i cittadini residenti in luoghi diversi. Come tra parentesi, fa anche la nostra Costituzione e il Trattato Europeo. Dal Bill of Rights siamo passati al Boss of Rights.

Regioni ed enti locali

Le manovre sui conti pubblici vengono sempre presentate come misure tecniche di risanamento dei conti, più o meno necessarie a seconda delle contingenze economiche e politiche. Ma le manovre non sono mai solo tecniche a parità di risparmi, veri e presunti, ci sono sempre vincitori e vinti, cioè individui e settori che vengono risparmiati dalle mannaia e altri che vengono invece colpiti più pesantemente.

Finanziamento della politica

Nella manovra di bilancio in esame al Senato c’’è una modesta riduzione dei cosiddetti “rimborsi elettorali”, cioè dei finanziamenti ai partiti politici. Viene eliminata l’’anomalia di un contributo doppio nel caso di elezioni anticipate (grazie a una norma del 2006, il rimborso relativo alla legislatura interrotta continua e si somma a quello per la nuova elezione) e l’’importo di tutti i rimborsi viene ridotto del dieci per cento.

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