Lavoce.info

Autore: Pietro Garibaldi Pagina 5 di 12

garibaldi Professore ordinario di Economia Politica presso l'Università di Torino, è Fellow e direttore del Programma Allievi della Fondazione Collegio Carlo Alberto e responsabile degli studi sul lavoro della Fondazione Debenedetti. È consigliere di sorveglianza (ed ex-vicepresidente) di Intesa SanPaolo. È stato Consigliere economico del Ministro dell'Economia e della Finanze nel 2004 e 2005, e consulente in materia di lavoro per il Dipartimento del Tesoro. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la London School of Economics nel 1996. Dal 1996 al 1999 ha lavorato come economista nel dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale, ed è stato professore associato presso l'Università Bocconi dal 2000 al 2004. Redattore de lavoce.info.

TUTTI I VANTAGGI DEL CONTRATTO UNICO

E’ stato presentato in Senato un disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, che riprende una nostra proposta: l’istituzione di un contratto unico a tutele progressive. E’ un modo per conciliare la flessibilità in ingresso richiesta dalle imprese con le esigenze di stabilità dei lavoratori. Si tratta di una riforma non più rinviabile. Per rendere più proficua la discussione riassumiamo qui i tratti distintivi del Ddl.

RIDURRE IL POTERE DEI SIGNORI DELLA SANITÀ

I vari scandali legati al sistema sanitario nazionale e in particolare al sistema di accreditamento al sistema pubblico di strutture ospedalieri private, rendono necessarie alcune riflessioni sul funzionamento della sanità privata convenzionata.
Nel sistema in vigore l’accreditamento avviene a livello di clinica o di struttura ospedaliera privata. In sostanza, se una struttura privata è stata accreditata dal sistema sanitario nazionale, il paziente può essere curato in quella sede senza alcun costo, ad eccezione dei relativi ticket sanitari. La struttura accreditata avrà poi diritto a essere rimborsata dalla Regione in base a parametri e accordi prestabiliti. Il grande beneficio del sistema oggi in vigore è la riduzione delle liste di attesa. Un’operazione al ginocchio o alla spalla può oggi essere effettuata in una qualunque delle strutture convenzionate, senza dover aspettare le interminabili liste di attesa degli anni novanta. Ripensando allo psicodramma da lista di attesa, il sistema dell’accreditamento, dove è stato utilizzato di più, ha certamente consentito miglioramenti innegabili.
Al di là dei benefici descritti, i rischi del sistema convenzionato sono oggi evidenti. In una struttura privata convenzionata i rimborsi vengono fatti rigorosamente in funzione degli interventi somministrati. Maggiori gli interventi somministrati, maggiori i rimborsi di cui godrà la struttura e maggiori gli utili per i proprietari della clinica privata. In un sistema di questo tipo la pressione a aumentare il numero di interventi e il relativo fatturato è enorme. I manager di queste strutture hanno chiari incentivi affinché il numero di interventi somministrati nella propria struttura cresca ogni anno. Frasi del tipo “dottore siamo indietro con le protesi” sembrano purtroppo assai comuni nei colloqui tra manager e medici che operano delle strutture convenzionate. In questo sistema, il rischio di un interventismo eccessivo è davvero reale, con drammatiche conseguenze sia sui pazienti sia sui costi del sistema.
Simili rischi si corrono anche in relazione alla qualità delle apparecchiature mediche e di diagnostica utilizzate. Il sistema sanitario riconosce un dato rimborso per ciascun intervento, senza avere pieno controllo sulla qualità degli strumenti utilizzati. E’ quindi evidente che i manager della sanità avranno interessi a minimizzare i costi dei materiali usati. Anche in questo caso chi rischia di pagarne le conseguenze sarà il paziente.
Anche se non avrebbe senso tornare a un sistema totalmente pubblico, correttivi al sistema in essere sono comunque necessari. Occorre ridurre lo strapotere dei pochi signori delle case di cure. Una possibilità sarebbe quella di riconoscere il rimborso delle operazioni chirurgiche effettuate direttamente ai medici piuttosto che alle case di cure. In altre parole le unità da accreditare per le operazioni dovrebbero essere i medici e non più le case di cura. In un sistema di questo tipo, diversi medici potrebbero scegliere tra diverse strutture, in modo da ridurre il potere oligopolistico dei manager privati della sanità. Lo Stato, le Regioni e il Ministero del Welfare dovrebbero comunque controllare che gli standard qualitativi e igienici in ciascuna struttura privata siano rispettati. Infine, sarebbe comunque necessario controllare, almeno in via campionaria, che gli interventi chirurgici richiesti dai singoli medici siano davvero necessari.  Commissioni esterne, con medici provenienti da altre regioni o da altri paesi, dovranno controllare su base periodica le cartelle cliniche e le richieste di intervento. In questo sistema le case di cure sarebbero in competizione per attrarre i medici migliori. Certamente alcuni medici si arricchiranno più di altri, ma si ridurrà quel sistema oligarchico composto da “signori della sanità” e politici in cerca di favori.
Con il progressivo invecchiamento della popolazione, la gestione della sanità sarà sempre più importante e più complessa. Il sistema del futuro dovrà necessariamente basarsi su un misto pubblico e privato. Riducendo il potere delle case di cura si farà un passo avanti. Si ridurrà la discrezionalità dei politici nel scegliere le strutture convenzionate e si ridurrà il potere dei signori della sanità. Le difficoltà amministrative non mancheranno. Nel caso delle operazioni chirurgiche la proposta di mettere i medici al centro dei rimborsi sembra facilmente realizzabile, mentre sarebbe più complessa per quel che riguarda gli esami diagnostici. Certamente non si risolverà definitivamente il problema della sanità, ma quasi certamente si ridurrà il rischio di strani ed ambigui incontri, con tanto di borse piene di denaro, tra politici e manager della sanità.

Il PATTO STUPIDO E LA PROSSIMA MANOVRA TRIENNALE

La Commissione Europea ha aperto una procedura per disavanzo eccessivo contro l’Italia. Certo, siamo in buona compagnia: sono venti gli Stati membri che non hanno rispettato le regole comunitarie sul bilancio. Ma il nostro caso nasconde un doppio paradosso. Imputabile essenzialmente al fatto che la manovra triennale avviata nel 2008 è stata particolarmente attenta a vincoli europei ormai del tutto anacronistici di fronte alla crisi. Senza affrontare i problemi strutturali del paese. Intanto, neanche i conti pubblici sono a posto. La vera manovra triennale sarà la prossima?

POSTI DI LAVORO PERDUTI: ABBIAMO TOCCATO IL FONDO?

Dobbiamo ancora una volta ringraziare gli immigrati. Il vistoso calo dell’occupazione italiana nel secondo trimestre del 2009, pari a 378 mila posti di lavoro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, sarebbe stato davvero drammatico senza il contributo positivo derivante dalla popolazione straniera. Leggendo con attenzione il comunicato dell’Istat, scopriamo che sono andati distrutti su base annua 562.300 mila posti di lavoro occupati da cittadini nati in Italia: un’ enormità. Tuttavia, grazie all’incremento di 184 mila posti di lavoro occupati da lavoratori stranieri, è possibile sostenere che la caduta occupazionale, pari all’1,4 percento, è preoccupante ma non drammatica.
Il calo dell’occupazione del secondo trimestre del 2009 ha poi colpito innanzitutto i lavoratori precari. Non poteva essere altrimenti, anche perchè per interrompere un posto di lavoro a termine non è necessario passare attraverso il licenziamento, in quanto è sufficiente non rinnovare il contratto alla scadenza. I lavoratori dipendenti a termine, una categoria relativamente fortunata all’interno dell’universo dei precari, è diminuita su base annua di 222 mila unità. In rapporto al totale degli occupati, i dipendenti a termini scendono così dal 14 al 12,8 percento. In aggiunta, va ricordato il vistoso calo dei lavoratori autonomi (210 mila posti su base annua), una categoria molto eterogenea all’interno della quale troviamo diverse figure di lavoratori parasubordinati, e in particolare i lavoratori a progetto.
Il tasso di disoccupazione sale al 7,4 percento, rispetto al 6,8 dello scorso anno. L’unica speranza è che questi dati, riferiti al periodo marzo giugno 2009, riflettano il momento peggiore della grande recessione. I dati del terzo trimestre, che saranno però disponibili soltanto a dicembre, potrebbero forse essere lievemente migliori, anche se durante una recessione il recupero dell’occupazione avviene sempre dopo il recupero della produzione.
Infine, ci auguriamo che con la nuova Presidenza dell’Istat riusciremo ad avere una pubblicazione dei dati sulle forze lavoro a frequenza mensile, come avviene nella maggior parte delle economie avanzate.

SALARI, UTILI E PRODUTTIVITÀ

Torna in auge la partecipazione agli utili. Mentre per i manager una retribuzione collegata agli utili appare ragionevole, per i lavoratori di livello inferiore è molto meglio legarla alla produttività o a variabili che dipendono direttamente dal loro comportamento sul lavoro. In estate si è cominciato a parlare seriamente di decentramento contrattuale e di legame tra salario e produttività, con importanti aperture di tutti i sindacati. Ora la proposta governativa di partecipazione agli utili rischia di creare solo confusione.

ASPETTANDO LA PRIMA DECISIONE DI FINANZA PUBBLICA

Nonostante la crisi peggiore del Dopoguerra, questo governo non ha preso finora decisioni di finanza pubblica. Se consideriamo i saldi netti, vediamo che il Dpef certifica che non ci sarà alcuna manovra per rilanciare l’economia o per migliorare i conti pubblici nel 2010. Ma ancor di più preoccupa l’assenza di una impronta riformatrice dell’esecutivo. Istruttivo in proposito il caso delle pensioni. Intanto, i conti vanno male. E la necessità di controllare la spesa pubblica dovrebbe essere una priorità. Non ci resta che sperare nella prima Decisione di Finanza Pubblica.

MINISTRO MELONI BATTA UN COLPO!

Se con la recessione in giro per il mondo è un brutto momento per tutti, in Italia sembra essere un momento tragico più che altro per i giovani. La disoccupazione giovanile è aumentata dal 18 al 25 per cento e circa 400 mila precari, quasi tutti giovani, hanno perso un lavoro nel primo trimestre del 2009 rispetto al primo trimestre del 2008. La rilevazione trimestrale delle forze lavoro sembra un vero bollettino di guerra per i lavoratori atipici: sono andati distrutti 150 mila lavori a termine, 100 mila collaboratori e 150 mila lavoratori autonomi, tra i quali vi sono diverse partite IVA “parasubordinate” che forniscono le loro prestazioni a un solo committente. Il lavoro a tempo indeterminato, protetto dalla cassa integrazione, è invece aumentato. Se non fosse grazie all’occupazione straniera, che ha registrato una nuova crescita, l’occupazione italiana sarebbe addirittura diminuita di 426 mila unità. Dei 400 mila lavoratori precari che hanno perso lavoro, al massimo uno su tre ha accesso al sussidio di disoccupazione ordinario. Questi giovani sono stati beffati due volte. Hanno avuto un lavoro decisamente meno protetto di quello dei loro padri e, una volta disoccupati,  vengono completamente abbandonati dallo Stato. In modo quasi provocatorio, il Ministro Sacconi ha ieri annunciato di voler creare un bonus da destinare a quelle imprese che assumono lavoratori in cassa integrazione. Come se i 400 mila precari neodisoccupati non esistessero e non fossero il vero problema emerso dalla rilevazione trimestrale dell’Istat.  Sindacati e Confindustria annuiscono. Giorgia Meloni, titolare del dicastero per i giovani, almeno lei batta un colpo!

LA PRECARIA INDAGINE SUI PRECARI

L’Italia è uno dei pochissimi paesi europei in cui non sono ancora disponibili dati sull’occupazione e la disoccupazione nel 2009. Questi dati vengono raccolti sulla base di rilevazioni continue, il che significa che, ad esempio, anche oggi sono in corso rilevazioni. Poi i dati vengono centralizzati, si svolgono una serie di controlli di coerenza e poi vengono elaborati. Tutto questo richiede circa tre mesi. Ciò non impedisce dunque a un istituto di statistica di pubblicare ad aprile i dati di gennaio, a maggio quelli di febbraio e così via. Da noi, invece, si aspetta la fine di ogni trimestre per rendere pubblici i dati, il che significa che solo a fine giugno sapremo cosa è accaduto nei primi mesi del 2009. Questo è un fatto molto grave perché impone alla politica economica (e al dibattito pubblico) di operare al buio. Soprattutto in una fase di crisi come quella che stiamo vivendo, questo ritardo è molto costoso. Impedisce, ad esempio, di capire cosa sta succedendo ai lavoratori precari. Quanti di loro hanno già perso il posto di lavoro nella recessione.
Perché in Italia non si pubblicano dati mensili su occupazione e disoccupazione basati sull’indagine sulle forze lavoro? Il problema è che per svolgere un’indagine che interessa i lavoratori precari l’Istat si è dotato di una rete di … precari. Si tratta infatti di circa 320 rilevatori che operano sul territorio con tecniche CAPI (computer assisted personal interviews). Questi rilevatori hanno una tipologia contrattuale – co.co.co. – che la Funzione Pubblica già nel 2005 dichiarò illegittima, intimando all’Istat di cambiarla. Da allora, di anno in anno e di emendamento in emendamento, la rete sopravvive in regime di deroga e in attesa di una "soluzione definitiva". L’ultimo decreto milleproroghe ha concesso l’ennesima proroga ma solo fino al 30 giugno di quest’anno. Nell’attesa di vedere cosa succederà ai rilevatori, l’Istat ha così deciso di rimandare i piani di pubblicazione di dati mensili sulle forze lavoro, lasciando tutto in sospeso.
Ma c’è un rischio ancora peggiore. Nel caso in cui la Funzione Pubblica decidesse di non concedere più la solita proroga, l’Istat potrebbe condurre tutte le interviste senza rilevatori sparsi sul territorio. In altre parole, l’indagine verrà svolta solo per via telefonica. Questo significa ottenere stime distorte e incoerenti con quelle degli anni precedenti, con ripercussioni anche sulla stima del PIL, per la quale l’occupazione stimata a partire dall’indagine forze lavoro rappresenta un asse portante.
Per capire gli effetti di questa scelta, basta ricordare come si svolge oggi l’indagine. Questa prevede quattro interviste per ogni famiglia a cadenze prestabilite. La prima intervista viene effettuata da un rilevatore professionista presso l’abitazione della famiglia con tecnica face to face (CAPI). Quelle successive sono svolte telefonicamente da una società specializzata, tranne che nel caso di famiglie senza telefono o con intestatario straniero. In questi casi, sono gli stessi rilevatori della prima intervista a visitare nuovamente la famiglia. Se tutto dovesse svolgersi con il metodo CATI si rischia di avere una bassa qualità della prima intervista e di non raggiungere le famiglie senza numero di telefono. Inoltre, il metodo CAPI è fondamentale quando si ha a che vedere con famiglie di immigrati, che non parlano bene la nostra lingua.

UN ANNO DI GOVERNO: LAVORO

 

I PROVVEDIMENTI

In materia di lavoro, il provvedimento principale del governo è stata un’estensione del principio della deroga degli ammortizzatori sociali. Attraverso gli ammortizzatori in deroga, il governo individua di volta in volta i settori, i lavoratori e le imprese che possono accedere alle indennità. Le deroghe saranno finanziate per un ammontare stimato dal governo fino a 8 miliardi di euro in due anni, da recuperare da un accordo con le Regioni concluso nei primi mesi dell’anno.
È stata anche introdotta una forma di ammortizzatori sociali per i lavoratori a progetto mono-committenti, quei lavoratori che hanno un solo datore di lavoro. L’ammortizzatore corrisponde a non più del venti per cento della loro retribuzione con un massimale pari a 2.600 euro.
Il governo ha detassato gli straordinari nel maggio del 2008 (per poi cancellare la norma qualche mese dopo) e si è impegnato a detassare gli incrementi di salario legati a incrementi di produttività nell’ambito dell’accordo sulla riforma del modello contrattuale. L’accordo è opera delle parti sociali e non del governo. 

GLI EFFETTI

Èmolto difficile stimare gli effetti degli ammortizzatori sociali in deroga, anche perché sono uno strumento largamente discrezionale. In aggiunta, ciascuna Regione dovrà attuare gli accordi attraverso apposite leggi regionali. Si sente parlare spesso della possibilità di usare, da parte delle Regioni interessate, i fondi sociali europei per finanziare gli ammortizzatori in deroga, ma in molti casi i provvedimenti legislativi regionali non sono ancora stati definiti.  
La detassazione degli straordinari è una misura durata troppo poco per avere effetti significativi. Una indagine di Banca d’Italia segnalava il rischio di riduzioni nelle assunzioni proprio mentre esplodeva la crisi. Anche da qui la decisione di annullare il provvedimento. 
La detassazione dei premi di produttività, per diventare pienamente esecutiva, dovrà aspettare i rinnovi contrattuali, dove peraltro vi è il problema della mancata sottoscrizione del nuovo modello contrattuale da parte della Cgil.

OCCASIONI MANCATE

Il governo non ha introdotto un sussidio unico per tutti i lavoratori precari e non ha affrontato la questione del contratto unico di lavoro, nonostante le aperture della Confindustria e, ultimamente, anche di importanti esponenti della Cgil.

LE CONSEGUENZE DELL’IMMOBILISMO

Finalmente abbiamo la Relazione unificata sull’economia e la finanza. Era un documento atteso e importante per capire come è evoluta la strategia di politica economica del governo dopo l’aggravarsi della crisi e per avere un quadro più preciso sullo stato dei conti pubblici. Certifica le conseguenze dell’immobilismo di fronte alla crisi. La spesa pubblica aumenta accentuando il suo squilibrio a favore di pensioni e dipendenti pubblici, mentre disavanzo e debito peggiorano in modo consistente. E le stime potrebbero essere troppo ottimistiche sul lato delle entrate.

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