Ho preferito porre dapprima il tema a livello mondiale ed europeo, dove si parla della possibile uscita dal nucleare; solo sapendo se si tratta di unindustria in via di rapida estinzione, o di un bilanciamento del mix delle fonti che sarà indispensabile ancora per molto, si può discutere seriamente della scelta di entrare o non entrare da parte dellItalia.
Qualcuno dice che se le centrali ci sono nel mondo, non è questo un buon motivo per mettercene una vicino a casa. Capisco, ma se il rischio è veramente eccessivo mi rifiuto di avallare uneventuale scelta nazionale di promuovere un investimento che presenti quel rischio, che sia destinato al consumo italiano, purché sia in un altro paese (Albania, nel caso).
È giusto considerare le condizioni particolari del nostro Paese: geologiche, geografiche e anche organizzative, una difficoltà in più da mettere nel conto. Ma se dovessi dare per scontato che lItalia non sa gestire neanche il ciclo dei rifiuti dovrei concludere per la chiusura del ciclo dellindipendenza al 150esimo compleanno e invocare un protettorato. No, i rifiuti di Napoli sono una malattia gravissima ma curabile come lesercito clandestino basco, i 25 suicidi in France Telecom, i 12 mesi del Belgio senza governo, i disastri ambientali mal gestiti in Florida e in Alaska. La pausa nucleare di un anno dovrebbe essere impiegata anche per dare una svolta alla lotta contro la criminalità, a dimostrazione della capacità del Paese di gestire i rischi. E almeno su questo dovremmo essere tutti daccordo.
Laffermazione che il nucleare è costoso e quindi non conveniente è vera o falsa a seconda del prezzo futuro del gas che si prende a confronto; ma la convenienza è più probabile, semplicemente come fattore di riduzione del rischio economico, in un sistema come quello elettrico italiano che dipende dagli idrocarburi per i due terzi. La prima questione allora è come ridurre in altro modo la dipendenza, ovvero a quale velocità possiamo prevedere e programmare (non sognare) lo sviluppo delle rinnovabili e la riduzione dei consumi. Il ragionamento va fatto sui numeri, non in queste poche righe di replica ma va fatto.
Corretto anche notare che il costo sarebbe più alto in un paese lento nelle autorizzazioni e ad oggi privo dellapparato di controllo. La seconda questione è quindi come poter far conto su di un mix delle fonti equilibrato in Europa anche se non in Italia, cioè come portare a compimento il mercato europeo che fornirebbe implicita ma certa solidarietà in caso di crisi.
Queste due ultime questioni sono anche, a mio avviso, i principali obiettivi della politica energetica italiana. Concordo anche con linvito a investire di più nelle reti.
Che poi unattività industriale sia un business non è una scoperta. Un business è più o meno accettabile a seconda del quadro di norme e controlli, di concorrenza e bilanciamenti di potere: ma qualcuno ha da offrire alternative alleconomia di mercato?
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Perché abbiamo paura di volare quando statisticamente gli incidenti aerei sono di gran lunga meno di quelli stradali? Perché il nucleare ci fa paura quando le perdite umane associate all’intero ciclo del carbone sono assai superiori? Vi è una significativa differenza tra probabilità oggettiva d’incidente e probabilità soggettiva. E ciò ha importanti riflessi sulla decisione di rientrare nel nucleare. Curiosamente, però, dopo Fukushima il dibattito riguarda più i motivi per non uscire dal nucleare laddove già c’è e molto meno i motivi per entrarvi dove, come in Italia, non c’è.
L’uscita immediata dal nucleare è una decisione di tale importanza da non doversi adottare né sulla spinta dell’emozione della tragedia giapponese né sotto la pressione degli interessi. Necessari una revisione generale degli impianti in funzione e un rafforzamento degli standard di sicurezza, in una strategia di prevenzione rafforzata simile a quella adottata contro il terrorismo. Altrimenti rischiamo comportamenti assurdamente divergenti. L’esito sarebbe insufficiente a scongiurare il rischio nucleare, ma sufficiente a far crescere di molto il rischio clima.
Il decreto legislativo sulle energie rinnovabili ha avuto un iter caratterizzato da conflitti e polemiche tra gli operatori del settore e il legislatore. Oggetto di scontro sono state le parti riguardanti gli incentivi alle rinnovabili, elemento di crescita dello scontro la norma sul fotovoltaico, introdotta in una seconda versione del decreto. Una storia che si ripete e destinata a continuare nei prossimi mesi se il Governo non farà chiarezza.
La strategia dell’Unione Europea in campo energetico punta a limitare la dipendenza dall’estero insistendo sull’incremento dell’efficienza, sulle rinnovabili e su una più decisa integrazione delle reti, per gestire al meglio le varie fonti di energia e promuovere una riduzione dei costi. Il nostro paese si è spesso mostrato tiepido verso questa politica. Perché si continuano ad analizzare i problemi con un’ottica italo-centrica e non europea. E perché di fronte a emergenze immediate si prospettano soluzioni buone tra dieci o venti anni, come il nucleare.
Il prezzo del petrolio ha raggiunto ieri a Londra il valore più alto da settembre 2008. La fibrillazione dei mercati energetici, e di conseguenza dei metalli preziosi e delle materie prime, nasce dai disordini e dalle rivolte popolari che dalle coste del Mediterraneo si vanno allargando al Medio Oriente e al Golfo Persico. Ma sono soprattutto i recenti sviluppi libici a fare scorrere brividi gelidi lungo la schiena dei governanti dei paesi occidentali, dei dirigenti di molte loro imprese e degli operatori, finanziari e non, dei mercati energetici. Vale in particolare per l’Italia.
Quando si sono verificati i disordini che hanno portato al rovesciamento del regime tunisino, molti paesi del Mediterraneo, e con essi i mercati, si sono subito preoccupati delle conseguenze sulle forniture di petrolio e gas che alimentano l’Europa. Anche perché vi è il timore del contagio. Ma non tutti quegli stati sono sullo stesso piano dal punto di vista degli occidentali. Paese per paese, ecco una mappa della produzione di idrocarburi e i rischi legati alle condizioni socio-economiche delle popolazioni.
Nella grande maggioranza dei commenti la soluzione al problema del debito pubblico è vista dal lato della spesa . Enti e uffici in eccesso, otto nuove province, una casta rapace, ecc. , queste sono le cose da colpire prima di aumentare in qualsiasi modo la tassazione. Qualcuno si fa inoltre portavoce della nota teoria secondo cui la spesa si espande fin che trova finanziamento, sicché una nuova entrata darebbe comunque un sollievo di breve periodo. Tutte tesi rispettabili, ma fuori tema.
In sede di analisi occorre infatti accettare la premessa di Pellegrino Capaldo, magari con la formula ammesso e non concesso, e chiedersi se lo strumento proposto sia appropriato, alla luce degli usuali criteri di efficienza ed equità, per diminuire di colpo e significativamente il debito pubblico. Solo un commento è favorevole alla tesi di Capaldo . Secondo il mio giudizio, invece, unimposta straordinaria e pesante sulle plusvalenze immobiliari stimate sul catasto attuale solleva problemi di equità non lievi rispetto ai detentori di capitale finanziario e insuperabili allinterno dello stesso comparto immobiliare ; e daltra parte non è pensabile un rapido ed affidabile aggiornamento dei valori catastali. Alcuni commentatori hanno aderito alla mia tesi, e hanno proposto in alternativa limposta di solidarietà sui grandi patrimoni esistente in Francia. E unipotesi da studiare seriamente, ma consapevoli che andrebbe ad arricchire lo strumentario ordinario di prelievo, non già a sostituire limposta straordinaria suggerita da Capaldo. Sullo stesso piano , del resto, si pongono le diffuse proposte, fatte proprie anche da me e condivise da alcuni commentatori, di inasprire la tassazione delle rendite finanziarie, di rafforzare la lotta allevasione e di riparare al misfatto dellabolizione dellIci sulla prima casa reintroducendola ( proposta questultima che ha sollevato unaspra reazione negativa secondo ragionamenti già noti ma non condivisibili sulla sua iniquità, visto che la casa è frutto di risparmi sopravissuti alla tassazione e comporta costi di manutenzione ).
Non ci sono stati commenti sulla ipotesi di una diversa imposizione straordinaria, con base imponibile tutta da studiare, analoga allimposta transitoria introdotta dal primo Governo Prodi . Segno che è difficile negarne in astratto lutilità ma anche difficile dare concretezza allipotesi. E allora continuiamo a pensarci.
La Corte costituzionale ha accolto due dei quattro referendum contro la cosiddetta privatizzazione dell’acqua. Una eventuale abrogazione del decreto Ronchi non impedirà comunque di coinvolgere il privato nella gestione. Il secondo quesito mira a negare la legittimità del profitto nell’erogazione dei servizi. Il rischio è ostacolare ulteriormente gli investimenti necessari per il settore. Si tratta però di un’occasione per affrontare in modo finalmente serio la materia idrica. Urgenti tre riforme: finanziaria, della regolazione e dei meccanismi tariffari.