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Autore: Marco Pagano Pagina 2 di 3

pagano Insegna Politica economica presso l'Università Federico II di Napoli e presiede l'Istituto Einaudi per l'Economia e la Finanza (EIEF, Roma). Laureato in giurisprudenza a Napoli e in economia a Cambridge, ha conseguito il dottorato in economia al MIT e ha insegnato all'Università Bocconi e all'Università di Salerno. È vice-presidente del Comitato Scientifico Consultivo dell'European Systemic Risk Board (ESRB) e componente del Gruppo di Consulenti Economici dell'European Securities and Markets Authority (ESMA). In passato ha fatto parte del Comitato di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni (2007-2001), del panel di esperti sui servizi finanziari del Parlamento Europeo (2002-04) e del comitato scientifico della CONSOB e di MTS. Dal 2004 al 2011 ha diretto con Josef Zechner la Review of Finance, rivista della European Finance Association. Nel 2011 ha ricevuto un Advanced Grant dall'European Research Council (ERC) per un progetto di ricerca quinquennale su "Finance and Labor". Nel 1997 ha ricevuto con Ailsa Röell il BACOB European Prize for Economic and Financial Research. Il suo lavoro di ricerca verte soprattutto su temi d'economia finanziaria. Ha svolto ricerche anche su temi di macroeconomia. I suoi articoli sono apparsi su numerose riviste internazionali. Nel 2013 ha pubblicato il libro Market Liquidity: Theory, Evidence and Policy (con Thierry Foucault e Ailsa Roell) con Oxford University Press.

Reazioni sbagliate: il divieto di vendite allo scoperto

Dopo il fallimento di Lehman Brothers molti paesi hanno reagito alla crisi vietando la vendita di titoli allo scoperto. L’evidenza empirica indica che nel migliore dei casi il divieto non ha influito significativamente sui prezzi, ma ha danneggiato la liquidità del mercato. Un danno particolarmente grave perché si è verificato quando la liquidità già scarseggiava e gli investitori la cercavano disperatamente a causa del congelamento di molti mercati nel settore del reddito fisso. Una lezione che le autorità di sorveglianza faranno bene a ricordare in futuro.

IN RICORDO DI PAUL ANTHONY SAMUELSON

Il ricordo di Paul Samuelson resterà indelebile per generazioni di economisti. Semplicemente, è stato il massimo economista del Novecento, insieme a John Maynard Keynes. Ha contribuito a rifondare la disciplina economica su basi matematiche nuove e più rigorose. Ma non c’è campo dell’economia in cui non abbia lasciato risultati fondamentali, imprescindibili punti di riferimento per chi è venuto e verrà dopo di lui. In tutto, ha avuto la semplicità della grandezza, non solo nell’eleganza dei suoi modelli, ma anche nella vita quotidiana. Il ricordo di Fabio Ranchetti.

TUTTA COLPA DEGLI ECONOMISTI?

Sul Corriere della Sera del 16 ottobre Giovanni Sartori stigmatizza gli economisti per non aver saputo prevedere nè evitare questa crisi, e ne trae la conclusione che l’economia è "un sapere «pratico» che consiglia male e che prevede altrettanto male, produce guai o comunque ci lascia nei guai". Certo, è difficile negare che nell’insieme il prestigio degli economisti esca abbastanza malconcio da questa crisi. Ma è vero che tutti gli economisti siano stati così ciechi come dice Sartori? Basta leggere per esempio gli scritti di un grande economista come Robert Shiller sulla bolla immobiliare per rendersi conto che non è così. E non pochi avevano sottolineato l’eccessivo lassismo della politica monetaria fino al 2005 e i conflitti di interessi nelle società di rating e nelle banche, che hanno avuto parte non piccola nella genesi di questa crisi.
Ma – si dirà – queste sono state posizioni minoritarie. Se così non fosse, perché avremmo avuto la crisi? Innanzitutto, una frase del genere presuppone che gli economisti siano sempre ascoltati e influenti: a noi piacerebbe che fosse così, ma non è vero. Ma facciamo pure l’ipotesi eroica che gli economisti siano sempre ascoltati e che quindi la terribile crisi attuale sia colpa della loro miopia. Allora, caro Sartori, quando le cose vanno bene dovremmo darne merito agli economisti: quante crisi sono state evitate o attutite perché gli economisti – per esempio, quelli al lavoro nelle banche centrali – le hanno previste e debellate sul nascere? Si ricorda per caso della sventata crisi finanziaria dopo la crisi di LTCM nel 1998? E di come sono state attutite le conseguenze del crollo di borsa del settore hi-tech tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, nonché quelle dello shock dell’11 settembre 2001? E si tratta solo di alcuni esempi recenti – la lista si allungherebbe fino alla noia se iniziassimo dalla fine della seconda guerra mondiale… Dovremmo allora portare gli economisti in trionfo per la maggior parte del tempo?
Ovviamente no. Innanzitutto perché è ingenuo pensare che, sia nelle scelte giuste che in quelle sbagliate, noi economisti abbiamo il ruolo determinante immaginato da Sartori, soprattutto a confronto con quello dei politici. E poi perchè siamo ben consci che il nostro "sapere pratico" è molto imperfetto e che di errori ne facciamo tanti, sia nella comprensione che nella previsione del comportamento di un sistema molto complesso, risultante dall’interazione di milioni di persone, il cui comportamento individuale è a sua volta solo parzialmente chiaro non solo a noi economisti ma anche a psicologi e medici. Al pari degli studiosi di meteorologia, che a volte non riescono a prevedere la formazione e la direzione di cicloni e tornadi, anche noi facciamo errori. Ma non ci risulta che nessuno abbia chiesto l’abolizione delle stazioni meteorologiche dopo un errore di previsione sul percorso di un devastante tornado.

COSA MANCA NEL SALVATAGGIO EUROPEO

Se sono chiare le linee generali degli interventi decisi dai governi europei per contrastare la crisi finanziaria, poco ancora si sa sui dettagli del piano. Ma si tratta di dettagli molto importanti, che vanno dai criteri per decidere in quali banche iniettare capitale alla durata dell’implicita nazionalizzazione. Inoltre il piano non affronta un punto chiave: come affrontare l’eventuale salvataggio di grandi banche sovra-nazionali. Affrontare questo punto potrebbe darci finalmente l’occasione di creare un’autorità di vigilanza per l’area dell’euro, a cui affidare la tutela della stabilità di queste banche.

UN’OPPORTUNITA’ PER L’EUROPA

Anche se il provvedimento varato dal governo italiano per la ricapitalizzazione delle banche è largamente condivisibile, resta sul tappeto il problema dell’eventuale salvataggio delle grandi banche transnazionali europee. Che hanno un ruolo chiave sia nell’integrazione dei mercati finanziari europei che nella loro stabilità sistemica. La Bce ha affrontato bene uno dei due aspetti della crisi, il problema di liquidità. In Europa manca però una istituzione che possa mettere in atto una risposta organica. Così dopo il fallimento dell’Ecofin, i paesi membri procedono in ordine sparso. Ma la definizione di regole condivise è questione non più eludibile.

QUANDO IL PREMIER DA’ CONSIGLI PER GLI ACQUISTI

Nei giorni scorsi il governo ha varato un piano di intervento le cui linee guida sono pienamente condivisibili, e che certamente ha rassicurato molti risparmiatori italiani. Purtroppo le dichiarazioni rese oggi pomeriggio dal Presidente del Consiglio rischiano di avere l’effetto opposto. Esse contengono due gravi errori.
Il primo errore consiste nell’accennare alla possibilità di sospendere le contrattazioni sui mercati, salvo smentire confusamente tale dichiarazione pochi minuti dopo. Chiudere i mercati in questo momento è come spezzare il termometro al capezzale di un malato con la febbre alta: così si finisce per non sapere più neanche quanto sia grave la sua malattia. Inoltre, imporre la chiusura dei mercati equivarrebbe a produrre la totale illiquidità dei titoli in un momento in cui tutto ciò che può dare liquidità è essenziale: ciò accescerebbe solo il panico in coloro che sono incerti se vendere o no i propri titoli, e farebbe sospettare ai risparmiatori che il governo stesso sia in preda al panico e alla confusione.
Il secondo grave errore è stato quello di consigliare ai risparmiatori di comprare azioni ENEL ed ENI. Non spetta al Presidente del Consiglio dare suggerimenti su quali società in cui investire i propri risparmi, specie considerato che in queste società lo Stato è l’azionista di controllo. Ciò rischia di turbare gravemente il normale funzionamento del mercato.
C’è da augurarsi che la Consob intervenga immediatamente, con grande chiarezza e decisione su entrambe le questioni. Il suo silenzio sarebbe gravemente colpevole, e fonte di ulteriore disorientamento per i risparmiatori. C’è anche da augurarsi che in futuro ci sia maggior cautela da parte degli esponenti del nostro Governo: in questi giorni, una loro frase incauta può avere conseguente drammatiche. È l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

IL PREZZO DELLA TRASPARENZA

La semplificazione delle informazioni trasmesse al mercato ha consentito alle banche di ampliare la platea dei compratori dei propri titoli. Ma ha anche determinato una catastrofica incertezza, che paralizza i mercati e si riverbera persino nelle scelte di politica economica degli Stati Uniti. La scelta di opacità degli emittenti e delle società di rating è stata socialmente dannosa e avrebbe dovuto trovare un argine molto più fermo nella regolamentazione. Anche se prima di oggi in pochi pensavano che la trasparenza potesse valere il 5 per cento del Pil degli Stati Uniti.

EREDITA’ TROPPO VINCOLATE

Le imprese familiari svolgono un ruolo decisivo nella vita economica di molti paesi. Il loro sviluppo è influenzato dal modo in cui il controllo passa da una generazione all’altra. Perché norme restrittive sulla successione possono ridurre la capacità di investire e di crescere. E la riduzione è tanto maggiore quanto peggiore è la tutela legale dei finanziatori. In Italia, lasciare maggiore flessibilità al testatore potrebbe rimuovere un ostacolo importante agli investimenti delle imprese familiari. E avere effetti positivi sulla crescita economica.

Meno risorse per l’accumulazione

Il nuovo fondo del Tfr per le imprese con più di cinquanta addetti istituito presso l’Inps agirà con regole basate sul principio della ripartizione. Non darà luogo ad accumulazione, ma sarà immediatamente destinato ad aumentare alcune voci di spesa pubblica. Il passaggio dal regime attuale al nuovo riduce lo stock di capitale privato dell’economia, senza garanzia che quello pubblico aumenti in eguale misura. Ma la capacità di accumulazione di capitale è condizione essenziale per la crescita: la riforma si trasformerà in un ulteriore elemento di freno?

Il governatore, l’Italia e le banche

Nella vicenda Banca d’Italia il Governo sta a guardare, dando l’impressione di non poter far nulla. E’ un atteggiamento irresponsabile che rischia di dilapidare il grande capitale di competenze e credibilità che rimane nella Banca d’Italia. E’ necessario, invece, che il Governo intervenga su tre aspetti: durata del mandato, collegialità delle decisioni e competenze della Banca. Questi problemi devono essere affrontati prima di una eventuale nomina di un nuovo Governatore. Non è necessario inventare nulla di nuovo: basta applicare le regole già previste per la Banca centrale europea.

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