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Autore: Nicola Persico Pagina 3 di 5

persico Ha ottenuto il PhD. in Economics alla Northwestern University. Ha insegnato alla University of California Los Angeles (UCLA), alla University of Pennsylvania, e alla New York University, prima di ritornare alla Northwestern University nella Kellogg School of Business. E' Research Associate per il National Bureau of Economic Research (NBER) e Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto. Ha pubblicato numerosi articoli presso le maggiori riviste scientifiche internazionali. I suoi interessi scientifici riguardano la Political Economy (l'economia della politica), Legge ed Economia, Criminologia, e la teoria economica. E' stato redattore de lavoce.info dal 2009 al 2015.

MULTITASKING NELLA GIUSTIZIA

Fare troppe cose insieme non è produttivo. Anche per i giudici, che si trovano spesso ad affrontare contemporaneamente centinaia di cause. Una sperimentazione condotta presso la Corte di appello sezione lavoro di Roma mostra che se il magistrato si concentra su un numero molto minore di controversie si ottengono netti miglioramenti, con circa il 20 per cento in più di casi esauriti al mese rispetto ai collegi non sperimentali. È un risultato importante: per le aziende e i lavoratori significa una più veloce definizione dei procedimenti. E per lo Stato risparmi sui risarcimenti.

SCELTE POCO STRATEGICHE

L’iscrizione a una facoltà universitaria avviene spesso senza guardare avanti, al futuro lavoro che si andrà a svolgere. Ed è per questo che molti italiani rimpiangono le decisioni prese passato, perché le loro mansioni lavorative non corrispondono alle competenze acquisite negli studi. È possibile evitare o comunque ridurre il rischio di una scelta universitaria deludente e i successivi pentimenti? Forse, le famiglie dovrebbero iniziare a discuterne presto, al momento di decidere quale scuola  superiore far frequentare ai propri figli.

PERCHÉ NON RICORRERE ALL’ARBITRATO?

La riforma del lavoro in Italia dovrebbe rispondere anche al desiderio delle imprese di limitare la dimensione giudiziaria del contenzioso sul lavoro. Negli Stati Uniti molte aziende risolvono la questione stabilendo già al momento dell’assunzione che in caso di controversie il lavoratore  ricorrerà all’arbitrato e non al giudice. Una soluzione che comporta alcuni benefici, come mostra uno studio sull’esperienza di una grande società. E, pur con le cautele del caso, suggerisce una riflessione più ampia sulla regolamentazione dell’arbitrato nel nostro diritto del lavoro.

IL GIUDICE E LE SUE STATISTICHE

Studiare l’eterogeneità nelle decisioni giudiziarie è importante oltreché legittimo. Ma i dati statistici sui quali si fonda il ragionamento devono essere completi e interpretati con attenzione. Soprattutto quando si tratta di questioni delicate come l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una certa differenza nelle decisioni dei magistrati su uno stesso argomento è inevitabile, e anche opportuna, perché riflette diverse interpretazioni della legge. E la giurisprudenza deve essere plastica ed evolversi nel tempo, per adattarsi ai mutamenti nella società.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Cari Lettori,

Grazie di avere commentato così numerosi il mio articolo sulla scelta della facoltà universitaria. Rispondo brevemente, e in maniera collettiva, per ragioni di tempo e spazio.
Il titolo e il riassunto iniziale —che non ho scelto: è responsabilità degli editori— suggeriscono impropriamente che l’articolo riguardi la crescita dell’Italia. Non era questo il mio intendimento. L’articolo era diretto al singolo individuo e riguardava l’opportunità economica per questo individuo di scegliere una facoltà universitaria piuttosto che un’altra. Gli effetti sociali delle singole scelte non erano il tema di questo articolo. In particolare, non credo che semplicemente cambiando la distribuzione delle facoltà universitarie scelte dalla popolazione si risolverebbe il problema della crescita. Mi dispiace del fraintendimento.
Il paragone con Singapore ha forse contribuito a questo fraintendimento. La mia intenzione non era di suggerire che l’Italia debba diventare tale e quale a Singapore in ogni suo aspetto. Il punto era solo di mostrare che ci sono società avanzate e di successo che hanno una allocazione dei talenti molto diversa da quella italiana. E che, per queste società, il capitale umano è la base del modello economico. Questo mi sembra un punto importante. E’ interessante anche comparare con modelli diversi. Gli Stati Uniti, dal punto di vista di scelta delle materie all’università, assomigliano più all’Italia umanistica che al Singapore tecnico. Di conseguenza gli USA producono pochi cervelli “autoctoni” in materie tecniche, e devono importarne dall’estero.
Alcuni lettori hanno forse interpretato l’articolo come una mancanza di rispetto nei confronti della cultura umanistica. Nulla di più lontano dalle mie intenzioni. Sono un appassionato dell’arte, della musica, ecc. E ritengo che le arti e le scienze umane e sociali siano un patrimonio importantissimo. Soltanto osservo che si può apprezzare la cultura senza farne una professione. Si può anche farne una professione, beninteso, ed è importante che qualcuno lo faccia. La questione è: quanti, in percentuale.
Alcuni lettori rivendicano il patrimonio culturale Italiano “che tutto il mondo ci invidia” a sostegno della tesi che va bene laurearsi in discipline umanistiche. Sono d’accordo che il turismo sia una risorsa importante per l’Italia. Non ne segue necessariamente che laurearsi in discipline umanistiche sia una scelta di carriera vincente (in media).
Un aspetto importante che non ho toccato nell’articolo è la vendibilità all’estero di un profilo professionale. Mi pare che discipline scientifiche ed economiche siano più trasportabili, in media, e quindi offrano un ulteriore vantaggio rispetto a discipline meno trasportabili (legge, per fare un esempio). Un lavoro all’estero, sebbene dal punto di vista dell’Italia sia una perdita (abbiamo speso soldi per istruire una persona che poi non produce in Italia), dal punto di vista individuale è spesso un ottimo lavoro.

Grazie dell’attenzione.

RICETTE PER LA CRESCITA: PIÙ INGEGNERI E MENO FILOSOFI

La mancanza di sbocchi lavorativi per i laureati italiani è un problema serio. Tuttavia, a renderlo ancora più grave contribuiscono le scelte dei giovani, che spesso si orientano verso le facoltà umanistiche tralasciando quelle scientifiche o manageriali. Dovremmo invece seguire l’esempio di Singapore, un paese che non ha risorse naturali, ma che negli ultimi anni è cresciuto più dell’Italia. Perché ha investito nel capitale umano dei suoi giovani e oggi produce, in proporzione, il doppio dei nostri ingegneri e manager, un ottavo dei nostri avvocati e un quarto dei nostri umanisti.

PERCHÉ L’ITALIA VA FUORI GARA

La produzione di una innovazione richiede il mettere assieme gli input di due o più persone.  Una ha i soldi ma non ha idee, un’altra ha un’idea innovativa ma non ha soldi. Ed è fondamentale la sicurezza del rapporto contrattuale. Passiamo in rassegna tre modelli differenti di successo: gli Stati Uniti, il Giappone, e la Germania. Com’è invece messa l’Italia? Male sotto ogni aspetto: capitale umano, facilità di finanziamento, sistema giuridico inefficiente. È anche per questo che il paese non cresce.

NON TUTTI I DEFAULT SONO UGUALI

È sbagliato mettere sullo stesso piano i rischi di una crisi del debito per l’Italia e il probabile sforamento del tetto del debito pubblico negli Stati Uniti. La nostra è una crisi reale, quello americano è un problema legal-contabile, risolvibile con escamotage temporanei. E infatti il tasso d’interesse a cui una banca americana può chiedere soldi in prestito non è aumentato negli ultimi giorni. Se ne parla tanto perché la spesa pubblica sarà un tema cruciale delle prossime elezioni presidenziali Usa.

L’amaro midterm di Obama

Barack Obama l’ha definita una batosta. Certamente sulla sconfitta dei democratici alle elezioni di metà mandato hanno contribuito molti fattori, oggettivi e soggettivi. Tra i primi, la disoccupazione alta e una ricchezza delle famiglie che continua a scendere. Oltre naturalmente alle guerre in Iraq e Afghanistan. Ma gli elettori sono delusi anche per la riforma sanitaria e per il sostegno al settore finanziario e automobilistico. Poche speranze di successo per la politica di collaborazione con i repubblicani che il presidente cerca ora di avviare.

 

L’emozione del voto

Uno studio documenta cosa succede quando si dà alla gente la possibilità di manifestare apertamente le proprie emozioni al termine di una contrattazione: persegue il proprio interesse in maniera più efficace. Lo stesso sistema potrebbe essere applicato alle elezioni politiche. Prevedendo per l’elettore la possibilità di esprimere un giudizio sul candidato cui si accinge a dare la preferenza. Gli si permetterebbe così di separare le scelte politiche dalle emozioni. E forse, si ridurrebbero voto di protesta e astensionismo.

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