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Quanto costa la competitività

E’ un luogo comune che le risorse per il rilancio della competitività siano limitate. Perché la competitività si crea attraverso il mercato, con un insieme combinato di riforme strutturali a costo quasi zero. Vale anche per l’Italia, che deve passare a un modello di sviluppo basato sull’innovazione. Punto di partenza è promuovere la concorrenza in tutti i settori e costruire un contesto economico che agevoli cambiamento. Invece di insistere sul sostegno generalizzato alla domanda, sarebbe più utile impiegare le risorse per far fronte ai costi sociali di breve periodo.

E’ ora di cambiare il bilancio

Il bilancio dell’Unione europea non riflette più le priorità e i compiti da affrontare. Gli aiuti all’agricoltura impegnano ancora il 40 per cento delle risorse, mentre appaiono drammaticamente insufficienti le spese per la ricerca, la difesa e la sicurezza interna ed esterna. Rescindere i legami diretti tra i bilanci nazionali e il bilancio dell’Unione, rendere il costo dell’Unione immediatamente visibile ai cittadini e rivedere le procedure decisionali implica una revisione del Trattato costituzionale. Ma dal Parlamento europeo potrebbe arrivare subito un segnale di cambiamento.

L’Europa tra copyright e copyleft

La Commissione Europea e i ministri europei reponsabili della Competitività hanno varato una controversa direttiva sulla brevettabilità di “computer-implemented inventions”. Lungi da poter essere considerato concluso, il dibattito dovrebbe ora investire l’intero sistema di tutela della proprietà intellettuale. Se si vuole incoraggiare l’attività innovativa e favorire la circolazione dei suoi risultati, le strategie copyleft sembrano le più adatte a promuovere la ricerca di base. E potrebbero innescare meccanismi per il recupero di competitività e di rilancio verso l’economia basata sulla conoscenza, perno della strategia di Lisbona.

Settore bancario, la miglior difesa è l’attacco

Il mercato europeo del corporate e investment banking non è impenetrabile. Il successo di attori regionali europei fa ritenere che vi sia ancora spazio per operatori italiani che sappiano cogliere la sfida. I costi legati alla fusione di grandi gruppi, per esempio l’emergere di posizioni dominanti in alcune regioni, sarebbero di gran lunga compensati dai benefici che ne conseguirebbero per l’intera economia. Una specializzazione nelle attività all’ingrosso potrebbe anche favorire il processo di crescita dimensionale delle medie imprese italiane.

Le banche estere sono cattive?

Il dibattito degli ultimi mesi sembra dare per scontato che la presenza di banche straniere sia dannosa per il nostro sistema economico. Mentre l’esperienza mostra che è vero il contrario. Nel paese di destinazione dell’investimento estero si ha una crescita dell’efficienza complessiva del sistema bancario, con effetti positivi sull’intera economia. Se invece si crede che il sistema bancario italiano non sia ancora pronto per fronteggiare la concorrenza delle grandi istituti europei si apre un’altra questione: perché considerare terminata la sua ristrutturazione?

La prevalenza del Trattato

Il Patto di Stabilità non esaurisce la disciplina europea delle finanze pubbliche. Al di sopra si pongono le disposizioni del Trattato, in particolare l’articolo 104 che istituisce una procedura per i disavanzi eccessivi. Le regole del Trattato e quelle del Patto si ispirano però a principi divergenti: di flessibilità e discrezionalità, le prime; di rigidità e automatismo, le seconde. Improponibile una revisione del Trattato, non è senza difficoltà una modifica del Patto. Probabile, dunque, una soluzione intermedia

Ritorniamo a Maastricht

Non c’è bisogno di un’ulteriore revisione del Trattato: è sufficiente sfruttare gli spazi di manovra offerti dalle regole esistenti. La Costituzione europea fissa i principi: non consente che i disavanzi aumentino o restino inalterati, ma lascia ampi margini di discrezionalità ai governi e al Consiglio. Alla Commissione spetta il compito di verificare il rispetto dei principi, alla luce degli standard applicativi. E perché la disciplina europea risulti effettiva, sono cruciali l’accuratezza e la omogeneità dei dati sui risultati conseguiti dai governi.

All’Europa serve disciplina. Di bilancio

Nessuno in Europa pensa di abbandonare i presidi collettivi della stabilità finanziaria. I miglioramenti di cui si discute, si potrebbero ottenere con l’adozione di un Codice di condotta comune per le disciplina di bilancio, centrato sugli obiettivi sostanziali invece che sui numeri. Nessuno spazio per speciali esenzioni per singole categorie di spesa, ma via libera alle riforme necessarie per assicurare la sostenibilità del debito nel medio termine. E adeguata considerazione per i criteri di qualità della spesa pubblica in funzione degli obiettivi di crescita.

Meno sicurezza, siamo inglesi

I cambiamenti nei sistemi previdenziali comportano importanti mutamenti nelle scelte di risparmio e offerta di lavoro, soprattutto dei ceti medi. Probabilmente, si dovrà lavorare più a lungo e risparmiare di più. In Gran Bretagna, per esempio, i lavoratori giovani sembrano apprezzare sempre di più i piani pensionistici individuali a contribuzione definita. Di contro, un’indagine europea su diversi aspetti della vita degli ultracinquantenni può aiutare a capire quali sono le condizioni che favoriscono una terza età attiva e quanta capacità lavorativa resta oggi inutilizzata. Il declino dei mercati assicurativi di tipo previdenziale, essenziali per il funzionamento dei fondi pensione, si può fermare con l’introduzione di titoli indicizzati alla longevità. Qualcuno ha suggerito che siano le imprese farmaceutiche a emettere questi titoli, perché i loro profitti salgono quando gli individui invecchiano e fanno un ricorso maggiore ai medicinali.

La Francia verso una nuova disciplina del licenziamento

In tutta Europa si fa molta retorica sui regimi di protezione del lavoro, ma la questione della loro organizzazione è poco discussa. La necessità di incentivare il disoccupato a cercare una nuova attività, la possibilità di rinegoziare le retribuzioni ex post, i vincoli di liquidità sull’impresa, modificano il tasso contributivo di equilibrio e il livello ottimale di protezione dell’impiego, ma non la validità del principio generale secondo cui l’impresa deve internalizzare i costi sociali della disoccupazione. Così, il costo complessivo del licenziamento per l’azienda dovrebbe sostituire il controllo giudiziale o amministrativo.

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