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Quante ambiguità sulla Turchia

Partono i negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea. Se guardiamo alle condizioni da soddisfare per l’avvio delle trattative, una analisi oggettiva sui criteri politico ed economico rivela differenze evidenti tra la Turchia di oggi e i paesi dell’Europa centro-orientale nel 1998. E infatti la Commissione ha introdotto formule che potrebbero rimandare o limitare l’adesione piena del paese alla Ue. Ma sono ambiguità che sarebbe corretto chiarire subito, per consentire ai cittadini europei e turchi un sereno giudizio sulla questione.

La via dell’autoriforma è obbligatoria?

I vincoli comunitari tutelano l’autonomia e l’indipendenza delle Banche Centrali degli stati membri, ma non impongono la strada dell’autoriforma. Un parere della BCE del 2004 contiene importanti indicazioni sul mandato a termine, il periodo transitorio e sulle regole di trasparenza e accountability.

Lo stato dei tassi in Europa

Secondo molti l’eccesso di rigore della BCE è una delle cause della stagnazione di Eurolandia. In realtà, la BCE ha peccato in questi anni del difetto opposto. La stagnazione europea ha cause di lungo periodo, legate all’andamento della produttività. Proprio il rallentamento recente della produttività deve mettere in guardia da pericolose tentazioni al ribasso dei tassi di interesse.

Italia-Germania nella partita della competitività

Dal 2000 a oggi l’Italia ha perso nei confronti della Germania circa il 15 per cento della propria competitività, calcolata come costo del lavoro per unità di prodotto. La spiegazione è solo in parte nella diversa specializzazione dei due paesi. L’incremento della produttività è stato più alto in Germania, mentre i salari nominali tedeschi sono cresciuti meno di quelli italiani. Perché da noi è stata più alta l’inflazione. Eppure, nei prezzi alla produzione la differenza è minima. E dunque il problema è nei margini di profitto della distribuzione e nei prezzi dei servizi.

La direttiva che non svela segreti

Dal 1° luglio le banche e gli altri intermediari finanziari che operano in Italia e in ventuno altri paesi dell’Unione hanno l’obbligo di comunicare periodicamente all’Agenzia delle entrate il pagamento di interessi a favore di persone fisiche residenti in altri Stati membri Ue. Lo impone la direttiva sul risparmio. L’onere di adeguamento delle procedure è pesante. E in cambio ne ricaveremo solo un passaggio di informazioni inutili fra Stati. L’evasione fiscale infatti non ne soffrirà minimamente, perché i “paradisi fiscali” possono continuare a essere tali.

La battaglia sul bilancio

L’80 per cento del bilancio europeo è destinato all’agricoltura e alle regioni più povere. E’ una struttura di spesa costosa e di dubbia efficacia. Ora, dopo l’allargamento, sarà la causa di pericolosi conflitti per accaparrarsi le risorse. Servirebbe invece un ripensamento radicale su Pac e fondi strutturali. L’Unione dovrebbe allocare i fondi sulla base di una valutazione economica e sociale dei progetti. Potrebbe così diventare una potenza impegnata nella lotta alla povertà nel mondo. E ridare ai suoi cittadini il giusto entusiasmo per l’ideale europeo.

Non date la colpa agli immigrati dell’Est

Un alto tasso di disoccupazione (in Francia) e il timore di “welfare shopping” (in Olanda) hanno probabilmente contribuito alla vittoria del “no” nei referendum sulla Costituzione europea. Ma chiudere le frontiere o l’accesso all’assistenza sociale per i lavoratori dei nuovi Stati membri avrebbe solo effetti negativi. Si bloccherebbe infatti quel tipo di immigrazione che è più facile assimilare: legale e all’interno della Ue di persone mediamente o altamente qualificate. Le nostre stime indicano che frontiere aperte ai lavoratori dei Nuovi Stati Membri offrirebbero in dote all’Europa a 25 una crescita del Pil di mezzo punto percentuale. L’Europa non può rinunciarvi.

L’euro non cambia il conto

E’ vero che i ristoranti hanno approfittato del cambio lira-euro per alzare notevolmente i prezzi? Uno studio sui locali di qualità nel periodo 1998-2004 mostra che i rincari sono stati piuttosto elevati in quasi tutti gli anni considerati, in parte per la crescita della domanda e dei costi. Quelli del 2002 non appaiono eccezionali rispetto alla tendenza di medio periodo. La maggior parte della crescita media del prezzo in quell’anno può essere attribuita al gran numero di revisioni, piuttosto che alla loro entità. E molta influenza ha avuto il grado di concorrenza sul mercato locale.

Miti e realtà sulla delocalizzazione in Francia

Uno studio dell’Insee riflette sul presunto problema delle delocalizzazioni industriali. Nonostante molti siano convinti che il fenomeno abbia ormai assunto dimensioni notevoli, si stima che nel periodo 1995-2001, in Francia i posti di lavoro delocalizzati siano stati in media a 13.500 l’anno. Una cifra tutto sommato esigua. E per meno della metà destinata ai paesi emergenti. In una logica di ristrutturazioni e joint-venture, non tocca le piccole aziende, ma coinvolge i grandi gruppi industriali e le medie imprese. A subirne le conseguenze sono i lavoratori non specializzati.

L’Europa degli italiani

Un nostro sondaggio conferma che i giovani italiani continuano a essere filo-europei e voterebbero a favore del Trattato costituzionale europeo perché hanno poca fiducia nel sistema politico e nelle istituzioni nazionali. L’Europa piace perché ci protegge dai nostri stessi errori. La maggioranza degli intervistati ritiene però che l’euro abbia danneggiato l’economia italiana. Da questi dati si possono trarre alcune indicazioni sull’atteggiamento che il Governo dovrebbe tenere al Consiglio europeo e nel negoziato con Bruxelles sul riequilibrio dei conti pubblici. E ci sarebbe materia di riflessione anche per la Bce.

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