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LO PSICODRAMMA DELLE IMPOSTE COMUNALI

Il decreto sul federalismo municipale ha rischiato di mettere fine alla legislatura ed è ora al centro di una forte tensione istituzionale. Ma rappresenta davvero il passaggio cruciale per la costruzione del federalismo nel nostro paese? Il provvedimento è tutto sommato assai modesto. Manca comunque una regolamentazione adeguata del sistema perequativo dei comuni. Mentre l’ossessione per il vincolo di invarianza della pressione fiscale rischia di snaturare il federalismo, il cui principale obiettivo è rendere i sindaci responsabili davanti ai propri cittadini.

IMPOSTA PATRIMONIALE, UNA BUONA INTENZIONE CHE FA DANNI

Il ripristino dell’Invim appare tecnicamente impraticabile nell’immediato. Perché è impensabile un aggiornamento generalizzato del catasto. E il solo parlarne spaventa i risparmiatori, spingendoli a investire meno o all’estero. Occorre invece attuare la lotta all’evasione, la privatizzazione del patrimonio pubblico, l’inasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie. Se poi il governo avesse il coraggio di rimediare ai propri errori, potrebbe varare il ripristino dell’Ici sulla prima casa.

TORNIAMO A CHIEDERE: QUANTO COSTA L’ESENZIONE DEGLI ENTI RELIGIOSI?

Giovedì dovrebbe essere il click day del federalismo. La bicamerale voterà il decreto proposto dal Ministro Calderoli. Questo decreto prevede l’esenzione dall’Imu degli enti ecclesiastici e delle Onlus. I cittadini italiani hanno diritto di sapere quanto costa questa esenzione. Abbiamo posto la domanda al ministro dell’Economia senza ricevere risposta. Ci ha invece risposto Luca Antonini, presidente della commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, dalle colonne di Panorama (!) chiedendo a noi di formulare una stima. Lieti di farlo se ci offre l’accesso ai dati di cui dispone. Ci basterebbero che ci dicesse a quanto ammonta il valore catastale degli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive,culturali, ricreative e sportive o per uso culturale". In altre parole a quanto ammonta la base imponibile sottratta al fisco. Singolare che nessuno dai banchi dell’opposizione si ponga il problema di chiedere questi dati. Su che base potranno esprimersi giovedi? O bisogna garantire queste esenzioni "a tutti i costi"? Torniamo a chiedere: Quanto costa l’esenzione degli enti ecclesiastici?

PATRIMONIALE: DI COSA STIAMO PARLANDO?

Tutti parlano di patrimoniale ma, a ben guardare,  intendono cose molto diverse tra di loro. Bene, dunque, mettere qualche puntino sulle i.
Con il termine  imposta patrimoniale o anche solo “patrimoniale” si intende un’imposta che non grava su di un flusso che si verifica in un dato periodo di tempo (per esempio, l’Irpef tassa il reddito percepito ogni anno), bensì su di uno stock di ricchezza accumulato anche nell’arco di intere generazioni.
L’imposta patrimoniale può essere reale o soggettiva, ordinaria o straordinaria.
È reale quando colpisce una singola componente della ricchezza di un soggetto (ad esempio le sue proprietà immobiliari,  le abitazioni di cui è proprietario),  mentre è soggettiva quando colpisce la sua ricchezza complessiva,  il suo patrimonio mobiliare e immobiliare. Una tassa reale sul patrimonio può andare a colpire sia la ricchezza mobiliare (attività finanziarie, autoveicoli, ecc.) sia quella immobiliare (terreni, costruzioni ecc.).
Bene anche distinguere tra patrimoniale ordinaria e straordinaria. La prima viene pagata con cadenza annuale, solitamente con un tasso relativamente basso (raramente superiore all’1 per cento). La patrimoniale è straordinaria quando costituisce un prelievo occasionale deciso in condizioni di emergenza,  quasi sempre di tasso elevato.

L’ESPERIENZA ITALIANA

In Italia, a differenza di altri paesi, non esiste un’imposta soggettiva (generale) sul patrimonio.  Abbiamo invece alcune imposte reali (speciali),  cioè su singoli cespiti patrimoniali.  Si tratta ad esempio dell’Imposta comunale sugli immobili (Ici), tassa di naturale pertinenza dei Comuni.  Questa fu introdotta nel 1993 come imposta straordinaria (Imposta straordinaria sugli immobili,  Isi), per divenire solo in seguito ordinaria. Nel 2008 il Governo Prodi ha ridotto l’Ici sulla prima casa tramite una detrazione del valore massimo di 200 euro, ma in seguito questa norma è stata abrogata in favore della completa abolizione dell’Ici sulla prima casa voluta dal quarto Governo Berlusconi.
Prima dell’Ici era in vigore l’Invim (Incremento valore immobili),  un’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili che veniva pagata al momento della vendita. L’Invim è sopravvissuta fino al 2002 per la parte di plusvalenze maturate prima dell’introduzione dell’Ici.
Un’altra patrimoniale è l’imposta di successione,  abolita nel 2001 dal Governo Berlusconi e reintrodotta nel 2007 dal Governo Prodi.  Oggi l’aliquota è tra il 4 e l’8 per cento a seconda dei casi, con franchigie di 1 milione di euro per parenti in linea retta e di 100 mila euro per fratelli e sorelle.  Un altro esempio di imposta sul patrimonio è data dall’imposta sul trasferimento di immobili: l’aliquota in questo caso varia tra il 4 e il 20 per cento nel caso di immobili venduti entro i quattro anni dalla costruzione. In entrambi i casi si è soggetti al pagamento di  imposte di registro,  ipotecarie, catastali (intorno  all’1-3 per cento).
Importante distinguere una patrimoniale da una tassa sulle rendite finanziarie. Queste ultime sono oggi tassate in Italia con varie aliquote. Su depositi e conti correnti bancari e postali e su obbligazioni private con scadenza inferiore a 18 mesi vi è un’imposta sostitutiva dell’Irpef,  prelevata alla fonte con aliquota del 27 per cento. Sugli interessi sui titoli del debito pubblico,  sui buoni postali e sulle obbligazioni con scadenza superiore a 18 mesi, l’aliquota è invece del 12,5 per cento. La stessa aliquota viene applicata anche ai dividendi e a tutte le plusvalenze, purché, nel caso di dividendi e plusvalenze azionarie, l’azionista non detenga partecipazioni qualificate.In Italia le imposte sul patrimonio sono inferiori a quelle dei maggiori paesi occidentali (con l’eccezione della Germania) come si può vedere dalla tabella qui sotto. I dati sul nostro paese sono relativi al 2007, anno in cui l’Ici non era ancora stata abolita,  per cui risultano sovrastimati.

Paese Imposta sul patrimonio
in % sul Pil
Canada 3.3
Francia 3.5
Germania 0.9
Italia 2.1
Regno Unito 4.5
Stati Uniti 3.1

(Source: IMF 2010)

A cura di Guido Zichichi

LA FORBICE DELLE REGIONI

 

QUANTO SOTTRAGGONO AL FISCO LE ESENZIONI PER GLI ENTI ECCLESIASTICI?

La seconda versione del decreto sul fisco municipale del governo reintroduce anche per l’Imu le esenzioni relative alla lettera c e i dell’articolo 7, comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 che riguardavano l’Ici. Per gli ignari, si tratta delle esenzioni che si riferiscono agli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive,culturali, ricreative e sportive o per uso culturale".
Nei fatti, sono per la maggior parte strutture religiose, prevalentemente di proprietà di enti ecclesiastici. La condizione ulteriore per il riconoscimento dell’esenzione è che questi immobili non siano destinati, esclusivamente, ad attività di tipo commerciale. La distinzione tra destinazione commerciale e non commerciale è già di per sé sottile: è in pratica difficile distinguere tra un ristorante e una mensa religiosa, tra una struttura recettiva e un albergo. Lo diventa ancora di più quando è sufficiente che la destinazione commerciale sia non esclusiva. L’esenzione rischia però che si introduca una discriminazione fiscale non giustificabile tra imprese che in realtà producono gli stessi servizi per il mercato. Proprio per questo, e per la terza volta, la Commissione europea ha aperto un procedimento nei confronti dell’Italia.
È curioso dunque che il governo ci abbia ripensato, e dopo averle prima escluse, probabilmente alla luce delle considerazioni della commissione europea e della Corte di giustizia, abbia poi deciso di reintrodurle, senza che ci sia stata la benché minima spiegazione o discussione sul tema. Ma c’è un’altra questione rilevante. Visto che la riforma è a costo zero, ogni euro di gettito mancato dovrà essere trovato da qualche altra parte ed è dunque importante sapere quanto le esenzioni costano al contribuente. Luca Antonini, il presidente della Commissione tecnica sull’attuazione del federalismo fiscale, in un’intervista sul Sole 24Ore del 23 gennaio, parlava di circa 70-80 milioni di euro, con riferimento a un imponibile esente di 11 miliardi. Ma queste stime non sono credibili.
Primo, perché 80 milioni di gettito (perduto) su 11 miliardi (di imponibile) fanno circa lo 0,07 per cento, cioè l’aliquota massima attuale dell’aliquota Ici. Ma l’aliquota Imu, siccome dovrebbe coprire almeno i 2-3 miliardi di imposte erariali sugli immobili abolite, sarà sicuramente più elevata, tra lo 0,75 e l’1 per cento, a seconda che le varie detrazioni previste nel decreto vengano confermate o meno. Secondo, lo stesso dato sull’imponibile è poco credibile. Il valore patrimoniale catastale complessivo delle seconde case e degli immobili destinati a attività commerciali si può valutare attorno ai 1.600-1.800 miliardi di euro, e a fronte di questo, 11 miliardi per tutte le attività prima ricordate (di poco superiore allo 0,5 per cento del patrimonio complessivo), sembra un numero troppo basso. A riprova, si ricordi che nel 2005, quando per la prima volta si parlò di estendere l’esenzione Ici alle attività commerciali ecclesiastiche, l’Anci aveva stimato una perdita per i comuni di circa 300 milioni di euro all’anno per i soli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici, senza considerare dunque le proprietà di altre confessioni religiose e delle Onlus. La perdita di gettito Imu, data l’aliquota più elevata, dovrebbe essere un multiplo di questa cifra. Di qui la domanda al ministero dell’Economia:

Quant’è esattamente la perdita di gettito Imu prevista per la reintroduzione delle esenzioni per gli immobili religiosi?"

ANCHE I CAMPIONI VANNO IN PARADISO. FISCALE

Perché i calciatori, specialmente quelli bravi, scelgono la squadra di un paese invece che di un altro? Perché guardano il regime di tassazione in vigore e optano per quello più conveniente. Così quando la Spagna ha introdotto la legge Beckham nel 2004, la quota di calciatori stranieri nel campionato spagnolo ha iniziato a divergere immediatamente e in modo sostanziale dalla quota di calciatori stranieri presenti nel nostro. Più in generale, la tassazione ha un chiaro effetto sulla migrazione internazionale e un effetto di selezione del lavoro altamente qualificato.

SE PER PRENDERE L’EVASORE CI VUOLE FALCIANI…

La “lista Falciani”, e cioè l’elenco dei correntisti della filiale di Ginevra della Hsbc sottratto dall’ex dipendente dellaholding Hervé Falciani e poi consegnato alle autorità francesi, contiene il nome di 5.595 persone fisiche e 133 persone giuridiche residenti in Italia che hanno depositato in Svizzera circa 5 miliardi e mezzo di euro al 31/12/2006, in buona parte, si presume, sottraendoli al fisco. Sono già 700 i soggetti indagati dalla sola procura di Roma.
E’ una vicenda molto triste per almeno tre ragioni.
–  Le somme, presumibilmente nascoste al fisco, viaggiano, per ciascun correntista, sui 10-20 milioni di euro. Non siamo certo di fronte a quegli evasori verso cui talvolta, pur non giustificandoli, si prova comprensione: il piccolo artigiano colpito dalla crisi, il piccolo imprenditore strozzato dalla concorrenza asiatica o dell’est europeo. Si tratta invece di stilisti, attori, sportivi, gioiellieri e ogni sorta di vip. Persone che guadagnano ogni anno centinaia e centinaia di volte di più del lavoratore dipendente o autonomo medio. Si sottraggono al dovere di dare il loro contributo al funzionamento della cosa pubblica  (giustizia, sanità ,istruzione, difesa, servizi sociali…) per massimizzare entrate che li pongono già al top della distribuzione dei redditi.
–  I correntisti che risulteranno evasori verranno scoperti solo perchè c’è stata una “spia”. Gli strumenti di accertamento normali non sono stati in grado di scovarli ex post, né di dissuaderli dall’evasione, agendo come minaccia preventiva. Neppure l’inasprimento dei controlli sui capitali detenuti illegalmente all’estero promesso al momento dello scudo è stato considerato credibile, se è vero che, come sembra dalle informazioni riportate sui giornali, la maggioranza dei correntisti sino ad ora indagati non si è premurata di avvalersene.
–  Ma lo scudo ha permesso almeno ad un terzo di loro di regolarizzare la propria posizione. Non sono più perseguibili, si offenderanno se li chiameremo evasori. Ma lo sono. Ricordiamo ancora una volta: per “scudare” 100 euro, su cui non potranno più essere fatti accertamenti, l’evasore ne ha dovuti pagare 5. Ma su quei cento euro non aveva pagata l’Irpef per 40-50 euro. Un bell’affare, non c’è che dire.

LA RETORICA DEL 5 PER MILLE

Il 5 per mille mostra sempre più la corda. Non solo è costantemente a rischio di sopravvivenza. Ma si sta rivelando anche uno strumento inadatto a sostenere il volontariato e gli enti non profit. Comporta costi rilevanti di pubblicità per i privati e di gestione per l’amministrazione pubblica. Finisce col finanziare a pioggia, e con importi modesti, enti con le finalità più disparate. La sua efficacia andrebbe confrontata con quella delle agevolazioni fiscali previste per le stesse finalità. Enti locali e finanziamenti virtuosi al terzo settore.

Un civil servant al ministero dell’economia

Tommaso Padoa-Schioppa è stato ministro dell’Economia e delle finanze solo per un biennio, vivendo la breve parabola del secondo Governo Prodi. Egli lascia però un’eredità politica ed etica di grande spessore. Il titolo del suo ultimo libro, “La veduta corta”, riassume bene la sua diagnosi sui mali del paese. Da circa 12 anni l’Italia cresce poco e comunque molto meno dei paesi occidentali con cui ci si confronta.

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