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Autore: Marco Albertini

albertini Ricercatore presso l’Università di Bologna e membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Carlo Cattaneo. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la sociologia della famiglia e i sistemi di welfare. Sito personale https://sites.google.com/site/mrcalbe. Twitter @madmakko.

Riecco il bonus bebè, un’arma spuntata per la natalità

Torna di attualità il bonus bebè. Ma la misura non favorisce la natalità, è uno strumento contro il rischio povertà delle famiglie con figli. Per garantire alle giovani generazioni le sicurezze di cui hanno bisogno prima di avventurarsi nella genitorialità, servono altri e più stabili interventi.

Profilo dei giovani a rischio disoccupazione

Con il programma legato alla Garanzia giovani è stata adottata una metodologia rigorosa per la profilazione degli iscritti. È una novità importante, anche se lo strumento è ancora “grezzo”. Come arrivare a una piena integrazione delle diverse fonti di dati, per un utilizzo a fini previsionali.

Un Grillo nella testa dei giovani

Una prima analisi dei risultati elettorali sembra mettere in luce un voto generazionale. Alla Camera, quasi la metà dei giovani hanno votato il Movimento  5 stelle. Sarebbe il più rilevante spostamento di voto della storia elettorale italiana.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Innanzitutto grazie a tutti per i commenti e le osservazioni inviate. Vorrei cercare di riprendere brevemente alcune delle questioni sollevate.

 E CHI LA FAMIGLIA NON LA HA?

Giustamente molti hanno sottolineato uno dei maggiori limiti dell’approccio familistico: il modello non è adeguato a proteggere chi non ha una famiglia (intesa qui come unità composta da più generazioni), o chi vive lontano dalla propria famiglia. È fuori di dubbio che, nel medio-lungo termine, processi quali l’aumento della mobilità geografica delle famiglie, la crescita del numero di separazioni e divorzi (con il relativo indebolimento delle solidarietà intergenerazionali), o l’aumento della quota di coppie senza figli, rendono di difficile attuazione un modello di solidarietà quale quello ipotizzato nel documento “Italia 2020”. Di fronte a questo sarebbe preferibile sviluppare un modello che non parta dall’assunto che tutte le persone anziane avranno una famiglia vicina e disponibile a prendersi cura di loro. Personalmente mi ritrovo con chi dice di avere una preferenza per modelli di tipo scandinavo: fortemente centrati sull’offerta pubblica (non privata) di servizi (non trasferimenti). Ma credo che occorra anche essere realisti e democratici: al momento una tale soluzione sembra non godere dell’appoggio della maggioranza dei cittadini italiani, né dell’appoggio di alcun schieramento politico. Preso atto di questo, una soluzione intermedia potrebbe essere quella offerta dal modello tedesco dove gli utenti possono liberamente optare per i trasferimenti (poi gestiti dalla famiglia per acquistare cure sul mercato) o per i servizi offerti da enti pubblici o in convenzione.

FAMILISMO ESPLICITO E PARTECIPAZIONE DELLE DONNE AL MERCATO DEL LAVORO

Come fa notare il lettore Luca Neri gli effetti del familismo esplicito sull’occupazione femminile non sono affatto scontati. Ad esempio aumentando i trasferimenti alle famiglie potremmo ottenere un forte effetto di disincentivazione delle donne alla partecipazione al mercato del lavoro. Le donne con contratti scarsamente protetti, o con salari bassi, sarebbero ancora più incentivate ad abbandonare il lavoro per occuparsi dei propri anziani tenendo per sé i trasferimenti pubblici. Anche in questo caso, a mio avviso, la soluzione migliore sarebbe quella di un sistema pubblico di servizi. Tuttavia è assolutamente legittima anche la posizione di chi preferisce lasciare libere le famiglie di decidere se prendersi cura direttamente dei propri cari, ricevendo aiuti dallo stato, piuttosto che demandarne la cura ad altri. Di nuovo una soluzione intermedia potrebbe essere quella di chiedere che, come avviene ad esempio in Francia, vi sia un controllo formale da parte delle istituzioni pubbliche sul come vengono spesi i soldi dei trasferimenti. Quanto meno, in questo modo, i servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato regolare e si eviterebbe l’ipocrisia di incentivare da un lato l’occupazione irregolare di migliaia di badanti e, dall’altro, di fare la faccia cattiva contro l’immigrazione irregolare. 

E CHI PAGA?

In realtà credo che tutti, persino i nostri parlamentari, sarebbero d’accordo sull’aumentare i servizi e gli aiuti per le famiglie che si occupano dei propri anziani. Ma il punto è: dove prendere i soldi per finanziare tale sistema? La maggioranza dei paesi dell’Europa continentale ha messo in campo, negli anni Novanta, schemi di tipo assicurativo. Seguire questa strada, però, ha alcune possibili conseguenze negative, mi preme sottolinearne due: (i) aumenterebbe il costo del lavoro, con possibili ripercussioni sui livelli occupazionali nei settori esposti alla concorrenza internazionale; (ii) il sistema di welfare Italiano, già fortemente sbilanciato a favore della generazione attualmente anziana o  in procinto di pensione, diventerebbe ancor più generoso verso questa coorte di età a spese delle generazioni più giovani.
Il “nodo” del finanziamento, quindi, sembrerebbe essere il primo da sciogliere. Non esiste una soluzione facile o univocamente migliore, tuttavia non fare nulla è probabilmente la peggiore delle soluzioni.

ITALIA 2020: LA RICETTA DEL GOVERNO È IL FAMILISMO

Il modello che il governo propone per l’Italia del prossimo futuro è ancora quello di una famiglia in cui la generazione dei nonni aiuta ad accudire i nipoti, per permettere ai neogenitori di rimanere sul mercato del lavoro. In cambio, figlie e nuore si prenderanno cura degli anziani quando diventeranno non autosufficienti. Per le famiglie si prevedono dunque obblighi formali di assistenza, senza però dare loro un adeguato sostegno economico e di servizi. E quindi senza raggiungere l’obiettivo primario: accrescere la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Innanzitutto grazie a tutti per i commenti all’articolo. Vorrei cercare di riflettere molto brevemente su alcune delle osservazioni fatte: 

Cosa fanno gli anziani con le loro pensioni?

In effetti una considerevole parte dei redditi dei genitori, in Italia così come in altri paesi Europei, viene trasferito ai figli. L’indagine SHARE ha rilevato che in Italia, durante il 2003, circa il 7% dei figli che non vivono con i genitori ha ricevuto da questi un aiuto economico pari, in media, all’11% del reddito lordo equivalente della famiglia di origine. Tuttavia rispetto al resto d’Europa in Italia  i genitori aiutano i propri figli soprattutto attraverso una prolungatissima convivenza mentre, una volta che questi escono di casa,  ricevono rarissimi trasferimenti ma di grossi importi (generalmente nel momento di un divorzio, della nascita di un figlio o per l’acquisto della casa). Nel resto d’Europa i figli escono prima di casa e ricevono aiuti di importo inferiore, ma più frequenti. Le "controindicazioni" del modello italiano sono ben note, le più rilevanti: ritardo nella autonomia abitativa dei figli e un tasso di fecondità realizzato inferiore a quello desiderato. Oltretutto dare ai padri perché essi diano ai figli non sembra un meccanismo né economicamente efficiente né tanto meno un buon volano di mobilità sociale.

Occhiali e classi sociali

Innanzitutto un punto da chiarire: non sostengo affatto che bisogna togliere agli anziani per dare ai giovani, il problema è che in Italia avviene il contrario. Quando si finanzia un "alleggerimento" dei requisiti per la pensione di anzianità attraverso l’aumento delle aliquote contributive dei parasubordinati o con una mancata riduzione del debito pubblico, di fatto si toglie ai giovani per dare agli anziani. Uno dei (tanti) motivi per cui il welfare italiano è sottosviluppato è che una parte enorme del nostro budget è usato per pagare gli interessi sul debito pubblico che ci hanno lasciato in eredità le generazioni precedenti. Se di fronte a problemi sociali rilevanti – ad esempio un tasso di povertà minorile tra i più alti del mondo Occidentale – il Paese viene bloccato per mesi sulla discussione circa il limite di 58 anni d’età per la pensione di anzianità, forse non sono i miei occhiali i soli ad essere appannati. Infine un dato sulla "lotta di classe", uno degli studi sociologici più autorevoli in materia, a cura di Antonio Schizzerotto, ha evidenziato che nel secolo scorso non sono sostanzialmente mutate le disuguaglianze tra classi sociali, sono diminuite quelle legate al genere e sono aumentate quelle connesse alle generazioni. Che ci piaccia o meno le migliori condizioni economiche della generazione dei nostri padri sono derivate soprattutto da uno "scivolamento" verso l’alto della struttura occupazione della economia italiana.

Chi paga la pensione a chi

Il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo ha di fatto rotto il meccanismo per cui i figli pagavano la pensione ai genitori. Ognuno si paga la sua di pensione, il problema è che in questa fase di passaggio c’è chi sta pagando sia la pensione dei genitori sia la propria. Non è un delitto quindi chiedere che a questi malcapitati venga almeno dedicata un po’ più di attenzione di quanta fin qui dimostrata da chi determina le politiche sociali del Paese.

NON SOLO LE PENSIONI DIVIDONO LE GENERAZIONI

Negli ultimi trent’anni una situazione socio-economica molto favorevole e i particolari assetti del welfare italiano hanno contribuito a migliorare notevolmente la posizione economica relativa della parte più anziana della popolazione. Nel frattempo i destini economici delle famiglie più giovani sono andati sempre più deteriorandosi. Senz’altro è il risultato di una condizione del mercato del lavoro oggi radicalmente diversa rispetto alla fine degli anni Settanta. Ma il sistema dovrebbe tenere conto anche delle alterne fortune delle generazioni.

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