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Autore: Maurizio Maggini Pagina 1 di 5

BATTERE LA CONCORRENZA


Disse il padre, caro figlio

ti vorrei dar un consiglio,

tu che studi alla Bocconi

di mercati, euro e gestioni.

 

Io l’azienda che ti lascio,

temo vada a catafascio,

che all’italico sistema

l’intrapresa par non prema.

 

Fan di tutto gli Italiani,

per non battere le mani,

a chi i  posti di lavoro

va creandoli per loro.

 

Siamo noi a competizione

col cinese ed il teutone,

ma la vera  concorrenza

è del credito l’assenza.

 

Il profitto più no’ investo,

che dal Fisco mi vien chiesto,

non rinnovo il macchinario,

che pagar devo l’Erario.

 

Io competo co’ tributi,

l’Inps, l’Imu,  gl’ insoluti,

e a  incassare il fatturato

mesi aspetto dallo Stato.

 

I più duri concorrenti

so’ i burocrati degli Enti

che non hanno perso il vizio 

di fornirmi il disservizio.

 

Stan le vendite in affanno,

ma i miei costi non lo sanno,

io pugnar devo nel mondo,

pur se quasi moribondo.

 

Giungerò alla primavera?

Forse il Passera lo spera,

ma se pria rovino e  schianto

da Fornero  ho solo un pianto.

 

Dunque figlio te lo dico,

dall’ azienda io  ti disdico:

fai la tesi col Polo o con Boero,

poi il concorso al ministero.

Rigore e crescita!?

Lunga e dura è la scalata

che al PIL dobbiamo fare:

le giornate sono amare,

Monti monta di giornata.

 

Dice siamo improduttivi,

la pension va ritardata,

tutta Italia riformata,

per riuscir competitivi.

 

Mentrel’IVA s’incrementa,

il gasolio ancora sale,

con la base catastale,

ecco l’IMU che ci addenta.

 

Son più care le carote

le bollette più salate,

fare il pieno quest’estate,

lascerà le tasche vuote.

 

Pure in banca che salasso

spese, tasse e commissioni

nulla fruttano i milioni,

meglio i soldi in materasso.

 

Ma ora crescita s’aspetta,

finalmente anche al precario

verrà dato un buon salario,

con del Passera ricetta.

 

Sarà l’Aquila costrutta,

i foresti investimenti

soffieranno come i venti,

sull’Italia men corrutta.

 

Ed il debito pregresso,

senz’articolo diciotto,

ch’era ormai tabù decotto,

lo vedrem tagliato e flesso.

 

Forse sogno o sono desto?

Anche se provo un magone

a sentir un tal Martone,

lo sviluppo verrà presto:

 

e perciò confido e spero,

in Herr Mario e la Fornero.

Marius Montes, AD MMXI

VENI, VIDI, V’ICI

LA STANGATA

Ecco alfin c’è la stangata,
l’abbiam proprio meritata!
Meglio se giungeva prima,
poiché chiara era la china

 che il paese avea intrapreso
e al ristagno s‘era arreso!
Si è vissuto sopra a quello
ch’era il giusto di livello

 e lo Stato perciò spese
quel che in prestito si prese,
mentre il Pil dello stivale
di dormir dava il segnale.

 Il gran debito pregresso
siamo noi che lì s’è messo
e al ritardo in meridione,
mai s’è dato uno scossone!

 Alle spese della casta,
forse noi dicemmo basta!?
Costa, intralcia, sta seduto,
l’ente pubblico accresciuto.

 Molti i baby pensionati,
troppi i falsi invalidati,
l’ateneo sbagliò binario,
la giustizia è fuori orario.

 Or si chiede gran rigore,
ma pur crescita maggiore,
il che pare sia in contrasto,
col buon senso, se rimasto.

 Riformare è cosa tosta,
tutti hanno una proposta:
io non sono da tagliare
tocca ad altri di pagare!

 La ricetta inver sicura
è sol voglia duratura
d’impegnarsi a lavorare,
non di prendere, ma dare.

 Silvio e Bossi partiranno
i problemi resteranno:
speriam che dallo sbando
ci protegga Pier Fernando.

Doloroso rientro dal debito

Dalla imperial Brusselle,
per noi tristi novelle,
ossia, pur senza la ripresa,
dovrem troncar la spesa

e il debito pregresso
ridurlo ad un di presso
di molti assai miliardi:
bando a esitar e ritardi!

Dicon che stavolta
sarà la pelle estorta
al medio cittadino,
ridotto a pane e vino.

Per regger la manovra
dovrà il Pil star sovra
ad un livello tale,
per il nostral stivale,

che pur in Cina e India,
ov’è stretta la cinghia,
mai non s’è raggiunto.
Si cresca al doppio punto!!

Ecco qui il problema
per l’italo sistema:
non basta sia enunciato,
come sarà affrontato?

La spesa andrà smezzata,
la produttività doppiata,
sian tutti  più efficienti,
pure gli Stato dipendenti .

Mio caro, popolo italiano,
dal ligure al campano,
amici e pure voi nemici,
siam pronti ai sacrifici?!

Mi piacerà ascoltare,
quel che da dire e fare
avranno tutti quanti quelli,
che fanno i bravi e i belli.

Bersani, vuol rientrare!?
O è meglio rimandare?
Ragassi, mica siamo matti,
Silvio chiappali tu i ratti!

Un tempo andavamo in banca (non al Bancomat)

Rimpiango i miei tempi andati,
quando me li porgevano contati,
gratis, i soldi in banca dal cassiere:
danzavan le sue dita agili e leggere.

Allor era la mancia in mille lire
e ringraziato venivo a non finire;
oggi se porgo d’euro un mezzo
ricevo solo accenni di disprezzo.

Lucravo al tempo gli interessi,
buongiorno, dicevano i commessi,
le spese non mi pareano esose,
c’era modo di far quadrar le cose.

Io le bollette, con le cifre in lire,
me le pagavo senza innervosire,
pure l’affitto non sembrava caro,
ora le rate hanno un sapore amaro.

In bus bastava poco pel biglietto,
oggi se salgo col caro pargoletto,
poi gli compro due gusti di gelato
quasi mi trovo al verde consegnato.

Costava pure il pieno di benzina,
ora se accelero rischio la rovina,
caro il cornetto con il cappuccino,
si beve acqua, costa troppo il vino.

Com’era bella l’Italia del contante
allor parea la busta più pesante,
il ventisette era un bel dì di festa,
non s’era usi ognora alla protesta.

Prima al denaro davo l’ attenzione
oggi la card m’induce tentazione,
e quando arriva l’addebito mensile
mi scordo d’esser d’animo gentile.

O banca mia, ora prelevar mi costa,
il bollo pago e pur l’invio per posta,
zero interessi: il conto che salasso!
Terrò i miei soldi sotto il materasso!

LA SOLITUDINE DELL’IMPRENDITORE

Caro piccolo e medio imprenditore,
da sempre ti tengo nel mio cuore,
capisco la tua battaglia quotidiana,
però per gli Italiani un po’ lontana.

Tu devi mantenere del lavoro i posti
e per competer anche ridurre i costi,
poi rinnovare tutti i tuoi prodotti,
perché altrimenti li troverai decotti.

Dunque dovrai tu vincere il cimento,
lottar senza respiro e senza cedimento,
guardare innanzi, con forza e positivo,
di coraggiosa speme mai sentirti privo!

Il professor t’invita to be manageriale,
la mente tua nutrir di strategia globale,
su concorrenza e innovazion discetta,
ma alle parole non fa seguir ricetta.

Su te puntato è pure il dito sindacale,
perché tu batta l’import dell’orientale:
se non ti riesce allora non sei bravo!
I costi? Dicono: le mani me ne lavo.

Il direttor di banca è assai severo,
ch’el conto tuo deve tornare in nero,
e se non paga e spende men la gente,
tu quale attor di marketing sei niente!

Molti sono coloro che ti fan corona,
d’appelli e voti l’orecchio tuo risuona,
che mentre noi staremo qui in panchina,
tu ci farai salire, da questa brutta china.

Suvvia, batterti devi, te lo canta il coro,
è tuo il problema, è solo tuo il lavoro.
Non basta il glamour della Marcegaglia,
caro l’imprenditor, ma t’ama ancor l’Itaglia?

FORZA MARCHIONNE!

Quel tal AD Sergio Marchionne,
da sempre se ne sta desto ed insonne
ed ora va cercando di svegliare
l’Italia che non cessa di sognare,

nella sua buona, ma offuscata stella,
che sempre rimaner la fece in sella,
lasciandola poltrire ne’ coltroni,
vegliata da Tremonti e Berlusconi.

La poverella dorme e non s’accorge
che il sol su questi lidi più non sorge
e l’avvenir s’è trasferito a Oriente
dove non s’agita, ma studia lo studente.

Agli Italiani qualcuno forte glielo dica,
che occorre ritornare a far molta fatica,
che il tempo non è più di rilassarsi,
ma tutte e due le maniche imboccarsi.

Ci sono diritti, ma ancor più doveri,
sia il cambiamento in cima de pensieri,
ci vuol più impegno pure dai bancari,
dagli statali, da quanti son,  ligi agli orari.

Il PIL non cade quale don dal cielo,
è come un chicco che cresce sullo stelo,
va coltivato, col gelo, se piove, col sole,
lasciando le linde, accoglienti lenzuole.

Non restiam fermi, vietata sia la sosta,
la sfida è aperta ed alta n’è la posta,
suvvia si cambi gli antichi, stanchi riti,
si cassino i vantaggi, pure se acquisiti!

Il solo modo per rimaner tra i vivi
è d’agguantare presto i più competitivi,
di non cercar di dar la colpa agli altri,
noi che pensiamo d’essere più scaltri.

Fratelli d’Italia, l’Italia sia desta
la grinta del Sergio le colmi la testa,
ovunque si faccia, s’investa e lavori,
tornino a crescere i bei mirafiori.

Italia mia, t’attende una fatal tenzone,
lascia la giacca e metti un bel maglione!

Facili le diagnosi, difficile la terapia

In corsia dell’ospedale
c’è un mondo che sta male!
S’ode il Sarko che si lagna,
Zapatero piange in Spagna,

si lamenta il Camerone,
un po’ meglio è la teutone,
mentre in USA anche Barack
geme a letto, dopo il crack.

Ha la febbre pur l’Itaglia
e a sentire Iren Tinaglia
Silvio va verso il collasso,
grazie al Fini del salasso.

Sol Bersani ha la ricetta,
ce l’ha pure Enrico Letta,
anche l’hanno alla Sapienza
e in Bocconi non fan senza.

Nei giornali d’opinione,
sul declino e stagnazione
nelle diagnosi si abbonda,
per salvare chi sprofonda:

s’incrementi il pensionato,
ed in busta l’impiegato.
si dian soldi ai cercatori,
no all’accordo a Mirafiori,

che si faccia innovazioni,
stop ai pubblici spreconi,
si riduca accise e tasse,
più salari per le masse.

La ricetta non sorprende,
sì allo Stato che più spende!
Ma nessuno non si accorse
che non bastan le risorse,

che il debito pregresso
sempre è lì, riman lo stesso,
che non siam competitivi
e di slancio alquanto privi??

La cura è il riformare,
ma sian gli altri ad iniziare:
non potate il mio giardino,
bensì quello del vicino.

Mah!?La nostra medicina
non è certo l’aspirina!

I TAGLI

Quant’è iniqua la manovra,
da nessuno la si approva,
che si vuole tremontare,
donne e uomini tosare.

Ha ragione la regione,
no alla legge del taglione,
che punì l’ente locale,
pretendendolo frugale.

Son vicino al magistrato:
non può esser tagliato
va protetto l’ermellino,
come foca od un delfino.

L’accademico docente?
Io con lui  son connivente,
trovo giusto, o luminare,
fare il giovane aspettare.

La feluca pur protesta,
Io sostengo chi l’ha in testa
per difendere il buon nome,
del nostrano stivalone.

Anche ai fiacchi calciatori,
che non colgono gli allori,
si cancelli quel messaggio,
di ridurre il loro ingaggio.

A chi siede in Parlamento,
cui si infligge un decremento,
si provveda a conguagliare
e un gettone ad assegnare.

Non si tagli il mezzo busto,
della RAI, sarebbe ingiusto,
e il mendace invalidato
non sia mai che sia tagliato.

Qui mi sa che va a finire
che sol io dovrò patire,
di trovarmi un po’ potato,
quale albero sfrondato.

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