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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 44 di 57

ALITALIA: UN PONTE VERSO IL NULLA

Da quando venne presa la decisione di cedere a privati la quota pubblica di Alitalia sono passati oltre 18 mesi. Ma la vendita non si è conclusa e anzi sembra ancora in alto mare e la situazione economica e finanziaria di Alitalia si sta deteriorando. Sarebbe stato meglio arrivare subito a un’amministrazione straordinaria capace di avviare un’operazione “lacrime e sangue”. E ora c’è anche il rischio di un advisor che può diventare parte in causa.

CHI SI RIVEDE AL CASELLO? IL MONOPOLISTA

Il sistema regolatorio del settore autostradale consegnatoci dal decreto 59 segna la fine di ogni aspirazione a un sistema incentivante ed è un insieme caotico di diversi regimi. Andrebbe rivisto dalle fondamenta. Serve un sistema di regole certe e trasparenti, che siano di garanzia per lo Stato e i consumatori, oggi la parte più debole, e per gli investitori. Serve una cultura istituzionale che le metta al riparo dagli attacchi a colpi di decreto, secondo le pressioni del momento. E serve un organismo indipendente che le applichi e vigili sulla loro osservanza.

L’INFRASTRUTTURA NON FA LO SVILUPPO

Si dice spesso che gli investimenti in infrastrutture di trasporto stimolino lo sviluppo economico e la competitività di un territorio. Ma la connessione è molto più problematica e incerta di quanto si pensi. Anche per la rilevanza dei fondi richiesti alla realizzazione delle opere. Per questo va ben valutato quali siano quelle da privilegiare. Soprattutto, gli investimenti devono essere coerenti tra di loro e con l’insieme delle politiche di trasporto adottate. E vanno esplicitati gli obiettivi che si vogliono raggiungere in termini di distribuzione modale.

ALITALIA, TOTO E CATRICALA’

Forse qualcuno dovrebbe ricordare ai tanti protagonisti sulla scena che nella travagliata vicenda Alitalia i destini della compagnia di bandiera non possono sottrarsi ad un severo scrutinio degli effetti sull’assetto competitivo dei mercati. A questo compito verrà chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quando eventualmente si materializzerà il famoso compratore. Senza volersi sostituire alla disamina che il Presidente Catricalà dovrà effettuare, balza agli occhi la impraticabilità di una soluzione che vedesse Airone di Carlo Toto, il secondo vettore per quote di mercato sulle rotte cruciali del mercato italiano, tra cui il Roma-Milano, tra i protagonisti della vicenda. Non sorprende nemmeno che sia stata invocata da British Airways e da Ryanair la normativa europea sugli aiuti di stato, altro caposaldo delle politiche della concorrenza, in merito al prestito di 300 milioni che ha ridato una boccata di ossigeno ad Alitalia e ha appesantito di altrettanto le tasche dei contribuenti. Senza volersi in questo caso sostituire al Commissario alla Concorrenza Kroes, balza altrettanto agli occhi la pretestuosità con cui si vuole presentare come motivato da ragioni di mercato un prestito ponte di cui è noto il pilone di partenza, l’attuale disastrosa situazione di Alitalia, ma è nascosto nella nebbia quello di arrivo, il famoso compratore. Insomma, dovunque la si guardi la vicenda Alitalia inciampa pericolosamente nei paletti che le normative sulla concorrenza pongono. Questo forse ci aiuta a comprendere come tutti gli spasmi e le contorsioni che si susseguono hanno dietro interessi forti e rendite  arcignamente difese, ma non tengono in minimo conto gli interessi di noi consumatori, di noi semplici passeggeri e di noi contribuenti. Non dubitiamo che le autorità preposte alla concorrenza sapranno al momento buono far sentire la propria voce. L’unica perplessità nasce dal fatto che il momento buono è già giunto da tempo senza che la voce dei custodi della concorrenza si facesse sinora sentire alta e netta.

UNA GRANDE OPERA. TUTTA DA VALUTARE

L’opportunità di stabilire le priorità di intervento in infrastrutture, sulla base di valutazioni di standard internazionale, è ampiamente riconosciuta. Tanto più in una situazione di risorse scarse. Per esempio, una valutazione della linea alta velocità Roma-Napoli evidenzia una clamorosa perdita di benessere collettivo, per il grandissimo squilibrio tra costi e benefici sociali che emerge dai calcoli. Quanto ai benefici ambientali, la gran parte dipende da quanto traffico sarà sottratto al trasporto stradale. Che non potrà essere molto.

Alitalia in caduta libera, ma non i costi

Alitalia continua a perdere soldi. Tanto che senza il prestito ponte forse non sarebbe riuscita a pagare gli stipendi di maggio. Eppure, se si confrontano i costi del primo trimestre 2008 con quelli del primo trimestre 2007 si vede che, dopo dodici mesi di allarmi ed emergenza, su questo fronte non è stato ottenuto nessun risultato. Il problema di Alitalia non è un problema finanziario, ma di piano industriale. Per il quale serve un solido partner industriale. Ma non vorremmo che aspettare il socio significhi rinviare all’infinito il tentativo di raddrizzare i conti.

Ferrovie e Alitalia: un matrimonio contro natura

L’’ultima, geniale trovata: far assorbire Alitalia dalle Ferrovie dello Stato. Peccato non si possa. Questa operazione richiederebbe il vaglio dell’Autorità antitrust nazionale e della Commissione europea, le quali non potrebbero che osservare quanto segue.

DOVE APPRODA IL PRESTITO PONTE

Per essere utile il prestito ponte dovrebbe essere risolutivo per le sorti di Alitalia. Preludere cioè dell’arrivo di un acquirente certo. A queste condizioni neanche Bruxelles avrebbe da ridire. Alla compagnia serve non solo un partner finanziario, ma anche un partner industriale solido. Il socio finanziario dovrebbe immettere soldi freschi, quello industriale essere in grado di inserirla in uno dei grandi network europei. Air France rispondeva a entrambi i requisiti. Non altrettanto si può dire dei nuovi pretendenti. Soprattutto se tra questi c’è Sviluppo Italia.

ALITALIA NON DALLE NOSTRE TASCHE!

Ci risiamo. Ancora una volta la politica si è messa nel mezzo e così è saltata la trattativa con AirFrance-Klm, come otto anni fa era saltata quella con Klm. Nel frattempo la compagnia ha perso prestigio, aerei e collegamenti internazionali, con danno rilevante per lo sviluppo del  Paese. Non solo, Alitalia ha perso soldi in 14 degli ultimi 15 anni e ha succhiato (per ricapitalizzazioni) oltre 5 miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti italiani; contribuenti che in grande maggioranza non volano. La spregiudicatezza  elettorale del prossimo Presidente del Consiglio, la cecità dei sindacati e un malinterpretato federalismo territoriale hanno spinto anche Air France a ritirarsi. Ora, con la compagnia con l’acqua alla gola e a rischio di fallimento minuto per minuto, si propone un ulteriore sacrificio, un prestito “ponte” di 300 milioni di euro, di nuovo sulle spalle del tartassato contribuente italiano. Un prestito oltretutto che la Commissione Europea ha già bollato come illecito aiuto di Stato. Tanto che qualcuno propone di giustificare il prestito con “ragioni di ordine pubblico”. Ma a tutto c’è un limite, quantomeno di decenza. Naturalmente, il ricco Presidente del Consiglio “in pectore” e i suoi amici sono liberissimi di offrire contributi volontari alla compagnia di bandiera, se così desiderano.  Ma il Consiglio dei Ministri ancora in carica non attinga alle nostre tasche. Perché – caduta la trattativa con Air France-Klm – il “ponte” non porta da nessuna parte in tempi brevi: alla fine del ponte sembra esserci solo il vuoto o qualche altro lungo “ponte”. Insomma, tanti altri nostri soldi buttati. Sarebbe meglio che il Governo aspettasse ancora 2 o 3 giorni e poi, se non si manifestassero prospettive serie e concrete (industriali oltre che finanziarie), lasci partire il commissariamento. Probabilmente, così si arriverà al fallimento. Sarebbe forse una lezione salutare per tutti gli sgangherati attori di questa pessima…compagnia di giro.

CON AIR FRANCE VOLANO VIA I CAPITALI STRANIERI

Il ritiro dell’offerta di Air France su Alitalia pone problemi molto seri alla sopravvivenza della compagnia di bandiera. Ma è soprattutto un’ennesima dimostrazione di come nei confronti dei capitali esteri la nostra sia oramai diventata un’economia di rigetto più che di attrazione. Il caso, con le sue false verità, ricorda al mondo che per applicare un contratto contestato da noi ci vogliono 1.210 giorni contro 331 in Francia e che a ogni Finanziaria si modificano le regole fiscali. Gli investimenti torneranno solo quando le regole del mercato e di chi le governa saranno chiare e certe.

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