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Autore: Tito Boeri Pagina 33 di 38

tito Tito Boeri è professore di economia presso l'Università Bocconi di Milano e Senior Visiting Professor alla London School of Economics. È stato senior economist all’Ocse, consulente del Fmi, della Banca Mondiale, della Ue, dell’Ilo oltre che del governo italiano. Dal marzo 2015 al febbraio 2019 ha ricoperto la carica di Presidente dell'Inps. È Consigliere Scientifico della Fondazione Rodolfo Debenedetti. È stato editorialista del Sole24ore, de La Stampa e de La Repubblica e ha collaborato con quotidiani esteri quali il Financial Times e Le Monde. È tra i fondatori del sito di informazione economica www.lavoce.info e del sito federato in lingua inglese www.voxeu.org.

Cosa accade a chi cambia la legge elettorale

La maggioranza intende cambiare la legge elettorale a pochi mesi dal voto perché ritiene di poter conseguire risultati migliori col sistema proporzionale che con quello maggioritario. Ma sarebbe sbagliato pensare che la legge elettorale intervenga semplicemente cambiando l’esito, in termini di seggi, di una data distribuzione dei voti. L’esperienza indica che chi cambia la legge elettorale in genere perde voti. E i deputati e i senatori che approvano il cambiamento hanno una probabilità molto più bassa di essere rieletti dei loro predecessori o successori.

Soluzioni italiane per una Germania con politica all’italiana

L’esperienza europea degli ultimi venti anni mostra che le grandi coalizioni fanno crescere il debito pubblico e non sono politicamente in grado di attuare riforme politicamente difficili. La Germania dovrebbe dunque puntare su un Governo tecnico, sull’esempio di quelli italiani degli anni Novanta. Garantirebbe l’ampia maggioranza parlamentare necessaria per avviare le riforme, risolvere il problema del federalismo fiscale e ridisegnare l’assegnazione delle competenze tra differenti livelli di governo. A patto però che i partiti forzino i loro leader a fare un passo indietro.

Fuga da Finantraz

Speriamo che Antonio Fazio, rientrato anticipatamente in Italia, prenda atto dei danni che sta arrecando all’immagine del paese. Sarebbe anche un modo per finalmente spostare l’attenzione generale sulle vere cause dell’instabilità politica che ha portato alle dimissioni del ministro Siniscalco. Il Governo ha perso il controllo dei conti pubblici. Il nuovo ministro ha cinque giorni di tempo per varare una Finanziaria che non potrà più essere elettorale. E l’opposizione deve dare segnali forti su come intende riguadagnare controllo dei conti pubblici nella prossima legislatura.

Vogliamo anche noi una politica selettiva dell’immigrazione?

Le politiche dell’immigrazione degli stati dell’Unione Europea stanno diventando sempre più restrittive per i lavoratori poco qualificati, mentre i diversi paesi competono tra di loro nel cercare di attrarre dall’estero lavoratori più istruiti. Da noi, invece, prevale un atteggiamento restrittivo su tutti i fronti. E nel dibattito pre-elettorale si continua a pensare che si possa gestire la politica dell’immigrazione a livello nazionale, ignorando ciò che avviene altrove.

Il governatore, l’Italia e le banche

Nella vicenda Banca d’Italia il Governo sta a guardare, dando l’impressione di non poter far nulla. E’ un atteggiamento irresponsabile che rischia di dilapidare il grande capitale di competenze e credibilità che rimane nella Banca d’Italia. E’ necessario, invece, che il Governo intervenga su tre aspetti: durata del mandato, collegialità delle decisioni e competenze della Banca. Questi problemi devono essere affrontati prima di una eventuale nomina di un nuovo Governatore. Non è necessario inventare nulla di nuovo: basta applicare le regole già previste per la Banca centrale europea.

Salario minimo e decentramento della contrattazione

In Italia sono aumentati negli ultimi anni i working poor, persone che, pur lavorando, hanno redditi al di sotto della linea di povertà. Si tratta di lavoratori che sfuggono alle maglie della contrattazione collettiva, la quale continua a determinare i minimi contrattuali con riferimento alle condizioni del mercato del lavoro e al costo della vita nelle regioni centro-settentrionali. Ci vuole al contempo protezione per questi lavoratori non coperti e più decentramento della contrattazione per impedire che l’occupazione cresca solo nelle regioni più ricche del Paese. Ecco una proposta operativa.

Un Dpef da depressione… psicologica

Il documento di programmazione economica e finanziaria rivela una preoccupante mancanza di idee da parte di chi ha guidato il paese negli ultimi cinque anni. E conferma che chi andrà al Governo dopo le prossime elezioni dovrà occuparsi innanzitutto di rimettere in ordine i conti pubblici. Ma governare sotto vincoli di bilancio stringenti può anche offrire la spinta politica per attuare le necessarie riforme strutturali. Si tratta di mettere alle corde chi ha posizioni di rendita, usando proprio quel vincolo. Soprattutto, basta avere le idee chiare e volerlo fare.

Il silenzio dei colpevoli

C’è troppa disinformazione in giro su quanto costano e quanto rendono le pensioni pubbliche dopo le riforme di questi anni. Se si informassero davvero i lavoratori, soprattutto quelli più giovani, mandando lettere a tutti i contribuenti come in Svezia, per incoraggiare il trasferimento del Tfr ai fondi pensione da parte dei giovani non ci sarebbe bisogno di agevolazioni fiscali che peseranno molto sui bilanci futuri, di compensazioni generose per le imprese e neanche del silenzio-assenso.

Non date la colpa agli immigrati dell’Est

Un alto tasso di disoccupazione (in Francia) e il timore di “welfare shopping” (in Olanda) hanno probabilmente contribuito alla vittoria del “no” nei referendum sulla Costituzione europea. Ma chiudere le frontiere o l’accesso all’assistenza sociale per i lavoratori dei nuovi Stati membri avrebbe solo effetti negativi. Si bloccherebbe infatti quel tipo di immigrazione che è più facile assimilare: legale e all’interno della Ue di persone mediamente o altamente qualificate. Le nostre stime indicano che frontiere aperte ai lavoratori dei Nuovi Stati Membri offrirebbero in dote all’Europa a 25 una crescita del Pil di mezzo punto percentuale. L’Europa non può rinunciarvi.

L’Europa degli italiani

Un nostro sondaggio conferma che i giovani italiani continuano a essere filo-europei e voterebbero a favore del Trattato costituzionale europeo perché hanno poca fiducia nel sistema politico e nelle istituzioni nazionali. L’Europa piace perché ci protegge dai nostri stessi errori. La maggioranza degli intervistati ritiene però che l’euro abbia danneggiato l’economia italiana. Da questi dati si possono trarre alcune indicazioni sull’atteggiamento che il Governo dovrebbe tenere al Consiglio europeo e nel negoziato con Bruxelles sul riequilibrio dei conti pubblici. E ci sarebbe materia di riflessione anche per la Bce.

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