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Categoria: Fisco Pagina 63 di 82

L’ISEE DIECI ANNI DOPO

L’Isee ha appena compiuto dieci anni. E’ uno strumento in grado di fornire indicatori di benessere più veritieri del solo reddito personale. Ma i più recenti provvedimenti di natura sociale non vi fanno riferimento per la selezione dei beneficiari. Tuttavia, una politica di welfare slegata dalla prova dei mezzi contribuisce a elargire benefici anche a individui con una condizione economica che non giustifica il trasferimento. Con pessimi risultati rispetto agli obiettivi di contenimento e di efficienza della spesa e rispetto ai più elementari criteri di equità.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

I numerosi commentatori si sono espressi  in maggioranza in termini favorevoli alle mie tesi. Ne sono confortato, anche perché  tra di essi stanno noti studiosi della materia come il prof. Petretto e il prof. Tramontana. Il commento di Petretto va sottolineato. Esso ricorda, a ulteriore sostegno, che l’efficienza economica induce a privilegiare le imposte caratterizzate da bassa reattività dei contribuenti , come appunto l’ICI, rispetto alle probabili imposte sostitutive che colpiscono i  redditi e i  consumi e  generano contrazioni dell’imponibile  e distorsioni nell’economia.
Ma veniamo ai commenti sfavorevoli. Alcuni contestano l’equità di un’imposta  su un patrimonio improduttivo qual è l’abitazione propria, affermando che solo l’imposta sul reddito o sul consumo è equa. La replica è che, come ampiamente noto, il reddito figurativo della residenza è tassabile quanto il reddito monetario dell’edificio locato; e questo incontestato principio tributario non è intaccato dalle possibili agevolazioni che si vogliano concedere, magari per finalità extratributarie ( diffusione della proprietà  a scopo di stabilizzazione sociale). Occorre poi ricordare che l’ICI sulla prima casa, mentre appare compatibile con il criterio della capacità contributiva,  è in ogni caso ampiamente  giustificata nella finanza locale dal criterio del beneficio.
Un altro commento invoca il ritorno alla vecchia imposta locale sul reddito ( Ilor, abolita nel 1998). A prescindere dai problemi applicativi di tale imposta nella sua configurazione effettiva, che a dispetto del nome la condannarono ad essere un’imposta erariale, va detto che per la casa di abitazione l’Ilor, depurata dalle esenzioni temporanee concesse sugli immobili di nuova costruzione, sarebbe del tutto equivalente all’Ici.
Più fondamento teorico avrebbe l’ipotesi, avanzata in altro  commento, di ripristinare l’Invim, che tuttavia, per vari motivi non analizzabili in questa sede, è improponibile  nell’attuale contesto.
In termini  più aderenti alla situazione presente, viene da alcuni invocato un inasprimento dell’Ici sullo sfitto a compenso del gettito perduto con l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. Incidentalmente va osservato  che non è  affatto ovvio il fondamento etico  della penalizzazione dello sfitto (bisognerebbe chiedersi perché il proprietario rinuncia al guadagno della locazione); ma  ai fini del tema in discussione basta sottolineare la vistosa differenza  tra i due imponibili, quello delle case sfitte e quello delle prime case, per concludere  che non c’è possibilità che un inasprimento sul primo compensi la scomparsa del secondo.
Su altro piano è stato sostenuto che si può configurare  una manovra sull’Irpef  tale da rendere il prelievo più progressivo rispetto all’attuale sistema con l’Ici. E’ tesi astrattamente  valida, ma non si tratta di configurare possibili combinazioni aritmetiche , bensì di ragionare  sulle probabili manovre di questo  governo dal lato delle entrate e su quello delle spese; e allora resta  valida la mia tesi che non ci si deve aspettare alcun guadagno in termini di efficienza o equità. Senza contare che simili esercizi  non intaccano comunque le ragioni del federalismo che militano a favore dell’Ici.
Termino riconoscendo molto lucida l’osservazione di Mario Data sui possibili guasti provocati dall’Ici sulla politica urbanistica. La tesi, che  anch’io avevo avanzato su queste colonne, è che i comuni,  in perenne crisi finanziaria, sono tentati di svendere il territorio e “ cementificare l’impossibile” per incassare in futuro l’Ici ( in aggiunta  all’incasso immediato degli oneri di urbanizzazione e costruzione). Ma la soluzione sta nel garantire  una più efficace tutela  del territorio e un maggiore ruolo delle compartecipazioni comunali al gettito delle  imposte erariali, non già nell’abolire l’Ici sulla prima casa.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

LE QUESTIONI SOLLEVATE DAI COMMENTI DEI LETTORI.

Regime della tutela dei dati personali e natura dei dati tributari, rilevanza delle modalità di divulgazione rispetto alla tutela della privacy, valenza del controllo sociale come espressione di un rapporto tra i consociati fondato sulla corresponsabilità condivisa nei confronti del bene comune, in corrispondenza ad una concezione democratica e partecipata del vincolo sociale, o invece incentivazione di un deprecabile voyeurismo di massa e (peggio ancora) strumento odioso di delazione, alla stregua, come dice un lettore, di quanto praticato da “tutte le dittature per controllare ogni respiro dei propri cittadini”. Queste, per sommi capi, le questioni su cui, nella varietà degli accenti e delle posizioni, si sono principalmente soffermati i numerosi commenti seguiti alla pubblicazione del contributo Contribuenti fra trasparenza e privacy. Una vera e propria risposta richiederebbe uno spazio di cui non si dispone, si cercherà quantomeno di fornire qualche elemento ulteriore di analisi e riflessione.

REGIME DELLA TUTELA DEI DATI PERSONALI E NATURA DEI DATI TRIBUTARI.

I dati oggetto della pubblicazione effettuata dall’Agenzia delle entrate rientrano, certo, tra i dati personali, come qualunque informazione riconducibile, anche indirettamente, a una singola persona, ma, va sottolineato, non sono dati sensibili. In base al Codice della privacy, infatti, i dati personali non sono posti tutti sullo stesso piano, ma sono protetti con diversa intensità in relazione al loro diverso contenuto. La tutela è massima per le informazioni in materia di salute o di vita sessuale della persona, mentre invece è ridotta per le informazioni di natura economica. Basti ricordare che per il trattamento dei dati riguardanti l’attività economica dei soggetti (fatto salvo il segreto industriale e aziendale) non è necessario il consenso dell’interessato (art. 24, c. 1, lett. d). Da questo differenziato regime della tutela dei dati personali non si può prescindere quando si opera il confronto tra le ragioni della trasparenza, che hanno guidato il provvedimento di pubblicazione adottato dall’Agenzia delle entrate, e le ragioni della privacy, che gli sono state contrapposte: la riservatezza dei dati economici non è nel nostro ordinamento un valore assoluto, ma al contrario risulta, nello stesso Codice della privacy, di portata circoscritta, in conformità peraltro con la Costituzione repubblicana, che non include più le situazioni a contenuto economico  nell’area  dei diritti fondamentali inviolabili. La tutela della riservatezza va ponderata con gli altri valori fondamentali affermati dalla Costituzione. Nel bilanciamento tra valore della riservatezza dei dati economici, dalla Costituzione e dal Codice della privacy considerati comparativamente meno meritevoli di tutela rispetto ai diritti fondamentali, e valore della trasparenza come strumento per garantire un’opinione pubblica adeguatamente informata rispetto a interessi pubblici fondamentali quali l’adempimento del dovere d’imposta (fin dalla nascita dello Stato democratico legato a filo doppio alla titolarità dei diritti politici) e l’eguaglianza fiscale (art. 53 Cost.), non può essere che quest’ultimo il valore destinato a prevalere.

MODALITÀ DI PUBBLICAZIONE E TUTELA DELLA PRIVACY.

Il punto centrale della questione di illegittimità del provvedimento dell’Agenzia delle entrate sollevata dal Garante per la protezione dei dati personali riguarda la modalità della pubblicazione dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi, effettuata su internet. La legge, che risale ad anni antecedenti alla diffusione di internet, prevede la pubblicazione di tali dati nella forma del deposito degli elenchi dei contribuenti “per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i comuni interessati” (art. 69 del d.p.r. n. 600/1973). Il provvedimento del Garante ritiene prescritti dal legislatore, con tale disposizione, un limite territoriale e un limite temporale alla diffusione dei dati in oggetto. Il primo, costituito dalla delimitazione di ciascun elenco ai soli contribuenti della singola circoscrizione territoriale comunale alla quale soltanto l’elenco stesso è poi trasmesso e presso la quale soltanto è depositato. Il secondo, costituito dal limite di durata di un anno del deposito. Entrambi i limiti appaiono, evidentemente, scardinati dalla pubblicazione degli elenchi su internet, che travalica la delimitazione per circoscrizioni comunali e, consentendo a chiunque di “scaricarli” sul proprio computer, vanifica altresì il limite temporale. Il Garante lamenta che “l’Agenzia non ha previsto “filtri” nella consultazione on-line” e che ha posto in essere “una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l’attuale disciplina prevede una relativa trasparenza”. Affermare questo, però, significa non considerare che la disposizione che prevede la pubblicazione degli elenchi, ossia l’art. 69 cit., la prescrive “ai fini della consultazione da parte di chiunque”. Consentire la consultazione a chiunque significa non prevedere alcun filtro per la conoscibilità degli elenchi. La norma non richiede per la consultazione degli elenchi né il requisito della residenza nel comune corrispondente né la titolarità di alcun specifico interesse ad acquisire tale conoscenza. La previsione del “chiunque”, in altre parole, è di per sé incompatibile con il limite territoriale configurato nel provvedimento del Garante e che a suo dire sarebbe stato violato dalla pubblicazione su internet. Quanto al supposto limite temporale, in realtà l’art. 69 cit. prevede la durata di un anno del deposito non come termine massimo, per garantire il cd. diritto d’oblio dei dati, ma come garanzia della loro effettiva consultabilità, fino a che i dati di ciascun anno non siano sostituiti con quelli dell’anno successivo. Appare pertanto fondata la tesi dell’Agenzia delle entrate, che ha ritenuto andasse applicata anche a questo tipo di pubblicazione, prevista dal legislatore in una fase in cui non si era ancora avuta la diffusione di internet, la disposizione che oggi richiede allo Stato e alle altre amministrazioni pubbliche di assicurare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale (art. 2, c. 1, d.lgs. n. 82/2005, Codice dell’amministrazione digitale).
Va ribadito dunque che il ricorso alla pubblicazione su internet non è illegittimo per contrasto con l’art. 69 cit., in quanto, al contrario, consente una piena attuazione di tale norma, in cui è stato fissato dal legislatore, in termini generali, un ordine di priorità tra interesse alla trasparenza e interesse alla riservatezza, con riguardo ai dati fiscali, assegnando la prevalenza al primo, per le considerazioni di interesse pubblico già richiamate.
Sulla base di queste stesse considerazioni vanno affrontati anche gli ulteriori quesiti, emersi nel dibattito, relativi alla necessità di accompagnare la pubblicazione su internet con l’introduzione di soluzioni informatiche rivolte a consentire la tracciabilità degli accessi e impedire il trasferimento di file per evitare che siano costituite banche dati improprie e siano effettuati usi illeciti dei dati. A ben vedere: la tracciabilità degli accessi è in realtà incoerente con l’apertura della consultazione a chiunque, nel senso prima chiarito; bloccare la possibilità di “scaricare” il file è un rimedio solo apparente a fronte delle tecnologie attuali, in grado comunque di superare un tale impedimento. Va osservato peraltro che in realtà gli elenchi sono già da tempo disponibili sulla rete, attraverso gli archivi on line dei giornali che li hanno pubblicati, quantomeno in parte, anno per anno, e, ancora, va considerato che con le tecnologie attuali la stessa consultabilità degli elenchi cartacei nelle modalità testuali dell’art. 69 cit. apre potenzialmente la possibilità della loro registrazione. Quanto alla trasferibilità all’estero, la Corte di giustizia della Comunità europea ha statuito che l’inserimento di dati su internet non costituisce un trasferimento verso paesi terzi, anche se questi dati sono così resi accessibili per la consultazione da persone di paesi terzi, considerato il carattere ubiquitario delle informazioni su internet (sent. del 6 novembre 2003, Causa C-101/01). Quanto sin qui affermato non implica tuttavia che qualsiasi uso dei dati tributari così pubblicati sia da ritenere ammissibile, ma, in corrispondenza a quanto più volte sancito dalla giurisprudenza in materia di accesso ai dati, comporta invece che gli usi illeciti dei dati vadano perseguiti nel momento in cui si verifichino senza che per prevenirli si debbano soffocare le esigenze di trasparenza.

VALENZA DEL CONTROLLO SOCIALE

Il punto cruciale, in definitiva, sotteso a tutte le questioni sollevate, attiene all’alternativa tra due concezioni diverse della privacy, corrispondenti a due diversi modi di intendere il rapporto tra il singolo e la società. L’una considera la privacy come bene assoluto e indifferenziato, indipendentemente dal contenuto delle informazioni coinvolte, sicchè rivendica per quelle di natura economica le stesse garanzie che, viceversa, la legge, nella ricerca del contemperamento tra tutela della privacy e tutela di altri valori fondamentali, riserva ai soli dati “sensibili”. In tale prospettiva l’individuo è considerato in relazione esclusiva con lo Stato, avulsa da qualsiasi legame sociale. L’altra, coerentemente con l’impostazione recepita nell’impianto stesso del Codice della privacy, parte dal presupposto che la tutela della riservatezza vada ponderata con gli altri valori fondamentali affermati dalla Costituzione e, nel caso in esame, considera come esito di tale ponderazione la prevalenza da assegnare alla trasparenza dei dati fiscali. In essa ravvisa infatti uno strumento fondamentale per una corretta informazione in ambito sociale sull’adempimento da parte di ciascuno del dovere di contribuire secondo le proprie disponibilità al bilancio pubblico, quale espressione del vincolo che lega ogni soggetto agli altri componenti della comunità sociale, a fini di equità fiscale nella copertura della spesa per i servizi erogati alla comunità medesima nella sua interezza dall’intervento pubblico.

L’IRPEF SENZA GLI STRAORDINARI

La detassazione degli straordinari modifica in modo significativo la fisionomia del più importante tributo italiano. Perciò, non bisogna solo capire se gli obiettivi siano giusti, ma anche se lo strumento individuato sia il più corretto. L’agevolazione fiscale persegue finalità che si prestano a non poche obiezioni, dà risultati iniqui, contrasta con principi cardine del sistema d’imposizione personale del reddito, risponde solo parzialmente a un possibile effetto di inefficienza che riguarda una parte esigua dei soggetti coinvolti e favorisce fenomeni elusivi.

GRANDI INTESE O GRANDI ELUSIONI FISCALI?

Si profila all’orizzonte un grande accordo sulla detassazione dello straordinario e delle componenti variabili del salario. Sarebbero d’accordo tutti: dalla maggioranza all’opposizione, da Confindustria al sindacato. Nelle migliori intenzioni dovrebbe servire a rafforzare il decentramento della contrattazione salariale e un più forte legame dei salari con la produttività. Ma vi sono grandi rischi di elusione fiscale. Non a caso il Governo sta predisponendo tanti paletti, complicando ulteriormente il sistema fiscale. E per decentrare la contrattazione non c’è alcun bisogno di sgravi fiscali. Meglio sarebbe tagliare le tasse sul lavoro per tutti e riformare davvero la contrattazione.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Se l’intenzione è quella di rendere più competitivo il nostro paese intervenendo sul costo del lavoro, si può intervenire in modo migliore che detassando il lavoro straordinario. Con le risorse necessarie per detassare gli straordinari (o ridurre la tassazione ad un’aliquota unica del 10%, come attualmente in discussione) si possono abbassare (anche se di poco) le tasse sul lavoro a tutti i lavoratori, o ridurre l’Irap (che grava comunque sul lavoro). Sarebbe però bene che lo Stato rimanesse
neutrale sulle decisioni relative a quanto lavoro offrire, limitandosi a garantire a quei lavoratori e a quelle lavoratrici che lo desiderano la possibilità effettiva di mettersi a tempo parziale, e a coloro che lo vogliono di lavorare più a lungo, senza favorire gli uni e ostacolare gli altri.

….

Il mio articolo ha suscitato commenti, circa equamente suddivisi tra favorevoli e contrari. Vorrei qui ringraziare tutti coloro che sono intervenuti ed aggiungere alcuni chiarimenti.
A tal fine procederò con un esempio. Premi di produttività e straordinari sono ormai stati detassati, con buona pace di chi (non molti, per verità) si sono opposti.
Mimmo e Ciccio devono discutere del loro contratto: per Mimmo si tratta solamente di ridiscutere le condizioni ma è già dipendente, mentre Ciccio sta per essere assunto (1). Il direttore del personale, Gigi, propone sia a Mimmo che a Ciccio un contratto con un salario base più basso, tanto, sostiene, se lavoreranno bene avranno premi di produttività e la possibilità di fare straordinari, che con la nuova normativa convengono. Alla fine ci guadagneranno tutti. Mimmo e Ciccio accettano.
Il giorno dopo arriva nell’ufficio di Gigi Elisa, anch’essa per parlare di contratto. Gigi le propone un contratto simile a quello di Mimmo e Ciccio, e per Elisa risulta difficile non accettare delle condizioni analoghe a quelle dei suoi colleghi maschi. Elisa però ha dei figli piccoli e quindi molto difficilmente riuscirà a fare straordinari.

A questo punto:

(1) se le cose vanno bene per l’azienda e Mimmo e Ciccio si fanno apprezzare, guadagnano più di prima. Tutto bene per loro, anche se la loro retribuzione è lasciata di mese in mese alla discrezione di Gigi, che stabilisce premi e distribuisce gli straordinari. Inoltre, il cosiddetto “gender gap”, la penalizzazione in termini di retribuzione che affligge le donne (e che in Italia è di circa il 18-20%) aumenta;
(2) non appena la domanda per l’azienda “tira” un po’ meno, Gigi convoca Mimmo e Ciccio e con grande rincrescimento comunica loro che non ci saranno più premi di produttività, almeno per un periodo. E’ necessario che tutti facciano sacrifici.

In ultima analisi, e mi chiedo come possa non essere chiaro, questa proposta ha l’effetto di indebolire ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori, oltre ad introdurre differenze di trattamento che vanno nella direzione di sfavorire proprio quei lavoratori (donne, over-50, ecc.) la cui partecipazione al mercato del lavoro è invece cruciale per avvicinare l’Italia agli altri paesi europei. Ripeto: gli italiani che lavorano non lavorano poco, ma sono pochi italiani a lavorare.
C’è un’unica argomentazione che in teoria potrebbe giustificare la detassazione degli straordinari e dei premi: l’aumento di produttività. In altri termini, il maggior valore degli straordinari e dei premi di produttività dovrebbe incentivare i lavoratori a competere tra di loro per accaparrarseli; di questa competizione beneficerebbero le imprese e quindi la competitività del paese. Ora, la relazione tra lavoro straordinario e produttività non è del tutto chiara, anche perché la relazione causale è incerta: la maggiore produttività delle imprese dove si fanno straordinari potrebbe essere causata dalla maggiore domanda che genera la necessità di lavoro straordinario, piuttosto che dal ricorso agli straordinari di per sé. Inoltre, gli italiani che lavorano non lavorano poco, ma spesso lavorano male.
Il giuslavorista e neo-deputato PD Pietro Ichino è diventato famoso per aver (finalmente) osato attaccare i cosiddetti “fannulloni” nella pubblica amministrazione. Ma è pieno di persone che lavorano duramente e nonostante questo sono sopraffatti da difficoltà di ogni tipo: autorizzazioni, dichiarazioni, regolamenti, marche da bollo, impossibilità pratica di giungere ad una soluzione legale delle controversie, intromissioni politiche, zelo burocratico eccessivo (che può essere ben peggio della mancanza di zelo), ecc. Contro tutto ciò, ben poco Stakanov può.

(1) In questo senso mi riferivo alla possibilità dell’impresa di “appropriarsi” di una parte del risparmio fiscale, ovvero in fase di negoziazione o ri-negoziazione contrattuale.

CONTRIBUENTI FRA TRASPARENZA E PRIVACY

L’Agenzia delle Entrate assume come elemento centrale la scelta del legislatore di conoscibilità degli elenchi nominativi dei contribuenti da parte di chiunque, ossia da parte di soggetti indeterminati. Viceversa il Garante assegna un ruolo determinante ad altri passaggi e ne trae un limite tassativo alle modalità della pubblicazione. Ma entrambe le letture si fondano sulla norma. Non si configura quindi né un problema di legittimità né un illecito. Il vero nodo giuridico e politico è quale trasparenza in materia fiscale si voglia oggi garantire nel nostro ordinamento.

CONTRO LA DETASSAZIONE DEGLI STRAORDINARI

Nonostante sembri mettere tutti d’accordo, il provvedimento ha evidenti conseguenze negative. Svantaggia i lavoratori più deboli che fanno comunque meno straordinari e che avranno più difficoltà a trovare un lavoro. A guadagnarci saranno soprattutto le imprese, che riusciranno per questa via a ottenere un abbassamento del costo del lavoro e una maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera. Se si vuole rendere più competitivo il nostro paese intervenendo sul costo del lavoro, si può farlo in modi diversi e più efficaci. Per esempio, abbassando le tasse sul lavoro.

ANCORA LUNGA LA MARCIA DEL FEDERALISMO FISCALE

Nonostante la vittoria della Lega, il percorso del federalismo fiscale è ancora in salita. Le due questioni fondamentali dei rapporti Nord-Sud e Regioni-enti locali sono lontane da soluzioni condivise e minacciano di creare spaccature all’interno di maggioranza e opposizione. Non basta il generico invito all’accordo bipartisan. Occorre individuare una ricomposizione di forze che sfrutti le componenti federaliste delle due parti, pur rispettando il vincolo di non creare pericoli al governo. Non è un risultato facile da raggiungere e richiede fantasia, anche sul piano procedurale.

UN BONUS CHE PESA SULL’AMBIENTE

Scaduto il bonus fiscale sulla benzina deciso dal governo Prodi, sono già forti le pressioni perché il nuovo esecutivo rinnovi il provvedimento, anzi lo rafforzi. Ma l’accisa sui carburanti va considerata sotto il profilo della correzione dell’impatto ambientale. Se proprio si deve intervenire, meglio dunque prevederne una riduzione virtuale e utilizzare la somma ricavata per favorire il risparmio energetico o per incentivare le energie rinnovabili. Si eviterebbe di inviare ai cittadini il segnale sbagliato che la tassazione delle fonti fossili di energia si può ridurre.

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