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Categoria: Rassegna Stampa

Il fallimento del vertice di Cancun -Rassegna della stampa estera-

“Cancùn’s charming outcome”, The Economist, 20-26 settembre 2003, pag.13.

Il fallimento del vertice di Cancùn non sta nella difesa di nobili principi da parte dei paesi poveri, ma è dovuto a cinismo, delusione e incompetenza. I negoziati erano inquadrati nell’ambito del Doha Round, il cui principale obiettivo è quello di liberalizzare gli scambi internazionali, soprattutto dove questo è utile per il Terzo Mondo, quindi nei prodotti agricoli. Ma con la fine senza risultati delle trattative, ci vorranno forse più di cinque anni per arrivare a una conclusione soddisfacente e sostanziale in tal senso. E nel frattempo perde punti l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), dove ogni nazione, piccola o grande, povera o ricca, ha diritto di veto. Un raro esempio in cui ai paesi poveri è permesso di confrontarsi con quelli ricchi

“Developing-world victory may be a long-term loss”, The Wall Street Journal Europe, 16 settembre 2003, pag.A1

I negoziati di Cancùn sono terminati per le forti resistenze dei paesi in via di sviluppo contro le posizioni dei paesi più ricchi, contrari a ridurre i sussidi interni al settore agricolo. Ma la presunta vittoria delle nazioni del Sud può presto ritorcersi contro di loro. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), infatti, è la sede più importante in cui i paesi poveri possono dare voce ai problemi delle loro economie. Se tuttavia i summit OMC falliscono e l’organizzazione perde di rilevanza nel processo di liberalizzazione dei commerci, chi ne soffre sono soprattutto coloro che non hanno alternative cui rivolgersi. Mentre nel frattempo potenze commerciali come Stati Uniti, Giappone e Cina hanno in programma un crescente numero di accordi bilaterali di libero scambio. Ed è soprattutto in questo tipo di trattative dove il nano ha meno potere nell’influenzare il gigante.

“Killing the goose”, The Wall Street Journal Europe, 16 settembre 2003, pag.A10.

L’Unione Europea deve rendersi conto che non può più permettersi di difendere la sua politica di sostegno all’agricoltura. Perché costa, perché i contadini rappresentano solo il 5% della popolazione europea e il 2% del suo prodotto interno lordo, e perché impedisce, come si è visto a Cancùn, una maggiore liberalizzazione del mercato dei beni manufatti e dei servizi. Cancùn è fallita, ma non lo è ancora il Doha Round. L’Unione Europea e gli Stati Uniti dovrebbero capire che non possono continuare a danneggiare gli interessi, per esempio, delle imprese esportatrici tedesche o delle grandi aziende Usa di software, solo per ascoltare la voce dei contadini e allevatori di oche del Perigord francese.

“Road from Cancùn leads to Brussels”, Financial Times, 16 settembre 2003, pag.16.

Gli accordi di liberalizzazione commerciale hanno finora portato grandi vantaggi soprattutto per il ricco Nord del mondo, che ha aperto i propri mercati quando conveniva e li ha lasciati chiusi quando invece riteneva fosse meglio così. I benefici per il Sud sono invece stati minori, soprattutto rispetto al caso di più ampie liberalizzazioni. A Cancùn i paesi poveri hanno detto di no alle proposte delle nazioni più ricche su una maggiore apertura dei mercati negli investimenti, nella concorrenza e negli appalti pubblici. Perché prima vogliono che il Nord apra a sua volta i propri mercati agricoli. Il Sud non si accontenta più delle teorie sul libero scambio, ma vuole fatti dai paesi ricchi. Nei quali quindi sta la chiave per lo sperabile futuro successo del Doha Round.

“L’échec de Cancùn”, Le Monde, 16 settembre, pag.14.  

A un miliardo di dollari al giorno ammontano i sostegni all’agricoltura elargiti in Giappone, Unione Europea e Stati Uniti. A Cancùn l’Europa ha in ogni caso dato prova di voler raggiungere un compromesso, quando ha proposto di individuare i sussidi veramente nocivi per gli agricoltori del Terzo Mondo. Ma si è poi rifiutata di impegnarsi su una data per la loro soppressione. L’unico motivo di speranza che viene da Cancùn è forse la prova del funzionamento democratico dell’OMC, che non si è dimostrata essere uno strumento al servizio dei paesi ricchi, ma una sede di reale confronto.

“Ein vielleicht heilsamer Shock”, Handelsblatt, 16 settembre 2003.

Secondo Anton Boerner, presidente dell’Associazione Tedesca per il Commercio (Bundesverbandes des Deutschen Gross- und Aussenhandels), è necessario che le discussioni sulla liberalizzazione dei commerci riprendano al più presto. Nell’interesse dei paesi ricchi, ma anche di quelli in via di sviluppo. Tra i quali ci sono, per esempio, India e Brasile, che traggono grandi benefici dal processo di globalizzazione. E il Brasile ha già detto di essere ben conscio della propria responsabilità, in vista di future negoziazioni multilaterali per una maggiore apertura dei mercati. Per cui è possibile che Cancùn si trasformi in un “trauma benefico” per la successiva conclusione del Doha Round.

rassegna stampa del 4 settembre 2003


“Europa”


“La Gazzetta di Modena”


“La Gazzetta di Reggio Emilia”


“Il Giornale”


“Il Messaggero”


“Il Piccolo”


“Il Sole 24 Ore”


“La Nuova Sardegna”


“La Repubblica”


“La Stampa”


“Libertà”


“L’Unità”

La riforma delle pensioni in Germania: la Commissione Rürup

Antefatto. Il 21 novembre 2002 in Germania il ministro per gli affari sociali Ulla Schmidt insedia la Commissione per la sostenibilità del finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale. Sotto la guida del prof. Bert Rürup 26 esperti provenienti dal mondo politico, economico, scientifico e sindacale devono elaborare proposte per il futuro del sistema pensionistico, sanitario e assistenziale tedesco, nel rispetto dell’equità intergenerazionale e riducendo i costi accessori del salario. Non si tratta quindi di ripensare complessivamente l’intero stato sociale, ma di valutare la sostenibilità finanziaria dei tre rami obbligatori delle assicurazioni sociali. Alla commissione si affida inoltre il compito di evidenziare gli interventi legislativi da attuare e quindi di preparare l’opinione pubblica a futuri tagli delle spese sociali, comunque inevitabili.

Il 28 agosto 2003 la commissione presenta il rapporto finale al ministro Schmidt, confermando per le pensioni quanto già reso pubblico durante i lavori (vedi lavoce.info del 5.6.2003) ovvero l’innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni. Nel rapporto si sottolinea che le proposte avanzate non intendono stravolgere la riforma Riester del 2001, di cui si conferma l’impostazione, respingendo l’idea di abbandonare il sistema a ripartizione pur sollecitando un rafforzamento delle previdenze integrative a capitalizzazione; si vuole semplicemente dirigersi verso modifiche che rendano sostenibile e stabile il sistema previdenziale, correggendo con misure più realistiche e conformi alla situazione attuale le stime demografiche ed economiche ottimistiche alla base della precedente riforma, frutto peraltro di un compromesso politico fra riformisti da un lato e associazioni varie e sindacati dall’altro. Per arrivare almeno ad una stabilizzazione dei contributi previdenziali occorre collegare stabilmente la formula di calcolo delle pensioni alle entrate contributive.

Le misure introdotte dalla riforma Riester per rallentare l’innalzamento del contributo previdenziale obbligatorio, non bastano per mantenere l’aliquota entro il 22% per il 2030, anzi secondo gli esperti il contributo potrebbe superare il 24%.

Le proposte – Basandosi su queste considerazioni la commissione suggerisce dunque un innalzamento graduale dell’età pensionabile da 65 a 67 anni, a partire dal 2011, con l’incremento di un mese ogni anno, spalmando così l’intero processo sull’arco di 24 anni. Premessa per questo innalzamento è ovviamente il miglioramento della domanda di lavoro rispetto alla situazione odierna: per questo sono richiesti sia interventi legislativi che un maggiore coinvolgimento dei datori di lavoro. Una vita lavorativa più lunga richiede migliori opportunità soprattutto per i lavoratori più anziani (i Paesi in cui il prepensionamento non viene utilizzato come strumento di politica del lavoro mostrano tassi più elevati di occupazione dei lavoratori più anziani, senza contare che il prepensionamento non fa che aumentare il costo accessorio del lavoro e quindi crea disoccupazione più che diminuirla). Da qui l’importanza della formazione permanente, a cui si aggiungono per una carriera lavorativa più lunga misure in campo sanitario rivolte alla prevenzione e alla riabilitazione. Benché l’età pensionabile salga a 67 anni si intende offrire ancora la possibilità di anticipare di tre anni il pensionamento (dunque a 64 anni e non più a 62) ma con le riduzioni attuariali già previste (0,3% per ogni mese di anticipo con un tetto massimo di 10,8%) senza prevedere eccezioni per chi fa lavori usuranti e per chi ha molti anni di versamenti contributivi (45); questi ultimi tuttavia possono usufruire di una “finestra d’uscita” anticipando fino a 5 anni il pensionamento, sempre con relative decurtazioni.

Restano invariati gli incentivi per chi decide di continuare a lavorare: 0,5% per ogni mese in più, 6% per anno.

Oltre all’aumento dell’età pensionabile la commissione suggerisce di rallentare in futuro l’incremento della pensione per non gravare su chi versa i contributi. Nella formula di adeguamento della pensione verrebbe integrato un fattore di sostenibilità che riduce l’adeguamento annuale della pensione, se il rapporto fra pensionati e chi versa i contributi cambia a sfavore di questi ultimi. Per contro si può arrivare ad adeguamenti più elevati delle pensioni, se grazie ad una maggiore partecipazione al mercato del lavoro si allarga il numero dei contribuenti. Secondo i calcoli della commissione, il fattore di sostenibilità dovrebbe portare ad un abbassamento di mezzo punto percentuale all’anno dell’aliquota rispetto all’attuale formula di adeguamento. Esso avrebbe in sé un effetto di stabilizzazione, in quanto tiene conto dello sviluppo demografico e dello stato dell’occupazione. Le conseguenze sono un abbassamento del livello della pensione.

Quello attuale corrisponde ad un 48% dei salari lordi; tale livello scenderà al 40% per il 2030 (6 punti percentuali sono già il risultato della riforma previdenziale del 2001). Nonostante questo non verrà intaccato il potere di acquisto delle pensioni: supponendo un aumento reale dei salari del 1,5% annuo, una pensione standard depurata dell’inflazione salirà dagli attuali 1.170 euro mensili a 1.429 nel 2030; senza le modifiche proposte dalla commissione sarebbe di 1.496 euro. Con le misure proposte, si avrà dunque un risparmio nel 2030 sull’aliquota contributiva di 2,2 punti percentuali, di cui 1,4 da attribuire al fattore di sostenibilità, 0,6 all’aumento dell’età pensionabile e 0,2 al posticipo dell’adeguamento delle pensioni dal luglio al gennaio successivo (misura non ancora attuata, ma che sembra prevista per il prossimo anno).

Pur riconoscendo alla riforma Riester il merito di aver introdotto e favorito la previdenza aziendale e privata, la commissione sollecita l’estensione di tali sistemi a capitalizzazione a tutti i contribuenti, suggerendo di rendere più semplici e trasparenti le procedure di attuazione e soprattutto di partire subito con l’incentivazione fiscale del 4%, senza aspettare di arrivarci per gradi nel 2008. Per il momento resta invece in sospeso la decisione se rendere obbligatoria la previdenza integrativa privata.

Infine i pensionati a partire dal 2010 dovranno farsi carico di un contributo del 2% del loro reddito soggetto a contribuzione, per coprire i crescenti costi dell’assicurazione per l’assistenza di lungo periodo (soprattutto degli anziani non autosufficienti).

Dopo lunghe discussioni e approfondite analisi, la commissione Rürup accantona invece alcune proposte di riforma, ritenute non idonee e comunque non compatibili con i principi di fondo della previdenza obbligatoria e fonti di considerevoli effetti negativi sul sistema stesso, respingendo così: un cambiamento di sistema verso una pensione di base finanziata con le imposte; aliquote e pensioni stabilite in base al numero dei figli per riconoscere alla cura dei figli un contributo materiale al mantenimento del sistema; un taglio selettivo delle prestazioni pensionistiche dei redditi più elevati come pure una differenziazione della pensione a seconda del numero di anni di contribuzione; un ampliamento della platea dei contribuenti (autonomi e funzionari statali) e l’inclusione di altre forme di entrate (interessi, affitti) nella base di calcolo dei contributi.

Reazioni. Il cancelliere Schröder ha tranquillizzato immediatamente il gruppo SPD contrario alle proposte di riforma, affermando che Rürup non è la Bibbia; il ministro Schmidt ha diplomaticamente affermato che molte delle proposte sono “giuste e ragionevoli” e che verranno attentamente esaminate. Schröder ha dichiarato, fra l’altro, che sarebbe già un grosso passo avanti se l’età pensionabile reale si avvicinasse a quella attuale di legge dei 65 anni, concordando in questo con il presidente del gruppo SPD Franz Müntefering, il quale in un’intervista a Bild am Sonntag ha ribadito come un aumento dell’età pensionabile non “porterebbe attualmente a molto”. L’effettiva età della pensione è 59-60 anni e quindi bisognerebbe riflettere su “come poter avvicinare l’inizio del godimento della pensione a quello effettivamente previsto dalla legge”. Anche la Cdu, per voce di Angela Merkel, si dichiara contraria ad un innalzamento dell’età pensionabile. L’ex ministro democristiano Blüm, che aveva introdotto il fattore demografico, cancellato dalla coalizione rosso-verde, rifiuta l’idea di elevare a 67 anni l’età pensionabile, in quanto il 60% delle imprese tedesche non impiega lavoratori che hanno più di 50 anni. Senza un cambiamento nei rapporti di lavoro la formula pensione a 67 anni non significherebbe altro che tagli alle pensioni. Associazioni delle famiglie e sindacati promettono battaglia sui cambiamenti avanzati dalla commissione. Le associazioni delle famiglie vedono le proposte come uno svantaggio soprattutto per le donne che, dati gli anni dedicati alla cura dei figli, non riescono a disporre di periodi contributivi superiori ai 25,8 anni all’ovest e 35,8 all’est contro i 45 anni richiesti per avere un livello pensionistico pari all’attuale 48% del reddito lordo

Dure critiche vengono anche da DIHK (Unione delle Camere di Commercio e Industria) il cui presidente Braun giudica le riforme come una struttura informe, a cui manca un disegno organico. Favorevole invece il presidente della BDA (Confederazione federale delle associazioni tedesche dei datori di lavoro), Hundt, che ha dichiarato: “Le proposte sono un’eccellente base per ulteriori passi verso la modernizzazione e la sostenibilità futura dei diversi rami dell’assicurazione sociale”. Il capogruppo dei verdi Kirsta Sager si è detta ugualmente favorevole alla pensione a 67 anni.

Aspre critiche per quanto riguarda il fattore di sostenibilità vengono dal mondo sindacale : si teme che in futuro sempre più persone avranno pensioni a livello di sussidio sociale. Soprattutto la generazione degli attuali trentenni sarebbe duramente colpita dall’abbassamento del livello lordo della pensione, dall’introduzione del fattore di sostenibilità e da un ulteriore contributo per l’assicurazione assistenziale. Peters, il neoeletto capo dell’IG Metall, ha dichiarato che darà battaglia alla politica di riforme intrapresa dal governo rosso-verde, che ha tradito il suo programma elettorale.

E’ dunque evidente che alla commissione Rürup non ha ancora raccolto il consenso politico attorno alla proprie proposte e che larga parte del sindacato non intende sostenere quanto suggerito dal rapporto, rendendone difficoltosa la realizzazione; del resto le spaccature all’interno della commissione si sono presentate all’esterno attraverso i voti di minoranza che costellano la relazione finale. Lo stesso Rürup ha dichiarato: “In una commissione che rappresenta così diversi pareri, le decisioni unanimi sarebbero state molto spesso compromessi che non avrebbero risolto i problemi” ed ha esortato la coalizione a trasformare in legge le proposte avanzate, senza tenere conto del parere contrario dei sindacati.

Mentre sul lavoro della commissione ferve un acceso dibattito, il ministro Schmidt ha dichiarato che presenterà in ottobre le sue conclusioni sulla riforma; allo stesso tempo la CDU attende sempre per i primi di ottobre le proposte alternative elaborate da una propria commissione (soprattutto per quanto riguarda la componente famiglia) guidata dall’ex presidente della repubblica Herzog e il gruppo parlamentare SPD alla Camera ha dato incarico ad un team di esperti guidati dal prof. Doering dell’università di Francoforte di effettuare una controvalutazione sulla riforma dei sistemi sociali, anche questa attesa per ottobre.

Fonti:

www.bundesregierung.de 
www.bda-online.de
www.soziale-sicherungssystme.de
www.mea.uni-mannheim.de

“Die Dissenskommission”in Frankfurter Allgemeine Zeitung del 28.8.2003
“Unfertiger Rohbau, keine Bibel, Basis für Reformen” in . Frankfurter Allgemeine Zeitung del 28.8.2003
“Rürup-Pläne sorgen für Aufruhr “in Financial Times Deutschland del 28.8.2003
“Streikdebakel verhagelt Peters’Ergebnis zum IG Metall Chef” in Financial Times Deutschland del 31.8.2003
“CDU will Eltern bei Renten besser stellen” in Handelsblatt del 31.8.2003
” Rürup – Die Vorschläge zur Rente” in Tagesspiegel.de del 31.8.2003
“Renten-Pläne benachteiligen die Eltern” in Die Welt del 31.8.2003
“CDU auf Rürup-Kurs” in Der Spiegel nr.36/1.9.2003

La crisi dell’IG-Metall

Rassegna stampa – La crisi dell’IG-Metall

Il fatto. Niente di decisivo alla riunione dei vertici della IG Metall dell’8 luglio, in cui si dovevano stabilire le responsabilità e trarre le conseguenze politiche della disfatta di fine giugno, quando dopo quattro settimane di scioperi si è dichiarata chiusa con un fallimento la lotta dei metalmeccanici dei Länder orientali per l’ottenimento della settimana di 35 ore, come è previsto dal ‘95 nelle imprese occidentali. A dire il vero gli occupati delle acciaierie orientali (8000), che fanno parte dell’IG Metall e hanno partecipato per lo stesso motivo agli scioperi, hanno ottenuto con l’accordo siglato già il 7 giugno con l’AGVS (associazione dei datori di lavoro di categoria) di arrivare gradualmente nel 2009 alla settimana di 35ore, fatta salva una clausola di supervisione, per cui se le condizioni economiche dovessero peggiorare in modo drastico i partner contrattuali faranno slittare di un anno l’accordo. Tale accordo non ha riguardato i metalmeccanici (310000), determinando per la prima volta dallo sciopero in Baviera del 1954 la sconfitta delle loro rivendicazioni. .

Punti di vista. La riduzione d’orario, presentata come una questione di equità dopo 13 anni dalla riunificazione, avrebbe portato – secondo IG-Metall – ad una maggiore occupazione, in quanto avrebbe suddiviso la stessa quantità di lavoro su più occupati: la differenza nel costo unitario del lavoro, inferiore del 10% all’est rispetto ai Länder occidentali, avrebbe permesso alle imprese di finanziare il taglio d’orario.
Per il presidente di Gesamtmetall (associazione dei datori di lavoro della categoria), Martin Kannegiesser, la settimana di 35 ore avrebbe compromesso 20000 posti di lavoro e significato una rinuncia all’unico vantaggio competitivo che le imprese hanno nella localizzazione ad est. I datori di lavoro si sono dunque rifiutati sia di stabilire una data per l’inizio della riduzione d’orario, sia di introdurre gradualmente la settimana di 35 ore. Si è anche proposto di affidare ad economisti indipendenti il raffronto di determinati parametri chiave delle imprese orientali – quali produttività o quota di capitale proprio – con quelli delle imprese occidentali e solo quando vi fosse stato un allineamento pensare ad una riduzione dell’orario.
Dopo un tentativo di accordo vi è stato un progressivo allontanamento delle parti, anche su punti dove in precedenza si era trovato consenso: i datori di lavoro avevano offerto un corridoio contrattuale di 35-40 ore, in cui le imprese potevano decidere sul volume di ore lavorative, a partire dal primo aprile 2005 vi sarebbe poi stata una riduzione da 38 a 37 ore con conseguente aumento della retribuzione oraria del 2,7%, ma nessuna ulteriore riduzione fino al 31 dicembre 2008. L’IG Metall proponeva da parte sua un primo taglio dell’orario a partire dal gennaio 2004 e il raggiungimento delle 35 ore nel 2009, lasciando alle parti aziendali le decisioni in merito alla realizzazione e accettando eccezioni per le imprese in difficoltà. Pur dichiarando di non voler essere coinvolti in questa battaglia sindacale, diversi importanti esponenti politici non hanno mancato di prendere posizione, sottolineando l’isolamento in cui questa battaglia ha portato il sindacato. Lo sciopero è stato considerato con scetticismo dallo stesso cancelliere e il ministro degli Interni Schily ha espresso valutazioni negative sui funzionari che avevano guidato la protesta, così come aveva preso le distanze dal sindacato il presidente SPD della Sassonia Anhalt (uno dei Land coinvolti nello sciopero). Non solo la presidente del gruppo parlamentare Csu-Cdu Angela Merkel, ma anche il ministro dell’economia Wolfgang Clement, sostenuti in questa posizione dal prof. Zimmermann del Diw (uno degli istituti di ricerca economica), hanno dichiarato che sarebbe invece auspicabile seguire l’esempio dell’est e ricorrere a orari di lavoro più lunghi anche all’ovest. Comunque respiro di sollievo sia nella maggioranza che nell’opposizione per la fine di questo sciopero che aveva bloccato la produzione anche in alcune imprese occidentali, fra cui VW e BMW, come conseguenza dell’astensione dal lavoro di imprese dell’indotto orientale.

Conseguenze. Passando in rassegna i punti importanti emersi dal fallito sciopero, vi è senza dubbio il palese contrasto che si sta consumando all’interno dei vertici sindacali, per la successione di Zwickel. Il presidente uscente, che aveva visto nominare suo malgrado come successore Peters al posto del più gradito Huber (designato come vice per dare rappresentanza alle due anime della IG), ha addossato proprio a Peters il fallimento della lotta sostenendo che questi non aveva in realtà dato le giuste informazioni sullo svolgimento e i rischi dello sciopero né fornito i dati reali sulla situazione economica delle imprese orientali; lo stesso Peters aveva dichiarato di non avere avuto il sostegno da parte della centrale sindacale e da alcuni consigli di fabbrica occidentali. In realtà la lotta che si sta consumando e che lacera il più importante sindacato del mondo (2600000 iscritti), determinando ormai da tempo immobilismo ed emorragia di iscritti, è una sfida fra sindacalisti schierati su posizioni tradizionali che vedono nel sindacato una difesa dei propri iscritti (Peters) e riformatori (Huber) che sarebbero pronti a ripensare a un nuovo ruolo per il sindacato, più attento alle mutate condizioni economiche e sociali.
Un altro punto importante è il rapporto fra contratto collettivo e contratti d’impresa; questo sciopero per le 35 ore ha rappresentato in un certo senso solo un evento di facciata e anche se si fosse risolto positivamente sarebbe stato unicamente una vittoria simbolica: già ora solo 300 delle 3000 imprese metallurgiche fanno parte dell’associazione dei datori di lavoro e di queste secondo uno studio della Otto Brenner Stiftung (fondazione vicina al sindacato) solo la metà si attiene alle 38 ore stabilite contrattualmente, nel resto del settore si lavora più a lungo. D’altra parte vi sono già imprese (non più di una dozzina) che si possono permettere per produttività questo taglio di 3 ore settimanali, per le altre ciò potrebbe significare lo spostamento delle produzioni nella Repubblica ceca, dove i lavoratori dell’auto lavorano per un quinto del salario. Con questo fallimento vi è ora il rischio che venga definitivamente decretata la fine della contrattazione collettiva: possibilità temuta non solo dai sindacati ma anche da una parte dei datori di lavoro che per bocca dello stesso Kannegiesser mettono in guardia da sentimenti di trionfo di fronte a questa sconfitta storica e invitano a ricostruire il quadro contrattuale a cui abbinare clausole di apertura, altrimenti non si farà che portare il conflitto all’interno di ogni impresa. Anche Hundt, presidente della Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände (Unione delle associazioni dei datori di lavoro), invita a non erodere ancor di più la contrattazione collettiva cercando di ottenere il taglio dell’orario attraverso contratti aziendali.
Un altro punto che emerge da questa lotta sindacale è la volontà di alcuni politici e rappresentanti dell’economia di riformare nel quadro di una revisione del diritto del lavoro anche le norme riguardanti il diritto di sciopero. Lo stesso Hundt, ma anche il vicecapogruppo della CSU-CDU Friedrich Merz, chiedono una protezione legale della maggioranza, per cui in futuro minoranze di lavoratori non possano più decidere attraverso gli scioperi di bloccare le produzioni. Nelle fabbriche i consensi ottenuti fra gli aventi diritti al voto, ovvero gli iscritti all’IG Metall, erano a seconda dei Länder 78,8-79,94% e quindi superavano la maggioranza prevista per lo sciopero (75%), ma rispetto agli addetti del settore erano meno del 10%.

Conclusioni: la riunione dell’8 luglio non ha portato ad una soluzione della leadership nell’IG Metall, per cui non è chiaro se al suo interno riusciranno a convivere grazie alla scelta di un tandem le due anime dei metalmeccanici o se vi sarà la prevalenza di una o dell’altra, tenendo presente che molti della base preferirebbero la figura dura e pura di Peters, mentre fra le élite sindacali (medi e alti funzionari) vi è la propensione a scegliere un riformatore. La questione è dunque in discussione fino alla “giornata sindacale”, in cui vi sarà l’investitura del nuovo presidente dell’IG Metall e che da ottobre potrebbe essere anticipata per risolvere la crisi di leadership che grava sul sindacato.

Sächsische Metaller beschliessen Streik“, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 30.5.2003

Verhärtete Fronten im Metalltarifstreit“, Faz , 3.6.2003

Streik in Ostdeutschland gescheitert“, Faz, 28.6.2003

Eine Chance für die IG Metall“, Berliner Zeitung, 30.6.03

Aufmarsch der Papiertiger “, Der Spiegel, 23/2003

IG Metall –Flucht oder Neuanfang“, Sueddeutsche Zeitung, 7.7.03

Chronik eines gescheiterten Streiks“, manager-magazin.de, 8.7.2003

Hartes Ringen in der IG-Metall-Zentrale “, tagesschau.de, 8.7.03

Machtkampf in der IG-Metall überdeckt tiefe Krise“, Handesblatt.com, 8.7.03

Zwickel weist Kritik an seiner Führungsstärke zurück“, Financial Times Deutschland, 9.7.03

Der Machtkampf geht weiter“, tagesspiegel.de, 9.7.03

Schily attackiert IG-Metall-Vize Peters“, Sueddeutsche Zeitung, 9.7.03

SPD und Gewerkschaften: Die Zeiten haben sich geändert“, Faz, 10.7.03

Das Kabinetts-Stück“, Die Zeit, 28/2003

www.igmetall.dewww.bda-online.dewww.vsme.dewww.diw.de – www.gesamtmetall.de

lavoce.info sulla stampa italiana

Nel suo primo anno di vita lavoce.info è stata citata sulla stampa circa 350 volte. E spesso non tramite il semplice richiamo a un articolo pubblicato sul sito, bensì con la riproduzione integrale del pezzo. Le testate che maggiormente hanno ripreso articoli da lavoce.info sono il Sole 24Ore, il Corriere della Sera, la Repubblica e la Stampa. Tuttavia una rimarchevole attenzione è stata prestata anche dagli altri giornali nazionali (si citano fra i tanti il Riformista, il Messaggero, il Giornale e Europa) e dalla stampa periodica.

Si propone una veloce rassegna di alcuni articoli pubblicati sulla stampa. Non sono stati scelti i pezzi relativi alle singole opinioni o considerazioni pubblicate sul sito, ma gli articoli che hanno parlato proprio di lavoce.info, della sua struttura e dei suoi obiettivi.

La Stampa – 9 luglio 2002 – pag.14 – “Professori alla riscossa sul web”

Tutto gratis e disintermediato, per “contribuire a un’informazione indipendente e obiettiva”, si ispira a Prezzolini e Montanelli. La sfida: parlare al grande pubblico di temi complessi. Il rischio? Finora, in rete l’entusiasmo dei contributi volontari è durato poco. . .  (Leggi l’articolo)

Italy Daily (supplemento di Herald Tribune) – 16 luglio 2002 – pag.1 – “Profs promote non-partisan policy news site”.

Con la crescente attenzione prestata dalla stampa italiana ai dibattiti tra le parti su articolo 18 e Patto per l’Italia, un gruppo di professori universitari sta cercando di portare un po’ di obiettività con il lancio di un nuovo sito internet… (Leggi l’articolo)

Prima Comunicazione – 31 ottobre 2002 – pag.84 – “La voce della ragione”

Era iniziato quasi per gioco, con un gruppo di economisti che si scambiavano via mail opinioni, ipotesi e previsioni sulla crisi in atto e sulle politiche economiche necessarie per uscire dall’interminabile tunnel. E nessuno avrebbe immaginato che nel giro di poche settimane il sito la voce.info sarebbe diventato un crocevia così affollato, con circa 4mila iscritti e 12mila pagine viste al giorno… (Leggi l’articolo)

Il Messaggero – 6 novembre 2002 – pag.7 – “La rivolta dei prof: basta propaganda”

Autunno caldo. Opposte propagande in azione. Guerra civile strisciante…….Il fastidio nei confronti delle speculazioni che travisano i problemi pian piano sta crescendo. Almeno a giudicare dall’attenzione che va riscuotendo su internet una piccola grande “voce per interrompere la campagna elettorale permanente”… (Leggi l’articolo)

Il Corriere della Sera – 10 maggio 2003 – pag.5 – “SME, ma quel prezzo non era scandaloso”

Vendere, dieci anni prima di quando poi accadde, il gruppo alimentare pubblico Sme avrebbe significato “svendere”? Senz’altro, secondo Silvio Berlusconi. Ma c’è chi pensa che non ci sono argomenti scientifici per sostenerlo. Come i due economisti Marco Pagano e Carlo Scarpa…in un articolo su la voce.info… (Leggi l’articolo)

Il Corriere della Sera – 19 giugno 2003 – pag.43 – Lettera di Tito Boeri a Paolo Mieli

Un anno fa, quando abbiamo messo in rete lavoce.info, un sito di informazione economica interamente gestito da docenti universitari, lei, caro Mieli, ha pubblicamente tessuto le lodi della nostra iniziativa. Da allora siamo molto cresciuti: abbiamo oggi ottomila abbonati alla newsletter, una audience molto qualificata e in costante aumento, continuiamo a ricevere contributi (non pagati) di grande qualità…. (Leggi l’articolo)

Il Sole24Ore – 29 giugno 2003 – pag.37 – “La voce.info, quando la cattedra sposa internet”

Il 4 luglio, giorno dell’indipendenza: sono passati 227 anni dal giorno in cui un comitato di 53 americani sottoscrisse la Dichiarazione di indipendenza. Forse la data del 4 luglio non è stata scelta apposta, l’anno scorso, quando un comitato di 16 italiani si riunì per fondare www.lavoce.info…… (Leggi l’articolo)

Repubblica – 3 luglio 2003 – pag.30 – “Un anno di dibattiti con la voce.info”

Primo compleanno per il sito di economia “la voce.info”. Dodici mesi fa la redazione, interamente composta da docenti universitari, ha cominciato a mandare in rete i suoi studi e osservazioni con l’obiettivo di fornire un contributo libero… (Leggi l’articolo)

La Stampa – 4 luglio 2003 – pag.21 – “Lavoce.info compie un anno e si rinnova

Oggi è il primi anniversario di www.lavoce.info, il sito di informazione, analisi e monitoraggio sulla politica economica in Italia nato per iniziativa di un gruppo di docenti universitari, che hanno messo le proprie competenze gratis per contribuire a un’informazione libera e indipendente… (Leggi l’articolo)

Panorama Economy – 4-10 luglio 2003 – pag.25 – “I docenti universitari brindano sul web”

Cambia faccia il sito economico lavoce.info, nato un anno fa su iniziativa di 15 docenti universitari e coordinato da Tito Boeri. Tra le novità , la pubblicazione dei commenti dei lettori in fondo agli articoli…. (Leggi l’articolo)

Il Mondo – 5-11 luglio 2003 – pag.16 – “Anche Pellicioli finanzia il sito internet www.lavoce.info

Non ha raccolto soltanto consensi www.lavoce.info: a un anno dalla fondazione il sito animato dagli economisti Tito Boeri e Francesco Gavazzi conta anche i contributi di privati e associazioni…. (Leggi l’articolo)

 

 

 

 

 

 

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