Nel 1992, di fronte alle degenerazioni di Tangentopoli e per evitare la catastrofe economica di un ingente disavanzo pubblico, il governo Amato ha ottenuto dal Parlamento la delega per realizzare quattro riforme, nei settori ritenuti (allora come oggi) causa del disavanzo: previdenza, sanità, finanza locale, pubblica amministrazione.

Il ruolo dei nuclei di valutazione

La riforma della Pa è stata fondata su un principio forte: riservare agli organi politici le funzioni di indirizzo e di controllo e affidare alle strutture operative la gestione delle risorse, l’organizzazione delle attività e la responsabilità dei risultati.
Sono state introdotte, per il personale, consistenti incentivazioni economiche, ancorate, però, a metodiche di garanzia, ricomprese nel sistema dei controlli. La distribuzione degli incentivi è stata correlata a specifici sistemi di valutazione da negoziare con le organizzazioni sindacali. Per elaborare i criteri e applicarli al personale dipendente, il decreto legislativo 286/99 ha previsto la costituzione di appositi nuclei di valutazione.
L’esperienza maturata consente di affermare che i nuclei di valutazione possono svolgere questo ruolo in maniera coerente con gli scopi della riforma solo se hanno libertà di operare in maniera indipendente, come soggetti terzi tra gli organi politici e le strutture operative; non subiscono interferenze o condizionamenti da parte degli organi politici e, quindi, se vengono nominati con procedure pubbliche trasparenti; e se di essi non fanno parte dipendenti dell’ente pubblico, per evitare l’anomalia del valutato-valutatore.
Nella pratica avviene che le nomine siano spesso di tipo discrezionale, nello spirito dello spoils system; che il direttore generale o dirigenti dell’ente locale vengano cooptati nel nucleo; che gli organi politici esorbitino dalle funzioni di indirizzo per condizionare aspetti gestionali di competenza della dirigenza tecnica e che le disfunzioni dei servizi operativi dipendano spesso da criticità di sistema, non adeguatamente risolte a monte dagli organi politici.
Non sarà male, allora, riflettere che la produttività da misurare non è solo quella del pubblico impiego, ma quella complessiva dell’ente pubblico e che, quando si parla di pubblica amministrazione bisogna riferirsi all’insieme strutturale “organi politici + strutture operative”.
Il progetto di legge per la costituzione dell’Autorità sul pubblico impiego dovrebbe garantire perciò che i nuclei di valutazione, nel valutare il rendimento dei dipendenti, siano tenuti anche a indicare le disfunzioni di sistema attribuibili a monte agli organi politici, e che tali segnalazioni vengano doverosamente rivolte ai soggetti politici, perché provvedano a mettervi rimedio, ma raggiungano anche l’Autorità, la pubblica opinione locale e quanti sulla Pa studiano e ricercano.

I rapporti con gli enti locali

Un secondo punto su cui riflettere è come riuscire a trasferire a livello degli enti pubblici territoriali i principi del progetto di legge, senza suscitare reazioni. Pur essendo semanticamente corretto scrivere che gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni della legge delega e dei decreti legislativi, il termine “disposizioni” suscita il sospetto di dover riproporre modalità operative decise centralmente. Forse sarebbe meglio dire che essi debbono adeguare i propri ordinamenti “ai principi e alle finalità” della legge delega. La verifica di attuazione va condotta sull’elemento sostanziale del conseguimento dello scopo voluto dalla legge, più che sui modi di come farlo.
Le indicazioni di principio del Dlgs 286/99 non hanno prodotto risultati sempre in linea con le finalità che si vogliono perseguire. Ecco allora la necessità di far assurgere a principio della legge delega l’affermazione che per assicurare la terzietà e l’autonomia dei nuclei di valutazione, la loro costituzione va garantita con procedure pubbliche trasparenti e la loro composizione non può prevedere la presenza di soggetti politici o di personale dell’ente locale in cui il nucleo deve operare. Si tratta di due condizioni oggettive che è possibile verificare in concreto.
Quanto alle attività d’iniziativa dell’Autorità, di cui alle lettere f) e seguenti dell’articolo 2, si ha motivo di ritenere che la sola struttura centrale possa essere insufficiente per una mole così ampia di compiti. Per questo va valutata la possibilità di porre a supporto dell’Autorità, presso le prefetture, una rete di piccoli comitati di esperti locali che mantengano, nell’ambito provinciale, rapporti di collaborazione con i nuclei già costituiti; che svolgano funzioni di promozione e di supporto agli enti pubblici che ne sono sprovvisti e che operino da collettori delle informazioni necessarie all’Autorità centrale.

Il caso delle Asl

Il terzo punto di riflessione riguarda la particolare situazione delle aziende sanitarie locali. In quanto strutture aziendali sanitarie esse debbono applicare la riforma sanitaria del 1992 (decreto legislativo 502/92) e successivi aggiornamenti. In quanto strutture pubbliche esse sono tenute ad applicare la riforma della Pa del 1993 (Dlgs 29/93) e successivi aggiornamenti.
In base alla riforma sanitaria, le Asl ricevono gli indirizzi da un organo politico locale costituito dalla “Conferenza dei sindaci” (quando la Asl è sovracomunale), dal sindaco o dall’organo circoscrizionale (quando l’Asl è comunale o intracomunale). Infatti, sono questi organi politici che, in forza della legittimazione elettorale, hanno titolarità per esprimere i bisogni delle popolazioni amministrate. Ed è a essi che le Asl sono tenute annualmente a riferire, in pubbliche conferenze di servizio, sulle attività svolte e sui risultati conseguiti (articolo 14 Dlgs 502/92).
In quanto enti pubblici, le Asl debbono, però, conformarsi anche al sistema dei controlli di cui al Dlgs 286/99, comprensivo della attivazione di specifici nuclei di valutazione.
anomalia è che nella pratica i nuclei di valutazione delle Asl rispondono al direttore generale o riferiscono direttamente alla Regione. Nel primo caso si vulnera il principio che il direttore generale, essendo esso stesso soggetto di valutazione, non può rivestire contemporaneamente il ruolo di valutatore finale. Nel secondo caso, oltre a potenziarsi il neocentralismo regionale, si verifica l’anomalia che un soggetto di programmazione, quale è la Regione, svolge in concreto funzioni di gestione, esautorando i legittimi organi politici locali.
Occorre fare esplicita menzione nella legge delega di questa peculiarità delle Asl, per poter correggere le anomalie che ne derivano nei decreti legislativi di attuazione.