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Categoria: Informazione Pagina 26 di 49

IL COMMENTO ALL’ARTICOLO DI UGO TRIVELLATO

La Commissione per la garanzia dell’informazione statistica (CoGIS), in quanto istituzionalmente deputata a svolgere funzioni di vigilanza anche sulla correttezza e sull’accuratezza della diffusione dell’informazione statistica ufficiale, a fronte delle polemiche che stanno sviluppandosi attorno ad essa, è costretta ad evidenziare alcune inesattezze apparse recentemente sulla stampa e riguardanti il livello di disoccupazione presente nel nostro Paese.
L’obiettivo di questo intervento è quello di evitare che l’utilizzatore, a vario titolo, di dati riferiti al mercato del lavoro, nel trarre conclusioni dalle cifre riportate dai giornali, possa essere indotto ad errori di valutazione Al riguardo la Commissione vuole precisare che l’indagine sulle Forze di Lavoro – da cui scaturisce il dato sulla disoccupazione – viene effettuata dall’Istat con cadenza trimestrale, coerentemente con quanto avviene negli altri Paesi europei. Ciò vale in particolare sia per le informazioni rilevate dal questionario somministrato agli intervistati, sia per le modalità di estrazione dei soggetti da sottoporre all’ intervista (la strategia campionaria utilizzata).
A questo proposito e molto sinteticamente – data la complessità del disegno campionario dell’indagine – si sottolinea anche che attualmente la rilevazione, in Italia, riguarda, ogni trimestre, 76mila famiglie su ciascuna delle quali vengono rilevate le informazioni di ogni suo componente per un totale di circa 175mila individui. Relativamente in particolare alle “persone in cerca di occupazione” – termine tecnicamente corretto per designare la disoccupazione in quanto include oltre ai disoccupati anche le persone in cerca di prima occupazione – l’inevitabile errore commesso in ogni indagine  campionaria, cioè l’approssimazione che si introduce calcolando, sulla base di un campione, il dato relativo a tutta la  popolazione italiana, è valutato intorno all’1,5%. Si tratta di un possibile scarto in più o meno di, al più, 30mila “disoccupati” su un valore stimato, per il primo trimestre 2009, di 1,982 milioni.
La Commissione ricorda altresì di avere più volte richiamato l’attenzione degli uffici di statistica sull’esigenza di fornire ampi e dettagliati chiarimenti sui dati comunicati alla stampa, la cui tecnicità può dare luogo ad interpretazioni non coerenti con il significato e la portata dei dati stessi, specie ove riportati in modo parziale.

Commissione per la Garanzia dell’Informazione Statistica, 6 luglio 2009

MILANO DA BERE

Il comune di Milano vieta il consumo di alcolici in luogo pubblico ai minori di 16 anni. E motiva il provvedimento con la necessità di contrastare una epidemia di alcolismo fra i giovanissimi. Le statistiche citate dal sindaco, però, non sembrano dare una solida base all’inasprimento delle norme già esistenti. Anche gli effetti sulla salute dei ragazzi saranno modesti. L’ordinanza ha invece una plausibile giustificazione di costo-beneficio su un altro aspetto: mettere un freno alla movida giovanile. Dove il beneficio primario è quello dei residenti nelle aree interessate.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel nostro contributo ci interrogavamo sulla convenienza di  sfornare testate con immagini destinate a una parte dei lettori (gli uomini) e offensive di un’altra che é secondo noi altrettanto vasta (le donne o buona parte di esse).
Non volevamo suggerire nessuna relazione tra competenza a governare e immoralitá privata – ci sono, lo sappiamo, pessimi amministratori onesti.
Ma il tema che a noi premeva non era questo. Ci concentravamo invece su un problema che é specifico del mondo dell’informazione (soprattutto online) e ci chiedevamo quali fossero le ipotesi alla base di scelte editoriali che decidono di usare immagini di corpi femminili per attirare l’attenzione dei lettori.
E’ certamente vero come suggeriscono molti commenti che una lettura esclusivamente economica del fenomeno non e’ sufficiente.  Se cosi fosse,  dato che la proporzione di donne e uomini (nonché i rispettivi tassi di istruzione) sono piuttosto simili nei paesi europei, anche le testate straniere dovrebbero abbondare di queste immagini. Invece non è cosi come ci ricorda il lettore che vive in Finlandia.
Ma nel caso italiano l’elemento pregiudiziale è cosí pronunciato e forte da fare ombra anche alle ragioni economiche e del marketing. L’Italianità del fenomeno può essere legata in parte alla persistenza di una visione stereotipata e anacronistica del rapporto uomo/donna  che si riscontra sia negli atteggiamenti degli uomini italiani verso le donne  che, purtroppo, negli atteggiamenti passivi  o giustificativi di molte donne. Ma l’argomento dell’italianitá va articolato in ragioni piú certe ed empiriche per non rischiare di diventare esso stesso un pregiudizio-alibi.
L’italianità trova radici nella relativa maggiore debolezza, sociale e civile, delle donne italiane (le donne lavorano di meno, sono meno pagate, hanno ruoli più tradizionali anche in relazione alla vita domestica, partecipano di meno alla politica e quindi sono meno in grado di influenzare direttamente le scelte collettive). Come suggeriscono alcuni commenti va anche sottolineato che le donne  sono inoltre poco rappresentate nelle posizioni direttive in generale e in modo particolare in quelle legare al mondo del giornalismo. Nei quotidiani importanti pochissime sono le donne in ruoli dirigenziali. Solo l’Unità a nostra conoscenza ha un direttore donna.  Ed è  infatti  la testata che NON contiene immagini  riferimenti offensivi delle donne. Come richiama Maria Laura di Tommaso a commento della “italianità più recente”, mai come in questa stagione della politica italiana e’ emersa chiaramente la logica della doppia morale. E anche questo aspetto é parte della strumentalizzazione del corpo della donna per usi economici, di potere e di scambio.   
Lo stravolgimento della distinzione tra pubblico e privato per farne un arma di giustificazione dei comportamenti del Capo del Governo ne é un esempio.  Il paradosso é che tutto il pubblico é diventato privato (come in un sistema patrimonialista) e il privato ha occupato il pubblico (per ragioni di propaganda o pubblicitá elettorale) con le conseguenze aberranti per cui da un lato vi é una legge che mette la privacy sull’altare della religione secolare e dall’altro vi é una vita politica che é il palcoscenico sul quale si recita soltanto una parte, quella privata. E se questa parte si mescola con questioni politiche o di Stato e i cittadini vogliono sapere e i giornali cercano di svelare, allora si evoca la sacralitá della privacy, sulla quale si pretende di inchiodare l’informazione, facendola passare come un’intrusione invece che come un bene pubblico. 
E’ evidente il gioco delle parti che si cela dietro questa che é come la magia della stanza degli specchi: confondere tutti i piani per potere usare a piacere l’uno e l’altro a seconda dell’interesse.
Infine un’altra questione di grande interesse e sulla quale sarebbe necessario (e utilissimo) avviare una riflessione seria e serena é quella relativa alla crisi del femminismo, emersa in molti commenti.
Si dovrebbe cominciare a riflettere sulle responsabilitá del consumismo e della stessa cultura anni ’60, quella dei diritti e del benessere economico; in sostanza delle responsabilitá sia della cultura marxista che ha per decenni caratterizzato la sinistra (una cultura sostanzialmente economicistica e poco attenta alla dimensione etica e alla correlazione tra doveri e diritti) sia della cultuta cattolica (che ha tradizionalmente ostacolato la cultura dei diritti privilegiando soluzioni tradizionaliste all’autonomia morale di donne e uomini), sia infine del liberismo aggressivo che ha proposto modelli educativi tesi a identificare la cultura dei diritti con lo sgomitamento individualistico e il carrierismo, modelli che la televisione ha fatto diventare popolari.  Anche se non è questa la sede per un dibattito su questu temi non e’ possibile non porci queste domande. Nell’Italia dei diritti e della libera voce, non si puó adottare l’atteggiamento paternalistico che tende a sollevare le donne delle loro responsabilitá quando l’esito delle loro azioni non é approvabile.
E’ in nome dell’autonomia delle donne che il femminismo é nato; ed é in suo nome che deve essere messo alla prova di questa nuova sfida alla dignitá femminile. Il determinismo culturalista non é una strada percorribile per chi crede nel valore della cultura del genere. Lo stesso vale per i discorsi che tentano a situare le ragioni dell’anomalia nazionale nel carattere degli italiani.

IL CORPO, IL POTERE POLITICO E IL POTERE ECONOMICO

In questi ultimo periodo della politica italiana siamo stati sollecitati a riflettere sulla relazione tra uso del corpo e potere, potere economico e potere politico. Analizziamo da un punto di vista economico quanto sta succedendo: dal lato della domanda e dal lato dell’offerta.
Dal lato dell’offerta, in un certo senso, tutti usiamo il corpo per guadagnare, chi usa la voce, chi usa le mani, chi usa altre parti del corpo. In una situazione di forte disparità economica (il differenziale salariale tra uomini e donne in Italia è tra il 20 e il 30 per cento) saranno le donne ad utilizzare di più alcune tipologie di lavoro come vendere l’immagine del proprio corpo, prestarla per servizi di escort, oppure per vendere servizi sessuali. Dal lato dell’offerta non sembra ci siano domande rilevanti. L’uso del corpo delle donne e degli uomini fa parte di una logica economica molto chiara che è alla base dei modelli di economia del lavoro. E’ una questione di salario orario e di disparità economica. Politiche che diminuiscano la disuguaglianza economica avrebbero un effetto negativo sull’offerta.
Molto più complessa è l’analisi della domanda. Tuttavia mai come in questa stagione della politica italiana e’ emersa chiaramente la logica della doppia morale. Una logica molto vecchia che ha radici profonde anche in certo cattolicesimo. Perche’ doppia morale? Da un lato si approva un disegno di legge (approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 Settembre 2008) che prevede pene severe per chi compra o vende servizi sessuali in luoghi pubblici cioe’ un disegno di legge di stampo proibizionista, dall’altro si utilizza il corpo come richiamo sessuale per aumentare l’audience dei programmi televisivi e si accetta una mentalita’ di potere che "utilizza" il corpo delle donne in modi diversi inclusi servizi di escort e servizi sessuali.
Questa doppia morale ha effetti diversi sulla domanda; se il disegno di legge venisse approvato in Parlamento e se ci fossero sufficienti risorse in termini di controlli per penalizzare i clienti, un primo effetto sulla domanda potrebbe essere di scoraggiamento. A questo effetto si aggiungerebbe anche un effetto di occultamento del fenomeno; si ricorda infatti che il disegno di legge proibisce sia di vendere sesso che di comprarlo in luoghi pubblici, ma non si pronuncia se lo scambio avviene in luoghi privati. D’altro lato, invece, il continuo utilizzo di immagini di corpi come richiamo sessuale nei programmi televisivi e l’accettazione di una mentalità in cui le donne sono considerate oggetti da mostrare, da "utilizzare" ha un effetto positivo sulla domanda.
Le interpretazioni che la maggior parte delle testate giornalistiche ha contributo a diffondere sulle questioni che riguardano il corpo, il potere politico e il potere economico sono sostanzialmente di due tipologie: da un lato si sottolinea che l’attuale maggioranza politica ed in particolare il Presidente del Consiglio abbia una visione delle donne come oggetti da utilizzare, dall’altro si sottolinea l’importanza della divisione tra vita privata e vita pubblica.
La prima e’ riduttiva, la seconda incoerente.
La visione che accentua l’uso del corpo delle donne come oggetti da mostrare, da "utilizzare" di cui vantarsi in un certo mondo politico, corrisponde senz’altro a quanto abbiamo appreso da alcune interviste con Maria Teresa De Nicolò e Patrizia D’Addario (donne che hanno rilasciato interviste alla Repubblica e sono state chiamate a testimoniare dai magistrati di Bari come persone informate dei fatti) e dallo stesso avvocato del Primo Ministro.
Tuttavia è riduttiva. E’ riduttiva perché non considera che quello che conta qui non è tanto la visione della donna ma la visione del potere. Se infatti le preferenze sessuali degli uomini di potere fossero diverse non si esiterebbe a "usare" anche uomini. Inoltre non sappiamo, perché non è verificabile nel nostro contesto politico, se un potere politico femminile utilizzerebbe gli stessi strumenti. Non è verificabile ma molti studi nel settore del mercato del sesso mostrano che la richiesta di prestazioni sessuali maschili per clienti donne sia in aumento. Quindi clienti americane o europee che richiedono servizi di escort e servizi sessuali a pagamento a uomini che provengono da paesi in via di sviluppo (Brasile, Cuba, Bahamas). Anche una visione superficiale dei quotidiani, di riviste e di programmi televisivi ci conferma che l’uso del corpo maschile non solo di quello femminile serve per vendere il prodotto.
L’altra posizione quella che invoca la divisione tra vita pubblica e vita privata è anche molto difficile da sostenere. Questa divisione potrebbe essere invocata da un governo che non si pronunci su questioni morali. Un governo che non invochi la morale a sostegno di scelte e di proposte di legge sulla procreazione assistita, sul testamento biologico, sulla prostituzione. Un governo liberale nel senso storico del termine. Ma non da questo governo.
Quindi l’argomento è molto più ampio. Dal lato dell’offerta, una situazione di povertà e di disuguaglianza economica e, dal lato della domanda, una mentalità della maggioranza delle persone italiane che accetta che il potere si eserciti anche sull’ "uso" del corpo delle donne. Ma potrebbe essere anche di quello degli uomini. Infatti quello che conta qui è la disuguaglianza di potere e di risorse economiche.

CARDIA CONTRO CARDIA

Dietro la presentazione della relazione annuale Consob, un aspro dissenso divide il presidente Cardia dalla maggioranza dei suoi commissari sull’applicazione della direttiva europea che toglie ai giornali il business dell’informazione finanziaria obbligatoria e promuove internet come veicolo di diffusione delle notizie. Lo abbiamo raccontato per primi e, per completezza d’informazione, riteniamo opportuno dare conto degli argomenti che hanno convinto il Tar a negare la sospensiva del provvedimento applicativo.

AGCOM E IL GIOCO DELLE TRE CARTE

La relazione annuale dell’Autorità di garanzia per le comunicazioni sottolinea la fine del duopolio televisivo con il sorpasso di Sky su Mediaset. Ma è un messaggio fuorviante. Perché nasconde l’evoluzione dell’audience tra i principali canali, vero indicatore di allarme rispetto al problema del pluralismo. La pay-tv è un modello di televisione che non ha bisogno di grandi livelli di pubblico. E mentre la scomparsa del mondo televisivo tradizionale è ancora lontana, Mediaset conferma la posizione dominante sul mercato pubblicitario, con una quota del 55,1 per cento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Sono stati numerosi i commenti alla nota in merito alle provocatorie dichiarazioni del Ministro Tremonti sulle statistiche dell’Istat sulla disoccupazione. E in questi giorni vi sono state anche altre strampalate sortite di commentatori e uomini di governo sulla qualità e l’eccesso di tempestività (sic!) delle statistiche diffuse dall’Istat. Proprio perché strampalate le tralascio.
Rispondo invece ad alcuni dei commenti, cominciando da quelli che hanno sollevato dubbi o critiche.

Ma l’Istat racconta frottole?

I dubbi di tre lettori riguardano la credibilità della rilevazione. “Sarebbero 1.500 famiglie intervistate al giorno. Ma voi ci credete?” “Ma i campioni vanno modificati di tanto in tanto, o no?” “Ditemi, quanti di voi conoscono almeno una famiglia che sia stata interrogata dell’Istat?”
Ogni rilevazione sulle forze di lavoro si svolge nell’arco di un trimestre. Per semplicità, faccio dunque riferimento a una rilevazione trimestrale. Il campione di famiglie è di circa 76-77.000. Quelle che vengono trovate e rispondono sono dell’ordine dell’88%. Siamo a 67-68.000 famiglie, delle quali sono intervistati i componenti che hanno almeno 15 anni: 165-170mila persone. Tenuto conto del disegno dell’indagine, delle famiglie che non hanno il (o non desiderano rispondere al) telefono e della cura particolare messa nel raggiungere gli stranieri, grosso la metà delle interviste sono faccia a faccia mentre l’altra metà avviene per telefono. In ogni caso le interviste sono computer assisted, svolte cioè con l’ausilio di un personal computer che gestisce il questionario elettronico, sono realizzate da una rete di 350 rilevatori – selezionati e adeguatamente formati, e l’intero processo è monitorato in maniera sistematica. Che c’è di sorprendente nel fatto che, contando cinque giorni la settimana (ma qualche intervista si fa anche di sabato), si effettuino circa 1.050 interviste il giorno? Corrispondono a un carico di 3-4 interviste giornaliere per intervistatore professionale: un carico del tutto normale.
È ovvio che le stime si basano su un campione, sia pure piuttosto grande. Ed è altrettanto evidente che la cura posta nell’indagine non esclude vi siano errori. Ma essi sono contenuti entro limiti ragionevoli, e in buona parte sono individuati e corretti controllando la coerenza delle risposte. In definitiva, i risultati sono credibili, affidabili: soprattutto per i grandi aggregati. Non a caso, l’Istat fornisce stime provinciali delle principali grandezze non ogni trimestre, ma soltanto in termini di media annua (cioè, combinando i risultati di quattro rilevazioni).
E si rassicuri un lettore: il campione di famiglie viene rinnovato, con un piano di rotazione tale per cui una famiglia è intervistata 4 volte nell’arco  di 16 mesi (cioè, di 6 rilevazioni), e poi esce definitivamente dal campione(1).
Quanto all’aver conosciuto o meno una famiglia che sia stata interrogata dell’Istat: via, non è così che si ragiona riferendosi a fenomeni che toccano una frazione dell’ordine di 1 su 360 degli oltre 24milioni e mezzo di famiglie! Comunque, se mai servisse una testimonianza per soddisfare la curiosità di quel lettore, ebbene io conosco due famiglie che hanno fatto parte del campione delle forze di lavoro.

Forse i disoccupati sono ancora di più

Di tutt’altro tenore è l’obiezione di un altro lettore, secondo il quale “il problema non è tanto nella sovrastima della disoccupazione, quanto nella sua probabile (anzi sicura) sottostima”. La questione non è centrale nel dibattito intorno alle dichiarazioni del Ministro Tremonti, ma l’affermazione è plausibile. Il perché è presto detto. Il mercato del lavoro italiano è segmentato, vischioso. Chi cerca lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno, affronta dei costi di ricerca spesso elevati rispetto alla possibilità di trovarlo. Per di più, coloro che cercano un primo lavoro – e in Italia sono un terzo dei disoccupati – così come i disoccupati (precedentemente occupati) di lunga durata non hanno diritto all’indennità di disoccupazione, sicché di fatto non è loro richiesto neppure di compiere periodicamente la segnalazione di disponibilità al lavoro presso un Centro per l’impiego. L’insieme di questi fattori – strutturali e attinenti alle caratteristiche del nostro welfare del lavoro (e al modo mediocre con cui è amministrato) – comporta che una frazione non trascurabile di persone alla ricerca di lavoro e disponibili a lavorare non compia azioni attive di ricerca a cadenza almeno mensile: manchi cioè di uno dei requisiti per essere ufficialmente contata come disoccupata. Recenti studi mostrano che la gran parte di tali persone sono simili ai disoccupati ufficiali, sia per le loro caratteristiche che per il loro comportamento nel mercato del lavoro(2).

L’intervento di Tremonti è la spia di un più generale degrado del paese

Infine, mi trovo amaramente d’accordo con un altro commento, che legge in questa vicenda il sintomo di un degrado più generale dell’intero paese, e della sua classe dirigente in particolare. Davvero, vi è “un disprezzo per la scienza, la conoscenza in generale, per cui si può dire tutto senza necessità di parlare di metodi e tecniche”, senza suffragare le proprie affermazioni con l’evidenza informata, anzi avanzando accuse tanto infondate quanto destabilizzanti, “mettendo tutto sul ridere [ed] elevando le chiacchiere da bar a verità”.
Provo un profondo disagio per la situazione di un paese che vede i sondaggi – non importa di che qualità – branditi come argomenti se fa comodo; le stime e le proiezioni serie, che dovrebbero servire come riferimento (certo, da vagliare e da aggiornare) per l’azione, irrise – e i loro autori invitati al silenzio; l’assenza di uno sforzo pubblico per informare correttamente ed educare a un uso consapevole dei dati. E vedo con preoccupazione il suo futuro.

(1) Informazioni essenziali su contenuti, disegno e modalità di svolgimento dell’indagine sono nella nota Rilevazione sulle forze di lavoro. Le caratteristiche dell’indagine sono presentate in modo più dettagliato nel volume La rilevazione sulle forze di lavoro: contenuti, metodologie, organizzazione.
(2) Vedi Brandolini A., P. Cipollone e E. Viviano, “Does the ILO definition capture all unemployment?”, Journal of the European Economic Association, 2006, vol. 4 (1), pp. 153-179, e Battistin E., E. Rettore e U. Trivellato, “Choosing among alternative classification criteria to measure the labour force state”, Journal of the Royal Statistical Society – Series A, 2007, vol. 170 (1), pp. 5-27.

QUOTIDIANI DI PARTITO: IL CONTO E’ SALATO

Per ogni copia venduta di un quotidiano politico, ce ne sono tra le sette e le nove che tornano indietro. I giornali politici non hanno infatti una focalizzazione territoriale né un pubblico omogeneo. Due caratteristiche che pesano sulla distribuzione e sulla raccolta pubblicitaria. A cui si aggiunge una costosa e forse inutile vocazione generalista. Sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici. Che però dovrebbero incentivarli a trovare nuove forme di diffusione, più adatte alle loro caratteristiche. Come gli abbonamenti o i siti internet.

L’ASTA FANTASMA

Una parte di spettro frequenziale destinato alla telefonia mobile di terza generazione è stato appena assegnato attraverso un curioso caso di applicazione dei meccanismi di asta. Ma è tutto il sistema delle frequenze a essere gestito in modo inefficiente in Italia. Come dimostrano in primo luogo i blocchi concessi alle televisioni in modo pressocché gratuito. In ogni caso, allo Stato restano incassi limitati da una risorsa pubblica che ha invece un grande valore economico. Una situazione del tutto irragionevole considerati i nostri problemi di finanza pubblica.

LA POLITICA AI TEMPI DI YOUTUBE

Anche la politica comincia a essere influenzata dal Web 2.0. Lo si è visto con la campagna presidenziale negli Stati Uniti. E con il caso Serracchiani da noi. Tanto che Internet può essere ormai considerato come il misuratore più tempestivo delle fortune dei politici nei paesi più sviluppati. Quanto al rischio che i candidati propongano ciò che è adatto al mezzo e non ciò che è adatto ai cittadini, c’è già il precedente della televisione. YouTube abbassa il costo d’entrata nella produzione e distribuzione dei messaggi. Ma l’attenzione del pubblico resta una risorsa limitata.

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