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Autore: Luigi Spaventa Pagina 1 di 2

Dove la Commissione sbaglia

Ormai anche la Commissione europea riconosce che la sola disciplina fiscale non è sufficiente a garantire la stabilità dell’euro. Ma la soluzione che propone per combattere le fragilità della zona euro è solo un vuoto e inutile esercizio. A preoccupare dovrebbe esere invece l’espansione non controllata del credito. Tanto più che l’Unione si è data due istituzioni che possono ben svolgere un ruolo di controllo su questa materia: il Consiglio europeo per il rischio sistemico e la nuova autorità di vigilanza bancaria.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i ventotto lettori della Voce che hanno trovato il tempo di inviare un commento alla mia breve nota sugli economisti. Mi perdoneranno se, per comodità, cercherò in alcuni casi di offrire una risposta singola a gruppi di commenti che ritengo affini, ben consapevole di non fare piena giustizia ai contributi individuali.
Due notazioni preliminari. Anzitutto la mia nota rappresenta, come indicato, il breve sunto di uno scritto più lungo all quale rinvio per argomentazioni più compiute. In secondo luogo, mentre alcuni colleghi avevano osservato un eccesso di critica verso la professione e la disciplina, la larga maggioranza dei commentatori mi imputa il peccato opposto, di eccesso di clemenza (il che, trattandosi di lettori della Voce, dovrà far meditare).
A) Secondo un primo gruppo di commenti, io mi sono posto problemi di poco rilievo, perché il vizio sta, per così dire, nel manico, o nei manici: vizi intrinseci di un sistema capitalistico ("disperato", Pietro Palermo, Antonio Pugliesi)¸ degenerazione per eccesso di finanziarizzazione (Armando Pasquali, "mirco") mentre restano insoluti i problemi fondamentali della povertà (Tarcisio Bonotto, Marco Bellarmi); economisti forse ingenui, ma comunque funzionali al sistema di potere (lo osservano in tanti: Antonio Aghilar, "onaocn", Alfredo Rosini, Ciro Daniele, Giovanni Ingrosso, "claudio"), che tuttavia meritano l’isolata difesa di Giuseppe Coco (grazie).
Ecco gli elementi per una risposta che dovrebbe e vorrebbe essere ben più articolata. (i) Per limiti della mia formazione e conformazione intellettuale, di fronte a una questione preferisco non mandare la palla fuori campo sostenendo che "ben altro è il problema": è una formula a volte troppo comoda. (ii) Questa crisi ci ha fatto troppo presto dimenticare che il decennio 1995-2005 andrà agli atti della storia economica mondiale come un periodo eccezionale: ovunque (salvo che in Italia) forte crescita e inflazione bassa e stabile; riduzione delle disuguaglianze fra paesi e dei livelli di povertà con l’emersione prepotente di nuovi attori sulla scena mondiale. (iii) La mancata soluzione di alcuni squilibri e, soprattutto, gli eccessi incontrollati della nuova finanza, di cui ho scritto altrove, certamente provocarono la degenerazione del sistema e la sua crisi. (iv) Gli economisti hanno, come ho scritto, delle responsabilità obiettive, ma per colpa più che per dolo: ricordando comunque che la questione riguarda quanti di essi, ma non tutti, si occupavano di macroeconomia. La sfida che dovranno affrontare coinvolge un profondo ripensamento della disciplina. (v) Tuttavia si consideri quanto è stata utile l’elaborazione economica sulle crisi precedenti, per impedire che questa crisi, pur non prevenuta, si trasformasse in una recessione.
B) L’edificio teorico che serve di riferimento agli economisti è mal fondato o sbagliato: (i) astrologia invece di economia ("Inkognitus"), e poi due indicazioni opposte – (ii) si impieghino modelli simili a quelli delle scienze pure e dure, con riferimento alla termodinamica (Enrico Quarta) o alle neuroscienze per elaborare modelli matematici dei processi cognitivi (Giuseppe Varicella) o (iii) al contrario, si abbandonino le pretese di usare modelli matematici complessi (Claudio Robiati, "giovanni", Fabrizio Villani).
Ho argomentato circa l’inadeguatezza intrinseca dei modelli macroeconomici correnti a dar conto dei cicli finanziari: questa inadeguatezza è forse anche dovuta a un luciferino desiderio di elegante completezza. Tuttavia, a mio avviso, la soluzione non consiste né nell’abbandono del ragionamento teorico né, al contrario, nell’adozione sic et simpliciter di modelli mutuati dalle discipline scientifiche: l’astrazione teorica è sempre necessaria per una comprensione dei fenomeni che non si esaurisca in una cronaca di fatti; d’altro canto la pretesa di trovare altrove la pietra filosofale dell’economia non ha mai dato risultati. Non è facile trovare un equilibrio fra le due esigenze solo apparentemente opposte dell’astrazione e della rilevanza (ma, per citare due esempi di rilievo, vi riuscì Keynes e vi riuscì anche Friedman). Il suggerimento di "mirco" è saggio: una maggiore attenzione dedicata alla storia economica. E vale anche l’esortazione di Marcello Basili a nno dimenticare Frank Hahn, un economista con credenziali teoriche ineccepibili ma con un chiaro senso del limite (forse per questo lasciato ai margini del mainstream).
D) Varia
Rosanna Sapori e Ivan Berruti segnalano che Eugenio Benetazzo, un operatore, aveva previsto con esattezza la crisi; secondo Berruto anche Larouche lo aveva fatto. Mi scuso per l’ignoranza. Osservo solo che una previsione insistita e generica di crisi anno dopo anno non è una previsione se non contiene un’analisi degli squilibri che generano la crisi: un orologio fermo segna per forza l’ora esatta due volte al giorno. Luca Bozzelli segnala uno scritto di Tommaso Paodoa-Schioppa, per la sua sistematica completezza.
Ringrazio "davide" per la segnalazione di link utili per approfondire le questioni (fra cui quello della lettera di economisti inglesi alla Regina d’Inghilterra, che, visitando la London School of Economics, chiese come mai nessuno si era accorto di nulla).
Riecheggiando una canzone degli anni trenta, Alfredo Lisi, constata quanto si spende in giro e si chiede se questa crisi c’è stata veramente. Non siamo al ’29, ma ebbene sì questa crisi c’è stata: grandi banche fallite (non da noi), caduta del prodotto mondiale, aumento della disoccupazione e della povertà. Forse ci hanno salvato dal peggio le economie asiatiche.
Gerardo Fulgione, che ringrazio per le espressioni gentili, vorrebbe un approfondimento sui compiti e sulle falle della regolazione. Qualcosa di più ho scritto nel testo più lungo. Qualcosa di più ho detto in un’arringa al festival dell’economia di Trento (in rete). Oggi la questione viene affrontata nel dibattito (iniziato vigoroso ma oggi indebolito) sulla riforma dei mercati finanziari.
Il collega Pierluigi Porta mi pone la domanda più complicata: se vale la mia tesi che gli economisti contribuirono allo Zeitgeist che favorì la crisi, non dovremmo ripensare tutta la situazione della disciplina e del suo insegnamento, con esemplificazione nella classificazione degli articoli e delle riviste in base al cosiddetto impact factor? Caro Porta, comprendo e apprezzo i problemi che tu sollevi. Consiglierei tuttavia di esercitare la necessaria critica senza emarginarsi in territori radicalmente alternativi, che fanno la fine delle riserve indiane.

LE RESPONSABILITÀ DEGLI ECONOMISTI

Questa crisi pone seri problemi per la professione di economista. Bisogna chiedersi in quale misura gli economisti si fossero resi conto che la finanza era su un percorso insostenibile, perché non hanno incluso le variabili finanziarie nei modelli macroeconomici, perché la grande maggioranza ha ignorato i segnali d’allarme lanciati da alcuni solitari accademici. E ancora: gli economisti quanto hanno influenzato le azioni e le omissioni dei politici e dei regolatori del mercato?

INDIETRO ALLA CASELLA DI PARTENZA

Nel recente passato molti esperti hanno negato con veemenza che una ripulitura dei bilanci delle istituzioni finanziarie dalle obbligazioni strutturate svalutate e ormai illiquide fosse condizione necessaria e preliminare, anche se non sufficiente, per arrestare l’avvitamento della crisi finanziaria. Ora che le pur abbondanti ricapitalizzazioni non hanno sortito l’effetto sperato, sembrano invece accogliere di buon grado l’istituzione delle bad bank. Eppure, si tratta della stessa cosa, ma in condizioni più difficili perché si è perso tempo prezioso.

PRAGMATICA DIFESA DEL PIANO AMERICANO

Pur con qualche eccezione, gli economisti criticano aspramente il piano predisposto da Paulson e Bernanke. I giudizi negativi si concentrano in particolare sul prezzo al quale il Tesoro dovrebbe acquistare gli asset problematici, molti dei quali non hanno un mercato e sono difficili da valutare per la loro opacità e complessità. Ma un prezzo intermedio che soccorra le banche e non gravi sulle spalle dei contribuenti potrebbe rappresentare quel livello minimo capace di rivitalizzare i mercati.

Il rischio di credito: uscito dalla porta, rientrato per la finestra

Come e perché la favilla relativamente piccola di un’impennata di insolvenze sui prestiti subprime ha potuto innescare la grande fiammata di una crisi finanziaria dalle possibili conseguenze sistemiche? Il sistema bancario, diversamente da quanto ci si attendeva, è stato un portatore del contagio, mostrando sintomi di fragilità che meritano attenzione. Se ne accorgono ora banche centrali e autorità di vigilanza. Che cercano di appurare quale sia, dietro le quinte dei bilanci e per il tramite di terzi, l’esposizione effettiva delle banche.

Ricordo di Paolo Sylos Labini

Paolo Sylos Labini è stato un ostinato economista quantitativo. Più di trent’anni fa produsse uno dei primi modelli econometrici dell’economia italiana. L’accademia ufficiale gli frappose pesanti barriere perché era considerato non omogeneo col sistema. Non sopportava l’opportunismo perbenista ed era ragionato nemico di monopolisti protetti e di piccoli e grandi percettori di rendite private garantite dal potere pubblico. Da “onesto riformista”, come si definiva, passò tanto tempo a cercare problemi specifici a cui proporre specifiche soluzioni.

Il futuro della Banca d’Italia

L’articolo 19 del disegno di legge per la tutela del risparmio contiene disposizioni sull’organizzazione della Banca d’Italia. Ma non rimuove le cause delle degenerazioni dell’operato dell’autorità di vigilanza e si presta a obiezioni di merito. Modifiche incisive sono indispensabili. Se anche le approvasse la Camera, difficilmente passerebbero l’esame del Senato. Meglio allora stralciare l’articolo e rinviare alla prossima legislatura una riforma più organica, che comprenda anche una revisione della legislazione sui poteri e sulle competenze dell’Istituto.

Lettera al Financial Times

Giovedi’ 1 settembre si riunisce il Consiglio della Banca centrale europea, il primo dall’inizio di luglio e il primo dopo il feuilleton estivo italiano. In questa occasione abbiamo inviato al Financial Times la lettera qui allegata, pensando di interpretare anche il sentimento di molti nostri colleghi.

Economisti all’appello

Alcuni economisti lanciano un appello per maggiore concorrenza e rigore fiscale. Troppo generico, rispondono altri, perché non indica con chiarezza che l’obiettivo è tagliare le imposte. Ecco allora alcune indicazioni più specifiche da parte di un firmatario. E’ necessario garantire una graduale riduzione del rapporto debito/Pil. Con una riorganizzazione del prelievo e della spesa, piuttosto che un taglio tout court. Per stimolare crescita ed efficienza molte tasse e spese vanno ridotte, altre aumentate. Da rivedere anche la politica su inflazione e tariffe.

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