Lavoce.info

Autore: Silvia Giannini Pagina 4 di 9

giannini Ha studiato economia nelle Università di Bologna e di Cambridge (UK). Nei suoi studi si è occupata prevalentemente degli effetti economici della tassazione dei redditi di impresa e di capitale, della valutazione di proposte di riforma fiscale e dei problemi di coordinamento in ambito comunitario. Ha collaborato con istituzioni e centri di ricerca nazionali e internazionali e ha partecipato a numerosi gruppi e commissioni di lavoro istituiti presso il Ministero delle Finanze. Attualmente è componente della Commissione ministeriale sulle spese fiscali. Professore ordinario di Scienza delle finanze presso l’Università di Bologna (dal 1993), è stata successivamente Vicesindaco del Comune di Bologna, con delega al bilancio, al patrimonio e alle società partecipate, nel mandato amministrativo maggio 2011-giugno 2016.

Chi guadagna e chi perde con la flat tax

Con la flat tax una parte significativa dello sgravio totale andrebbe al 10 per cento più ricco dei contribuenti, mentre sarebbero pochi i benefici per le famiglie con redditi medi. Rischio evasione per non superare la soglia oltre la quale si paga la sanità.

Flat tax: riforma strategica o salto nel buio?

Alla proposta di flat tax dell’Istituto Bruno Leoni mancano troppi dettagli perché possa essere considerata un progetto articolato e realizzabile. Ma è lo spunto per un serio dibattito sull’urgenza di riformare l’Irpef e alcuni istituti di welfare.

Irpef, una riforma da fare

La riforma dell’Irpef è necessaria perché la sua attuale struttura presenta molti problemi. Senza compromettere il gettito, quali sono i possibili interventi su aliquote e detrazioni? Da ripensare anche il ruolo delle addizionali regionali e comunali.

Luci e ombre del decreto fiscale

Superamento degli studi di settore, rottamazione dei ruoli, abolizione di Equitalia e nuova imposta sul reddito dell’imprenditore sono le principali novità fiscali della legge di bilancio 2017. Tra interventi condivisibili e altri che porteranno a cadute di gettito, restano questioni aperte.

UN FISCO DA RIPENSARE

In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

I CONTROLLI NELLA LEGGE CHE NON SI LEGGE

Il decreto sviluppo interviene sui controlli amministrativi, non solo fiscali, operati da qualsiasi amministrazione, centrale e locale. Il tema della semplificazione dei controlli è molto caro alle imprese e l’intento del governo è ovviamente condivisibile, purché non vada a detrimento del rispetto delle regole. La norma però presenta difficoltà sia interpretative che di attuazione, affronta più la coda che la testa del problema e il suo impatto sulla crescita rischia di essere così incerto da sollevare dubbi sulla sua collocazione in un decreto con carattere di urgenza.

LA RETORICA DEL 5 PER MILLE

Il 5 per mille mostra sempre più la corda. Non solo è costantemente a rischio di sopravvivenza. Ma si sta rivelando anche uno strumento inadatto a sostenere il volontariato e gli enti non profit. Comporta costi rilevanti di pubblicità per i privati e di gestione per l’amministrazione pubblica. Finisce col finanziare a pioggia, e con importi modesti, enti con le finalità più disparate. La sua efficacia andrebbe confrontata con quella delle agevolazioni fiscali previste per le stesse finalità. Enti locali e finanziamenti virtuosi al terzo settore.

La prima e ultima decisione

Nel giorno stesso in cui il governo ha ricevuto la fiducia alla Camera, è apparsa sul sito del ministero del Tesoro la prima Decisione di finanza pubblica. Arriva in ritardo e rischia di essere già stata superata dai fatti. Perché riflette solo decisioni già prese, rese insufficienti dalle revisioni del Patto di stabilità e dall’andamento del gettito tributario inferiore alle previsioni. Oltretutto sarà anche l’ultima.

Leva fiscale per attrarre gli investimenti

Commento dopo le modifiche apportate dal Parlamento

La prima norma che abbiamo commentato (art. 40) relativa alla fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, non è stata modificata. Valgono le considerazioni fatte.
La seconda norma (art. 41), sul regime fiscale di attrazione europea, che consente, previo apposito interpello,  a un’’impresa di un altro stato membro dell’’Unione europea di investire in Italia adottando il regime fiscale preferito tra quelli vigenti in ambito UE, ha subito qualche modifica:

1-  l’’efficacia del provvedimento è stata limitata a tre anni;
2-  è stato specificato che l’’opzione riguarda solo i tributi statali, quindi un’‘impresa di un altro stato membro che investisse in Italia potrebbe evitare di pagare l’’Ires (pagando invece, ad esempio, la Koerperschaftsteuer tedesca, ad aliquota del 15 per cento o la corporation tax irlandese, al 12,5 per cento) ma dovrà pagare l’’Irap, in quanto imposta regionale;
3-  è stata introdotta una norma antielusiva, per evitare che usufruiscano surrettiziamente dell’’agevolazione imprese che già sono presenti  in Italia o che solo virtualmente svolgano la propria attività nel territorio dello stato.

Si tratta di modifiche  che riducono l’’appeal della misura, che risolvono il problema da noi posto relativamente alla possibile ricaduta di parte dei costi dell’’agevolazione sui tributi degli enti decentrati, ma che, al contempo, non fugano né i dubbi di costituzionalità della norma né quelli della sua compatibilità con le norme comunitarie,  e che coinvolgono, come sottolineato anche recentemente dall’’esperto di diritto tributario comunitario Adriano Di Pietro su Il sole24ore, oltre al codice di condotta, anche le norme sugli aiuti di stato.

La manovra e la competitività: commento dell’1 giugno 2010 alla versione pre-emendamenti

Subito dopo il consiglio dei ministri di mercoledì scorso che ha varato la manovra, il presidente del Consiglio aveva invitato a leggere attentamente il testo prima di esprimere un parere. Ma come si faceva dal momento che dal consiglio dei ministri non è uscito alcun testo ufficiale e per giorni non si è saputo quante e quali norme sarebbero sopravvissute alle modifiche dell’ultima ora? In quella che sembra la versione finale del decreto sono contenute due norme che usano la leva fiscale per attirare le imprese a investire nel Mezzogiorno, e, quelle estere, in tutta Italia. Meritano attenzione per la loro finalità “a favore dello sviluppo”. Cerchiamo di capire perché non ci si può aspettare molto da nessuna delle due.

LA “FISCALITÀ DI VANTAGGIO” PER IL MEZZOGIORNO

La prima norma introduce la possibilità, per alcune regioni del Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), di modificare le aliquote Irap “fino ad azzerarle e di disporre esenzioni, detrazioni e deduzioni nei riguardi delle nuove iniziative produttive”.
Già oggi le Regioni possono variare l’aliquota, entro un range del +/-0,92 rispetto alla aliquota base del 3,9 per cento e concedere deduzioni, detrazioni e altre agevolazioni. (1) Con la nuova norma alle Regioni del Sud viene concesso un più ampio margine di manovra fino a consentire di azzerare completamente l’’Irap, sulle nuove iniziative produttive.
La norma anticipa, espressamente, l’’attuazione di quanto già previsto, in termini più ampi e generali, nella legge delega sul federalismo (legge 42/09 articolo 2 comma 2 lettera mm) che prevede l’’individuazione di “forme di fiscalità di sviluppo, con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottosviluppate”. In entrambe le disposizioni si richiama, opportunamente, la necessità che l’’agevolazione sia “nel rispetto”, o “in conformità”, della normativa comunitaria. Fiscalità differenziate non solo fra settori di attività, ma anche sul territorio nazionale, potrebbero infatti essere ritenute incompatibili con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, posta a tutela della concorrenza nel mercato comune europeo.
Non è un caso che le Regioni, quando hanno utilizzato la flessibilità loro concessa a favore di alcuni settori o territori disagiati, si sono sempre mosse nell’’ambito della regola del de minimis che consente che determinati interventi pubblici selettivi non siano ritenuti aiuti di Stato incompatibili, se il loro importo non supera determinate soglie.
Nel caso in cui si superi il de minimis, come avverrebbe con la riduzione, fino ad azzeramento, dell’’aliquota Irap, il test da passare, stando almeno a quanto emerge dalla giurisprudenza comunitaria, è che la decisione dell’’ente avvenga in piena “autonomia istituzionale, procedurale ed economica”. La Regione, quindi, non solo deve prendere in piena autonomia la decisione, ma deve anche sopportare il calo di gettito che ne deriva, come peraltro esplicitamente previsto dalla relazione tecnica che dice che “l’’esercizio della facoltà riconosciuta alle Regioni interessate è chiaramente subordinata all’’individuazione di corrispondenti compensazioni nell’’ambito dei propri bilanci”.
È difficile pensare che le Regioni del Mezzogiorno, tanto più dopo i tagli previsti dalla manovra in discussione (e, per alcune di esse, l’’obbligo di far ricorso alla leva fiscale per coprire i disavanzi sanitari) abbiano risorse per avviare una concorrenza fiscale nei confronti delle altre aree per attirare nuove iniziative. E anche quando si ritenesse che una concorrenza fiscale tra regioni è non solo possibile, ma anche sana e utile alla crescita produttiva, è tutto da vedere se, data la situazione di arretratezza, carenza di infrastrutture, degrado istituzionale, esposizione alla malavita organizzata in cui molte zone delle regioni interessate dalla “fiscalità di vantaggio” si trovano, sia sufficiente abolire l’’Irap per compensare i maggiori costi che un investitore sostiene aprendo un’’attività. Forse anche per questo, pudicamente, il decreto parla di “fiscalità di vantaggio”, mentre nella delega sul federalismo si parla di “fiscalità di sviluppo”.

REGIME FISCALE DI ATTRAZIONE EUROPEA

In base alla seconda norma: “Alle imprese residenti in uno Stato membro dell’Unione Europea diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori, si può applicare, in alternativa alla normativa tributaria italiana, la normativa tributaria vigente in uno degli Stati membri dell’Unione Europea.”
Si tratta di una norma accattivate quanto fantascientifica: non solo perché non si capisce come possa essere concretamente applicabile, ma anche perché appare in palese contrasto con le regole comunitarie, nonché con la Costituzione italiana.
La norma è finalizzata ad attirare in Italia imprese di altri paesi europei. A queste imprese verrebbe infatti riconosciuta la possibilità di scegliere la normativa fiscale più favorevole fra le ventisette esistenti all’’interno della Unione. Non tutte sceglierebbero la stessa: il vantaggio che si può ricavare dall’’una o dall’’altra normativa dipende infatti dai dettagli delle singole normative, per quanto riguarda aliquote e basi imponibili, e dalle caratteristiche specifiche dell’’impresa: come si finanzia, quanti ammortamenti ha, quale è la sua forma societaria, quanti dipendenti e collaboratori assume e così via.
Per valutare la corretta applicazione delle imposte da parte di ciascuna di queste imprese, l’’Agenzia delle entrate dovrebbe conoscere ventisette diverse normative tributarie (redatte nelle lingue di ciascun paese), con la relativa regolamentazione secondaria, per quanto riguarda non solo la tassazione dell’’impresa, ma anche la tassazione dei dipendenti e collaboratori. La stessa conoscenza è ovviamente richiesta ai giudici che si trovino a dirimere il contenzioso tributario che dovesse sorgere.
Ma supponendo anche che questi ostacoli applicativi venissero superati, la nuova norma avrebbe importanti implicazioni in termini di violazione della concorrenza. Le imprese italiane, o quelle non europee che operano sul territorio nazionale, verrebbero esposte alla concorrenza di altre aziende che potrebbero godere di un regime fiscale sensibilmente più vantaggioso, per quanto riguarda sia la tassazione dei loro utili sia il costo del lavoro. Si tratterebbe di una violazione delle regole che l’’Unione Europea e l’’Ocse si sono date per evitare la “competizione fiscale dannosa” (dannosa in quanto mira ad attirare agenti economici di altri paesi con un trattamento preferenziale rispetto ai soggetti residenti).
Un altro profilo da considerare riguarda il fatto che i lavoratori italiani di un’’impresa multinazionale che ha scelto, ad esempio, il regime di tassazione estone, si troverebbero a pagare un’’imposta sui loro redditi da lavoro flat tax del 20 per cento, mentre quelli che lavorano per un’’impresa italiana resterebbero sottoposti all’’Irpef progressiva. Una disparità che difficilmente può essere considerata coerente con i principi costituzionali della capacità contributiva e dell’’uguaglianza davanti alla legge.
Un ulteriore problema si porrebbe poi in un contesto di federalismo fiscale: a quale quota del gettito prelevato su imprese e lavoratori secondo le regole tributarie di un altro paese europeo, e secondo quali criteri di ripartizione, avrebbero diritto le regioni e i comuni che perderebbero l’’addizionale Irpef regionale e comunale nonché l’’Irap (e forse anche l’’Ici sulle imprese) prevista dalla nostra normativa tributaria?
La relazione tecnica al provvedimento non aiuta certo a chiarire questi dubbi: la perdita di gettito è infatti quantificata, e per giunta in modo molto approssimativo, con riferimento alla sola Ires. Ma la norma citata non parla della sola imposta societaria bensì dell’’intera normativa tributaria dell’impresa nonché di quella relativa a dipendenti e collaboratori.

(1) La possibilità di variazioni in aumento è stata sospesa, a partire dal 2009, e fino all’’attuazione del federalismo fiscale, tranne che per le Regioni con disavanzi sanitari.

DUE ANNI DI GOVERNO: POLITICA DI BILANCIO

Nell’ultimo anno e mezzo la politica di bilancio si è svolta, in gran parte, al di fuori della sessione di bilancio (i tre mesi dedicati tradizionalmente dal Parlamento all’esame della legge Finanziaria) e mediante lo strumento della decretazione di urgenza. Tra novembre 2008 e marzo 2010 sono stati emanati ben sei decreti legge. Da tempo, anche in questi giorni, si parla molto di equilibrio dei poteri tra governo e Parlamento. I decreti legge spostano naturalmente l’equilibrio in una direzione favorevole al governo. Ma qui c’è qualcosa di più preoccupante: la frammentazione della politica di bilancio con una perdita di trasparenza delle scelte e dei risultati delle stesse sui conti pubblici, che rende molto difficile qualsiasi discussione informata sulla finanza pubblica.
I sei decreti legge, secondo le valutazioni ufficiali, hanno comportato minori entrate e maggiori spese per circa 16,6 miliardi di euro nel 2009 e 10 miliardi per ciascuno dei due anni successivi (2010 e 2011). A loro volta, questi importi sono stati coperti, sempre secondo le stime del governo, da variazioni di entrate e spese di segno opposto, in modo da lasciare pressoché invariati i saldi di bilancio (entrate meno spese finali).
Gli andamenti delle voci di bilancio appena ricordate testimoniano da un lato la volontà del governo di tenere ferma la barra sui conti pubblici, per non aumentare con misure discrezionali il disavanzo, dall’altro il desiderio di mostrare, con interventi ripetuti, il continuo impegno per fronteggiare la crisi.
Dalla breve “guida alla lettura” dei sei decreti legge emerge tuttavia che essi si caratterizzano per la loro frammentarietà, sia dal lato delle entrate, che da quello delle spese: si tratta di un insieme poco organico di micro-misure e di interventi parziali, dal bonus temporaneo alle famiglie povere, ai numerosi microincentivi attuati o con trasferimenti o con sconti fiscali, che disperdendosi in mille rivoli sembrano più adatti a massimizzare il numero dei potenziali beneficiari, che a fronteggiare davvero la difficile situazione economica. Nel caso delle entrate, l’intervento più consistente (3,7 miliardi) è la riduzione dell’acconto Irpef, che il governo stima ottimisticamente di recuperare integralmente con l’autotassazione di giungo-luglio 2010. La copertura delle minori entrate e delle maggiori spese è poi imputabile a entrate una tantum (per scudo fiscale e per imposte sostitutive sulle imprese, che si tradurranno in minori gettiti futuri) e a rimodulazioni e riduzione di altre spese, per incentivi, per le aree sottoutilizzate e per spese in conto capitale.
Nel complesso, aumentano sia le entrate che le spese, ovvero, a parità di saldo, il peso del settore pubblico. Nel 2009 l’aumento netto di entrate e spese attese dai provvedimenti governativi è di circa 5 miliardi di euro.
A fronte di questi interventi del governo, i conti pubblici 2009, resi noti a inizio marzo dall’Istat, e ripresi anche nell’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia, mostrano: un peggioramento del disavanzo, dal 2,7% al 5,7% del Pil (contro il 5,3% ancora previsto nell’ultima nota di aggiornamento al programma di stabilità del gennaio 2010); una crescita delle spese maggiore di quella discrezionalmente decisa dal governo con i provvedimenti ricordati; una riduzione, invece che un aumento, delle entrate. Questi andamenti per molti aspetti non sorprendono, in quanto il peggioramento dell’attività economica (il Pil è calato del 3% circa in termini monetari, nel 2009) si riflette automaticamente in un aumento del disavanzo, ad esempio, perché aumentano gli esborsi per la cassa integrazione e gli assegni di disoccupazione e si riducono le basi imponibili delle principali imposte. Tuttavia, l’andamento del ciclo economico non sembra in grado di spiegare integralmente, assieme agli effetti discrezionali di cui si è detto, l’andamento delle entrate e delle spese pubbliche effettivamente osservato nel 2009. Ad esempio, le imposte dirette che erano stimate in circa 238 miliardi di euro nella Relazione previsionale e programmatica di settembre 2009, e 234 miliardi nell’aggiornamento del programma di stabilità del gennaio 2010, risultano essere a consuntivo, secondo i dati Istat e Banca d’Italia, 223 miliardi circa.
Vedremo fra breve se la Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica, attesa per fine aprile, sarà in grado di chiarire meglio questi andamenti, distinguendo fra i reali effetti delle politiche di bilancio di questi primi due anni di legislatura, quelli automatici legati al ciclo economico e quelli eventualmente imputabili ad altri fattori, quali errori di previsione, andamento inerziale di alcune spese pubbliche e, non ultimo, un possibile aumento dell’evasione, come verificato anche in altri paesi a seguito della crisi.

 

Breve “guida alla lettura” dei sei decreti legge

Si ricordano solo le misure di maggiore entità. I decreti contengono anche una miriade di piccoli interventi che non è possibile elencare.
Gli effetti finanziari sono sintetizzati nella tabella.

Dl n. 185 del 25 novembre 2008 (convertito nella legge n. 2/2009)

Interventi: tra le spese, l’intervento più importante è il bonus famiglie, un sussidio una tantum alle famiglie più povere. Altri interventi di minore entità riguardano integrazioni al reddito in caso di disoccupazione, un contributo al pagamento delle rate dei mutui a tasso variabile, contributi agli investimenti delle Ferrovie. Vi sono poi nuovi stanziamenti per opere pubbliche su un orizzonte di quindici anni (700 milioni nel triennio 2009-2011). Tra gli sgravi fiscali, la deducibilità parziale dell’Irap dalla base imponibile Ires, la possibilità di versare l’Iva per cassa, la proroga della detassazione dei premi di produttività.
Coperture: maggiori entrate (imposte sostitutive sulle rivalutazioni dei valori contabili nei bilanci delle imprese, potenziamento ulteriore dell’attività di accertamento e riscossione, l’accelerazione del recupero dei crediti delle amministrazioni pubbliche e l’aumento dell’Iva sui servizi televisivi) e minori spese (essenzialmente la riduzione degli stanziamenti del Fondo aree sottoutilizzate).

Dl n. 5 del 10 febbraio 2009 (convertito nella legge n. 33/2009)

Interventi: proroga ed estensione di incentivi alla rottamazione e al rinnovo di veicoli a motore, con una spesa prevista per il 2009 di poco più di un miliardo.
Coperture: circa il 60 per cento della spesa per gli incentivi è compensata dal gettito Iva aggiuntivo dovuto all’incremento della domanda di veicoli. La parte restante è coperta dalla revoche delle agevolazioni della l. n. 488/1992 (contributi agli investimenti privati nelle aree depresse)

Dl n. 39 del 28 aprile 2009 (convertito nella legge n. 77/2009)

Interventi: per il terremoto in Abruzzo, con misure, tra minori entrate e maggiori spese, per 1,3 miliardi nel 2009 (in particolare, 580 milioni di risorse aggiuntive per la Protezione civile e 400 milioni per la realizzazione dei moduli abitativi)
Coperture: maggiori entrate (500 milioni dai giochi) e minori spese (420 milioni da risparmi nella spesa farmaceutica e 300 milioni dalla cancellazione di residui relativi al bonus famiglie).

Dl n. 78 del 1 luglio 2009 (convertito nella legge n. 102/2009)

Interventi: per il 2009, si tratta di nuovi interventi, quasi interamente di spesa, per 4,2 miliardi (tra i quali, il principale è la deroga al patto di stabilità interno per spese di investimento dei comuni, valutata in 2,3 miliardi; tra le altre misure, la proroga delle missioni di pace per 510 milioni). Per quanto riguarda le entrate, vi è la sospensione dei tributi e contributi in Abruzzo per 513 milioni.
Coperture: 1,5 miliardi di maggiori entrate (tra cui, concessioni licenze in materia di giochi per 500 milioni, regolarizzazione di collaboratori domestici per 280 milioni) e 2,7 miliardi di minori spese (in gran parte, per 2,3 miliardi, riduzioni di spesa in conto capitale del bilancio dello Stato).

Dl n. 168 del 23 novembre 2009 (lasciato decadere e confluito nel maxi-emendamento alla legge Finanziaria)

Interventi: differimento al 2010 del versamento di venti punti percentuali dell’acconto Irpef dovuto a novembre 2009 (3,7 miliardi)
Coperture: introiti dello scudo fiscale.

Dl n. 40 del 25 marzo 2010

Interventi: incentivi per il sostegno della domanda (275 milioni nel 2010)
Coperture: entrate derivanti da misure di contrasto delle frodi fiscali nazionali e internazionali.

TABELLA

La politica di bilancio fuori dalla sessione di bilancio da novembre 2008 a marzo 2010
(milioni di euro)

  2009 2010 2011
Dl 185 del 29 novembre 2008 (l. 2/2009)      
Interventi 6.401 3.904 4.759
Coperture 6.433 4.097 4.943
       
Dl 5 del 10 febbraio 2009 (l. 33/2009)      
Interventi 1.108 320 369
Coperture 1.108 320 369
       
Dl 39 del 28 aprile 2009 (l. 77/2009)      
Interventi 1.253 1.004 701
Coperture 1.264 1.018 740
       
Dl 78 del 1 luglio 2009 (l. 102/2009)      
Interventi 4.156 4.668 4.136
Coperture 4.163 4.760 4.236
       
Dl 168 del 23 novembre 2009      
Interventi 3.716    
Coperture 3.800    
       
Dl 40 del 25 marzo 2010      
Interventi   291 112
Coperture   314 342
       
TOTALE      
Totale Interventi 16.634 10.188 10.076
di cui: Minori entrate 6.382 3.974 5.203
            Maggiori spese 10.252 6.214 4.873
Totale Coperture 16.768 10.508 10.630
di cui: Maggiori entrate 11.662 6.878 6.355
           Minori spese 5.106 3.631 4.275

Fonte: Elaborazione su documenti ufficiali.

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