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IMPRESE CHE VINCONO CON LA DELOCALIZZAZIONE

La globalizzazione genera vincitori e vinti, non solo tra i lavoratori, ma anche tra le imprese di uno stesso settore. Quali sono le caratteristiche di quelle che scelgono la delocalizzazione? Sono più grandi e più produttive. Forse perché i costi fissi dell’offshoring sono alti. Oppure è l’esposizione a una dimensione internazionale della produzione che tende a migliorare i risultati aziendali in virtù di un processo di learning by offshoring, che risulta maggiore nel caso di attività orizzontali. Anche perché non tutte le modalità di delocalizzazione sono uguali.

UN’ASSICURAZIONE CONTRO LA FAME

L’aumento di prezzo degli alimentari colpisce la povera gente, ma allo stesso tempo aiuta gli agricoltori poveri. La volatilità dei prezzi, in compenso, danneggia gli uni e gli altri. Forse è arrivato il momento di cambiare e di creare servizi finanziari internazionali destinati ai popoli più poveri. I governi potrebbero, ad esempio, creare assicurazioni per garantire le popolazioni contro le impennate dei prezzi, con trasferimenti ad alcuni, quando i prezzi sono alti, e ad altri, quando sono bassi. Non sono soluzioni nè
semplici nè chiare. Ma qualcosa va fatto.

UN RATING PER I DIRITTI

La diffusione dei fondi sovrani genera problemi di trasparenza e vigilanza. Ma c’è anche un problema di libertà e democrazia, legato al fatto che in molti casi sono posseduti da governi che non brillano per rispetto dei principi democratici. Una soluzione potrebbe essere l’elaborazione e diffusione di un sistema di rating, una verifica dei comportamenti nel campo dei diritti umani dei paesi proprietari dei fondi. Al tema “Mercato e Democrazia” è dedicato quest’anno il Festival dell’Economia di Trento che si svolge tra pochi giorni (29 maggio-2 giugno).

SARKOZY E’ DAVVERO UN LIBERALE?

Il presidente francese è indiscutibilmente un uomo di destra, ma si può definirlo un liberale? Lo è da un punto di vista culturale. Sotto il profilo economico, invece, Sarkozy esprime le contraddizioni dei francesi. Vorrebbe sviluppare iniziativa privata, talenti individuali e competizione, ma non ha mai criticato apertamente il comportamento antiliberale dei settori corporativi che godono di posizioni di privilegio. Ha illuso i cittadini su globalizzazione e potere di acquisto perché non è stato in grado di spiegare che lo Stato non è onnipotente, anche se non è inutile.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie a tutti dei commenti.
Sono in generale d’accordo sulla diagnosi della cooperazione italiana come struttura vecchia e lenta, caratterizzata da carenza di risorse umane e infrastrutturali, da una cultura clientelare che non promuove l’apprendimento e l’innovazione tramite valutazioni di interventi passati, e basata su una legislazione ormai vetusta. Un chiaro esempio e’ stato un recente seminario organizzato da Action Aid Italia sul ‘sostegno diretto al bilancio’ come modalita’ di intervento (vedi il blog in inglese http://actionaiditaly.blogspot.com/2008/03/eu-donors-reflecting-on-gbs-in.htm
l dove si possono anche scaricare le presentazioni). Sia la vice-ministra uscente On. Sentinelli che il Sen. Mantica (responsabile per la cooperazione nel precedente governo Berlusconi) sono stati molto cauti rispetto agli altri donatori presenti, tra cui olandesi, britannici e spagnoli, che da tempo stanno sperimentando nuove modalita’ di canalizzazione degli aiuti. Anche la voce delle ONG italiane spesso non e’ tra le piu’ innovative, anzi… E purtroppo, la crisi di governo ha fermato il processo di riforma legislativa che era stato resuscitato negli ultimi due anni. Insomma, le prospettive non sono rosee, ma nel frattempo e’ importante far continuare il dibattito.

IL VULCANO ISLANDA

L’Islanda va verso il tracollo economico? In un paese caratterizzato a lungo da un’economia dirigista, le liberalizzazioni sono state incomplete. Ora i problemi sono molti: un forte indebitamento verso l’estero, un’inflazione che corre e una moneta sopravvalutata. Su tutto questo si innestano le turbolenze seguite alla crisi internazionale dei subprime. Ma nonostante la necessità di serie riforme, i fondamentali restano solidi. Gli islandesi, grandi lavoratori e con un buon livello di istruzione, avrebbero tutto da guadagnare dall’ingresso nell’Unione Europea.

QUANDO LA FUSIONE AUMENTA I PREZZI

Le fusioni sono vantaggiose o svantaggiose per i consumatori? Negli Stati Uniti, su cinque casi problematici, quattro mostrano alla verifica empirica un aumento dei prezzi al consumo dei prodotti coinvolti. Tutto sommato modesto, ma considerato che siamo nel campo del largo consumo, il trasferimento implicito dai consumatori alle imprese è rilevante. E’ senz’altro possibile che permettendo alcune fusioni non competitive, l’autorità di controllo ne abbia ammesse altre più efficienti, che sarebbero state ostacolate da una politica antitrust più rigida.

IL TREMONTI PENSIERO ALLA PROVA DEL GOVERNO

Le idee di Tremonti, pur utili per conquistare consensi elettorali, non lo sono altrettanto per risolvere i problemi dell’Italia. Perché la Cina è ormai una grande potenza commerciale e politica, un enorme mercato di sbocco per le imprese europee e perché dell’importazione dei suoi beni a basso costo beneficiano in tanti. E poi anche altre economie subiscono la concorrenza cinese, ma è la nostra a crescere di meno. Per carenze e inefficienze tutte italiane. Da queste un governo dalla solida maggioranza dovrebbe partire per ridare fiducia a lavoratori e imprese.

QUEL PROTEZIONISTA DI BARACK OBAMA *

Il senatore dell’Illinois è autore di una proposta di legge, il Patriot Employer Act, che prevede tagli alle tasse delle imprese che si impegnano a mantenere la sede negli Stati Uniti, a non mutare il rapporto tra dipendenti in Usa e all’estero e a pagare un salario minimo più alto, oltre a prevedere contributi per fondi pensioni e assicurazione sanitaria. Sarà pure animata da buone intenzioni, ma è una proposta protezionista, reazionaria e inconsistente sotto il profilo economico. Se passerà, finirà per favorire alcune categorie di lavoratori a discapito di chi è davvero povero.

COOPERAZIONE, PERCHÉ ROMA NON SI IMPEGNA

I dati della Finanziaria 2008 confermano lo scarso impegno del governo italiano nel campo della cooperazione allo sviluppo. Per capire le ragioni del mancato raggiungimento degli impegni presi a livello internazionale, è necessario andare oltre spiegazioni semplicistiche. Due studi usano analisi econometriche per analizzare i fattori che potrebbero influenzare lo scarso sforzo italiano. Fattori strutturali, istituzionali e macroeconomici non sembrano spiegare il gap che esiste tra Italia e altri paesi Ocse. Forse la risposta è legata alla debolezza relativa delle nostre istituzioni democratiche?

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