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Categoria: Immigrazione Pagina 30 di 40

Solo parole nella lotta alla clandestinità

Il governo vanta successi nella lotta anti-clandestini. Ma con sei sanatorie in ventidue anni e i decreti-flussi che funzionano come sanatorie mascherate, l’Italia detiene il primato europeo delle regolarizzazioni di massa. Primato rafforzato dall’attuale governo. All’ostilità verso gli immigrati irregolari urlata a gran voce e inoculata nella coscienza dei cittadini corrisponde una tolleranza di fatto. Forse servirebbe una politica meno enfatica e più responsabile: difficile ottenerla in tempi normali, figuriamoci quando si profilano all’orizzonte le elezioni.

 

C’è l’indulto dietro il boom e lo sboom della criminalità *

Negli ultimi anni abbiamo assistito prima a un boom della criminalità e poi a una sua rapida diminuzione. Il governo attribuisce il calo del numero dei delitti denunciati alla stretta sull’immigrazione, soprattutto quella clandestina. Invece l’ondata prima crescente e poi calante potrebbe essere dovuta all’indulto voluto dal governo Prodi. Gli indulti, come i condoni per gli evasori e le sanatorie per gli immigrati, sono presentati come pezze temporanee per tappare buchi, ma producono il risultato permanente di indebolire la fiducia nella legge e il senso della legalità.

 

Un commento di Iacopo Viciani e la risposta degli autori

L’articolo ha il merito di presentare quello che dal 1993 l’analisi econometrica evidenzia sulla relazione aiuti, ma anche flussi commerciali, povertà  e migrazioni (Faini Venturini, 1993).
In sintesi, se gli aiuti sono efficaci e aumentano il redito procapite allora finché questo reddito non raggiunge una certa soglia (stimata intorno ai 7000 dollari PPP- circa il reddito di Sud Africa, Tailandia, fonte: Berthelemy, 2006) i flussi emigratori dal paese continuano ad aumentare. Superato questo reddito-soglia, la continua crescita aumenta gli incentivi economici a restare. L’’aumento dei flussi sarebbe perciò un effetto transitorio legato alla convergenza delle economie, tanto più breve quanto maggiore fosse la crescita del Paese d’emigrazione. Un’’analisi recente (Berthelemy, 2006) conclude che i flussi di immigrati aumentano in un paese che aumenti i suoi aiuti bilaterali, sopratutto per quanto riguarda la forza lavoro qualificata.
E’’ importante precisare che il rapporto aiuto/migrazione forse nasconde una causa più importante: il Pil procapite e la crescita di output del paese di immigrazione. Secondo la letteratura economica sulle migrazioni, questi sono le maggiori determinanti nella scelta della meta d’’immigrazione ma sono anche determinanti cruciali dei livelli di aiuto. Ossia, ad esempio, il Pil procapite alto della Svezia fa sì che questa sia meta ambita di immigrazione e che il livello di aiuti svedesi sia alto. Stabilire la causalità tra gli aiuti svedesi e l’emigrazione verso la Svezia può essere azzardato.
Anche il Pil procapite del Paese di emigrazione è tra le maggiori determinanti dell’’emigrazione, in termini assoluti. Affermare che gli aiuti hanno causato questa crescita di reddito procapite, significa riconoscere che l’’aiuto funziona. Purtroppo nessuno studio econometrico ha dimostrato una volta per tutte in maniera significativa questa correlazione tra aiuto e aumento del reddito/ crescita.
La crescita di reddito procapite in un Paese in via di sviluppo, o più semplicemente la sua crescita, è legata anche ad altri flussi finanziari e agli scambi commerciali. I Paesi Ocse potrebbero solo avere “selezionato” di investire maggiormente per l’’aiuto in quei paesi con già migliori performance economiche.
Infine sulla questione del “brain drain”, un documento Ocse del febbraio 2010 analizza il caso delle emigrazioni del personale infermieristico dai Paesi in via di sviluppo concludendo che non è l’’emigrazione la causa della mancanza cronica di personale sanitario. Inoltre una studio della Banca Mondiale del 2009 ha messo in evidenza che in molto Paesi in via di sviluppo la possibilità di emigrare se qualificati in una certa professione costituisce un significativo incentivo per formarsi. Le Filippine sono il Paese che invia il maggior numero di infermiere all’’estero ma non soffre di una carenza di personale infermieristico. In molti casi l’’emigrazione è solo temporanea i sanitari con un rientro dei professionisti qualificati attorno ai 30 anni  (World Bank, Microdeterminants of Migration, 2009).

Molto interessanti e appropriati gli spunti di  Iacopo Viciani. Esiste certamente una relazione tra aiuti erogati e Pil del Paese  donatore (che farebbe, nell’esempio citato, apparire la Svezia come forte donatore, in virtù del suo elevato Pil). Da un punto di vista  puramente tecnico, nelle nostre analisi, abbiamo tenuto conto di  questo problema esprimendo sempre l’ammontare di aiuti in percentuale del Pil del Paese donatore, in modo da “pesare” il volume di aiuti  erogati per la dimensione economica del Paese. Allo stesso modo, studiando i flussi migratori in uscita dai Paesi africani, abbiamo sempre pesato gli aiuti ricevuti dal singolo Paese beneficiario per il suo Pil.
Abbiamo anche cercato di trattare il volume di aiuti ricevuti come una  variabile endogena (in funzione
di alcune caratteristiche economiche del Paese beneficiario) proprio per tener conto della possibile “selezione” (da parte dei Paesi Ocse) dei Paesi verso cui dirigere più aiuti. Al di là di analisi aggregate, stiamo invece studiando quanto e  come gli aiuti si traducano effettivamente in un aumento di reddito, attraverso l’’uso di dati che consentano di analizzare le relazioni economiche bilaterali (e i loro effetti socio-economici) tra Paese donatore e Paese beneficiario.
Sulla questione cruciale del “brain drain”, concordiamo con Viciani: non sempre i Paesi esportatori di
capitale umano soffrono di carenza di capitale umano. Questo punto esula, per il momento, dalle nostre analisi; tuttavia, un spunto interessante potrebbe essere questo: se da una parte i flussi emigratori privano in una certa misura il Paese d’’origine di forza lavoro, è anche vero (come afferma Viciani) che questo fenomeno può associarsi ad un incentivo all’’ulteriore formazione da parte di chi resta. De Haas, in un lavoro del 2004,  parla di “brain gain”: cioè del contro-flusso di rimesse, investimenti, conoscenza e capitale sociale che avvantaggia il Paese fonte di emigrazione, proprio in virtù di quanti, precedentemente emigrati, ritornano in patria o, attraverso reti economiche  internazionali, partecipano dall’’estero allo sviluppo del proprio Paese. Va detto che tale dinamica, però, non ha sempre luogo, e molti Paesi sub-sahariani tendono ad impoverirsi, in senso economico e non, quando all’’emigrazione non segue nessun contro-flusso di capitale e conoscenza.

Se mi aiuti, emigro

Serve aumentare gli aiuti per fermare l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa? L’analisi econometrica mostra che tanto più un paese riceve aiuti economici internazionali, tanto più da lì si origineranno flussi di migrazione e tanto più un paese eroga aiuti, tanto più riceverà immigrazione. Perché la scelta di emigrare sarebbe sempre più guidata dalla percezione della povertà relativa e non dalla povertà assoluta. Gli aiuti vanno dunque ancorati a progetti specifici e verificabili, volti a generare un flusso di reddito certo per i lavoratori residenti.

Chi ha paura del negoziante straniero?

Cresce il numero delle imprese individuali con titolare extracomunitario. Sono soprattutto attività legate al commercio, fisso e ambulante. Che contribuiscono a mutare il paesaggio urbano delle città e per questo sono ostacolate da molti amministratori locali, in particolare lombardi. Anziché apprezzare il fatto che vetrine illuminate e negozi aperti vivacizzano anche i quartieri difficili, prevale una visione della sicurezza come rimozione dei luoghi di incontro e degli spazi di socialità dei gruppi considerati pericolosi. Anche a costo di desertificare le strade.

Non si affitta agli immigrati

Un buon funzionamento del mercato degli affitti è fondamentale per favorire l’integrazione degli immigrati. Quello italiano ha molti problemi: l’offerta è scarsa e mal distribuita sul territorio nazionale, i costi di transazione sono elevati. Ma non solo: una parte dei proprietari non è disposta a concedere una casa in affitto agli stranieri. La discriminazione è più intensa nell’Italia settentrionale, colpisce soprattutto gli uomini e meno le donne e più gli arabi rispetto a chi proviene dall’Europa dell’Est. Neanche la crisi economica riesce a eliminarla.

Più immigrati più crimine? Dipende dalla politica

I risultati di una indagine sul Regno Unito mostrano che la presenza di immigrati non necessariamente si trasforma in un aumento dei tassi di criminalità. Anzi. Se agli stranieri viene lasciata la libertà di entrare e uscire dal paese ospitante, lavorare in regola e scegliere i mercati del lavoro locali in cui inserirsi, non si registrano effetti negativi dal punto di vista della criminalità. Quando la politica migratoria preclude loro queste possibilità, possono finire per scegliere attività criminose per far fronte alle necessità di sostentamento.

Le vittime straniere della crisi italiana*

Vanno letti con attenzione i dati Istat sulle forze lavoro relativi al 2009. Segnalano un aumento degli immigrati occupati nel nostro paese, dovuto presumibilmente al processo di regolarizzazione avviato a fine 2008. Indicano però anche un incremento dei disoccupati stranieri. Hanno solo sei mesi per trovare un nuovo lavoro. Scaduto il termine è probabile che molti decidano di tornare nel paese di origine. Quale sarà allora il destino dei contributi previdenziali versati? Rimarranno per lo più in Italia, nelle casse dell’Inps.

QUELLE PAROLE DEL SINDACO SUGLI IMMIGRATI

Lettera aperta al sindaco di Milano, Letizia Moratti. Che qualche giorno fa ha proposto un’equazione tra immigrati clandestini e criminalità. Parole che non sembrano suffragate da analisi e studi approfonditi. Perché i dati di una ricerca della Fondazione Rodolfo Debenedetti su otto comuni del Nord Italia e il primo censimento dei senzatetto a Milano offrono una lettura ben diversa della situazione. A partire dal fatto che quasi tutti gli immigrati passano per una condizione di irregolarità prima di ottenere il permesso di soggiorno.

DUE ANNI DI GOVERNO: IMMIGRAZIONE

Nonostante la crisi e la mancata reiterazione del decreto flussi nel 2009, la presenza straniera è ulteriormente aumentata così come gli occupati stranieri (IV trimestre del 2009), in controtendenza rispetto all’andamento generale dell’occupazione. Si calcola che gli stranieri regolari si aggirino attorno ai 4,5 milioni all’inizio del 2010. L’immigrazione è oramai un fenomeno di massa e la normativa necessita una profonda revisione per quanto riguarda sia i meccanismi di accesso legale al paese di cittadini stranieri, sia la durata dei permessi di soggiorno e le lentissime procedure di rinnovo, sia la concessione della cittadinanza e dei diritti di voto. Il governo ha invece messo in atto provvedimenti di pesante – quanto inutile, quando non dannosa – impronta securitaria. Col “pacchetto sicurezza” è stato introdotto nel nostro ordinamento il reato d’immigrazione clandestina e si sono aggravate le pene per molti reati, quando compiuti da immigrati irregolari; si è resa difficile la vita a milioni di immigrati con la tassa su concessioni e rinnovi dei permessi di soggiorno, con le ulteriori difficoltà frapposte al conseguimento del titolo di lungo-soggiornante, con la trovata del permesso a punti di cui nemmeno i proponenti sanno bene cosa fare. Si sono allungati i tempi di permanenza nei Cie, mentre si rende impossibile il rimpatrio volontario dell’irregolare, che deve essere necessariamente espulso essendo l’irregolarità un reato. Così facendo non si combatte l’irregolarità, che è dovuta all’estensione dell’economia sommersa e del lavoro al nero, alla normativa impervia per l’accesso legale, alla corta durata dei permessi, la cui scadenza converte rapidamente in irregolare chi perde un lavoro.
Nell’autunno del 2009 si è proceduto a una sanatoria di quasi 300mila colf e badanti, persone arrivate in Italia con visti turistici ma spesso da anni impiegate presso le famiglie. Una sanatoria “zoppa”, che non ha voluto regolarizzare altre centinaia di migliaia di irregolari impiegati in lavori non meno utili e necessari.
Va infine segnalata la questione dei respingimenti e riaccompagnamenti di migranti intercettati in mare. Il trattato di amicizia con la Libia – ratificato nel febbraio 2009 – ha di fatto fortemente ridotto gli sbarchi di irregolari sulle coste italiane. Ma la sorte degli irregolari intercettati nelle acque libiche o in quelle internazionali da pattuglie italo-libiche, e respinti in Libia, paese poco incline alla salvaguardia dei diritti umani, è un problema irrisolto che ha suscitato inquietanti critiche sul piano internazionale.
Riforma della normativa per l’accesso legale al paese; controllo delle cause – e non solo dei sintomi – dell’irregolarità; consistenti investimenti nell’integrazione dei migranti; nuova normativa sull’acquisizione della cittadinanza; rigoroso rispetto delle convenzioni internazionali per il diritto d’asilo: questi sono i punti fondamentali per una politica migratoria lungimirante non sequestrata dall’ossessione securitaria.

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