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Il desk de lavoce.info è composto da ragazzi e ragazze che si occupano della gestione operativa del sito internet e dei social network e delle attività redazionali e di assistenza alla ricerca. Inoltre, sono curati dal desk il podcast e le rubriche del fact checking, de "La parola ai grafici" e de "La parola ai numeri".

400 MILIONI PER FAR FALLIRE IL REFERENDUM *

Abbiamo in questo momento tre obblighi elettorali: elezioni europee, amministrative, referendum sulla legge elettorale. Il buon senso suggerisce di accorparle in un’unica scadenza. Ma il Governo ha deciso di abbinare in un’unica data soltanto le prime due consultazioni. E appare intenzionato a far tenere in data separata il voto referendario. Votare un altro giorno comporta un costo per la collettività di circa 400 milioni di euro. In tempi difficili come questi sarebbe bene utilizzare tali risorse per altri scopi.

IL COMPENSO DELL’ A.D. DI UNICREDIT

Riguardo l’ammontare della retribuzione complessiva riconosciuta dal Gruppo UniCredit al suo Amministratore delegato, Alessandro Profumo, val la pena precisare che effettivamente, nel bilancio 2007 del Gruppo, è stata iscritta una somma pari a  €5.950.000 quale premio variabile ma questa cifra era solo l’ammontare massimo potenzialmente erogabile ad aprile 2008 in relazione al raggiungimento degli obiettivi di Gruppo relativi all’anno 2007. In realtà la somma che è stata poi effettivamente erogata ad aprile 2008 è stata pari a  €5.528.000, quindi il totale della retribuzione dell’Amministratore delegato va ridotto di €422.000, il che porta la retribuzione pagata e percepita a €9.018.000.

Unicredit Group

Ringraziamo Unicredit della precisazione, legittima e comprensibile. Tuttavia giova ricordare che i dati riportati nella nostra tabella sono tratti da una fonte uniforme e Unicredit non fa eccezione. Si tratta di dati, come abbiamo precisato nell’articolo che accompagna la tabella, diretti a fornire un ordine di grandezza, non una misurazione precisa, non fosse altro per l’assenza del controvalore "teorico" delle stock option. In tale cornice la precisazione di Unicredit completa l’informazione ma non sposta la sostanza della questione, in quanto porta a un riduzione inferiore al 4,5 per cento rispetto al dato riportato.

IL COMMENTO DI GIORGIO SANTINI *

Le argomentazioni di Boeri/Garibaldi nell’articolo Come cambia la contrattazione su lavoce.info rendono necessaria una risposta sui tre aspetti dell’accordo del 22 gennaio scorso che vengono maggiormente criticati.

  1. Nell’articolo si sostiene che con il nuovo accordo i lavoratori avranno una copertura contro l’inflazione inferiore rispetto al precedente modello.

Le motivazioni addotte appaiono per la verità abbastanza confuse e fanno riferimento a fattori molto diversi quali la riduzione generalizzata di almeno il 5% della base di calcolo e una ventilata ipotesi che “tutta la retribuzione di fatto” dovrebbe essere coperta dall’inflazione. La prima asserzione è sicuramente esagerata e fortemente pessimistica, poiché base di calcolo per i futuri aumenti contrattuali, risulterà dall’applicazione dell’accordo per alcuni settori migliorativa dell’attuale, per altri neutra, per alcuni  contratti (6) si continuerà con la base di calcolo già fissata da anni  nei CCNL.

La seconda tesi è particolarmente originale perché finora nessun contratto in nessun momento della pur lunga storia contrattuale italiana ha mai previsto una copertura dall’inflazione di tutta la retribuzione di fatto. Per la verità né la piattaforma CGIL CISL UIL su cui è avvenuto il negoziato né nessun soggetto presente al tavolo ha mai sollevato un problema simile. Noi possiamo sostenere con documentazione ufficiale che il nuovo indicatore di inflazione (IPCA depurata dall’energia) se fosse stato applicato negli ultimi 11 anni avrebbe garantito una copertura del tutto analoga (anzi leggermente superiore) all’indice ISTAT Famiglie Operai Impiegati (FOI), che, vogliamo ricordarlo era l’indice non per rinnovare i contratti (che avevano come parametro il Tasso di Inflazione Programmata), bensì per effettuare nel biennio contrattuale successivo i conguagli, tra l’altro con la depurazione delle ragioni di scambio.

Quindi possiamo dire senza ombra di possibile smentita che il nuovo indicatore IPCA se applicato negli ultimi 11 anni avrebbe garantito una piena copertura dell’inflazione reale rilevata ex-post dall’ISTAT.

Era esattamente la richiesta della piattaforma sindacale CGIL-CISL-UIL e ha trovato piena attuazione nell’intesa. Per il futuro, il nuovo indicatore sarà sicuramente migliorativo rispetto al parametro dell’inflazione programmata che in mancanza d’accordo resterebbe ancora il riferimento per rinnovare i CCNL.

  1. Nell’articolo viene criticata molto duramente l’incentivazione mediante la detassazione e la decontribuzione, del secondo livello di contrattazione, adducendo l’eccessivo costo a carico dei contribuenti.

Contemporaneamente si sostiene anche che con l’accordo non c’è nessuna sicurezza che avvenga l’estensione della contrattazione di secondo livello, dando a questa considerazione una connotazione molto negativa. Si può, quindi, presumere che anche gli autori pensino che sarebbe utile una maggiore diffusione della contrattazione di secondo livello.

E’ di tutta evidenza che proprio la consapevolezza della difficoltà di estensione della contrattazione aziendale (o territoriale) e contemporaneamente la comune valutazione della sua necessità per dare una spinta propulsiva alla produttività e alla competitività delle aziende, hanno spinto le parti a chiedere che venissero resi strutturali gli incentivi che riguardano sia le imprese (la decontribuzione) sia i lavoratori (principalmente la detassazione). Ora se l’obiettivo di sviluppare la contrattazione aziendale dei salari di produttività è ritenuto valido e necessario per il miglioramento del sistema, perché mai una incentivazione fiscale e contributiva dovrebbe essere talmente negativa, da essere così brutalmente stroncata?

Davvero non se ne vede la ragione. Tanto più che non vengono detassati salari tout court ma quella parte del salario legata alla produttività e ai risultati quindi per definizione la parte più economicamente fondata e sicuramente non inflazionistica.

  1. Si sostiene, infine, che non vanno confuse nella contrattazione collettiva la copertura contro l’inflazione con la ricerca di un legame più stretto fra salario e produttività, perché sono due problemi diversi che vanno affrontati con strumenti diversi. E lo si dice lasciando intendere che invece l’accordo contenga questa confusione.

Ora, tralasciando la considerazione che la proposta alternativa formulata dagli autori appare inestricabilmente intrecciata tra copertura dell’inflazione e retribuzione della produttività tutta in capo al Contratto Nazionale, configurando così un formidabile ritorno all’antico; se c’è una cosa chiara nella riforma è proprio quella che Boeri e Garibaldi  auspicano e cioè la separazione della dinamica retributiva legata alla copertura dell’inflazione, che è in capo al CCNL, dalla dinamica retributiva legata alla produttività che è in capo alla contrattazione di secondo livello. Si tratta di due strumenti diversi, esercitati da soggetti diversi, in luoghi diversi e in tempi diversi. E’ difficile pensare a qualcosa di più separato.
E’ una formula che ha il pregio della chiarezza e della semplicità ma soprattutto è una rivoluzione culturale in senso partecipativo delle relazioni sindacali nel nostro paese, fatto che da più parti e da molto tempo è stato sollecitato e che ora che si realizza viene poco valorizzato.
E’ ora importante che il sindacato si senta particolarmente impegnato a vincere questa sfida sul campo, individuando tutti quei percorsi negoziali che permettono un’effettività della contrattazione di secondo livello, aziendale o territoriale, collegata alla competitività e al buon andamento delle aziende, delle pubbliche amministrazioni, dei servizi, del terziario. In questo modo il lavoro può dare un grande contributo alla modernizzazione del nostro paese, così necessaria, anche per uscire in positivo da questadifficilissima fase di crisi economica.

* Segretario Confederale CISL

LA BANCA PAGA. I SUOI TOP MANAGER

La tabella riporta i compensi che le banche italiane quotate hanno corrisposto nell’esercizio 2007 agli amministratori delegati ed ai presidenti e vicepresidenti dei consigli di amministrazione e –nelle società con governance duale – dei consigli di gestione e di sorveglianza. I dati sono desunti dalla nota integrativa al bilancio civilistico che ogni società quotata è tenuta a pubblicare.

Per una corretta lettura della tabella è bene tener conto di alcune precisazioni.

–         Gli emolumenti comprendono sostanzialmente i compensi per la carica deliberati dall’assemblea o, talvolta, dal Consiglio di amministrazione. I benefici non monetari comprendono i fringe benefit; i bonus e altri incentivi comprendono le quote di retribuzione variabile, legata ai risultati aziendali o al raggiungimento di obiettivi di budget; gli altri compensi comprendono una moltitudine di altri possibili casi, dagli emolumenti per cariche in società controllate, agli stipendi percepiti in qualità di dipendenti (ad esempio, qualora cumulino con la carica di amministratore quella di direttore generale), alle indennità di fine carica, ad altri casi ancora (tant’è che lunghe e fitte note a piè di pagina spiegano sovente la composizione di tale voce).

–         Tra gli altri compensi può rientrare anche il controvalore “definitivo” delle stock option, effettivamente percepito dagli amministratori quando esse vengono esercitate (acquistando le azioni opzionate e, di solito, vendendole immediatamente). La tabella non riporta, invece, il controvalore “teorico” delle stock option ancora in essere, poiché esso non è riportato nella nota integrativa. Di conseguenza, il computo delle remunerazioni dei massimi dirigenti bancari fornito dalla tabella risulta indicativo ma “di prima approssimazione”.
–         Una visione d’insieme sui piani di stock option in essere si può ricavare da un prospetto distinto (pure riportato in nota integrativa) che evidenzia la dinamica numerica delle opzioni nel corso dell’anno e il relativo prezzo di esercizio (ma non – si è detto – il controvalore “teorico”, né la sua variazione nel corso dell’anno). La tabella riporta i cinque casi in cui gli amministratori delegati sono beneficiari di piani di stock option, ricavati dalla lettura del prospetto citato.
–         I dati si riferiscono a quanto effettivamente percepito dai top manager nell’esercizio 2007. In qualche caso, le cifre riportate sono riferite a periodi più brevi (in caso di entrata in carica o dimissioni in corso d’anno). Salvo nel caso del Banco Popolare, esplicitamente segnalato (e riferito al periodo post-fusione con la Banca Popolare di Lodi), nella tabella non sono riportati altri casi.
–         Si può notare che quattro top manager (De Censi, Innnocenzi, Leoni e Rampl) hanno cariche (e compensi) in più di una banca quotata. Non vengono invece evidenziati qui i casi (frequenti) in cui i banchieri che figurano nella tabella percepiscono anche compensi di “semplici” consiglieri in cda o in cdg/cds di altre banche.
Questo è dunque il quadro dei compensi dei banchieri italiani nell’anno in cui la crisi finanziaria non era ancora iniziata e nemmeno immaginabile. Un anno dopo qualcosa è sicuramente cambiato, in peggio, per coloro che sono compensati con stock option e bonus. Per gli altri, c’è da scommettere, la “busta paga” è rimasta immutata. Ma saranno i bilanci dell’esercizio 2008 a dircelo.

UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI: RISPOSTA AL COMMENTO DI VITO TANZI

Vito Tanzi, nel suo commento al nostro contributo sul ruolo della politica fiscale nella attuale congiuntura, solleva domande importanti. Le risposte sono in buona parte contenute nella versione completa della nostra nota: che inviteremmo i lettori interessati a consultare per ulteriori dettagli.
Vito Tanzi osserva che è inappropriato somministrare al malato “tutte le medicine a disposizione sperando che ce ne sarà qualcuna che avrà l’effetto desiderato”. Siamo naturalmente d’accordo. Infatti, la nostra nota identifica chiaramente una serie di medicine che non debbono essere usate (si veda anche la prima appendice alla nota). Tra queste si citano per esempio i condoni fiscali o i sussidi generalizzati. Sconsigliamo anche l’uso di  un aumento indiscriminato dei salari dei dipendenti pubblici e proprio per le ragioni spiegate da Vito Tanzi (che causano aumenti permanenti della spesa e che hanno effetti simili a tagli di tasse non adeguatamente mirati). La nostra nota conclude, sì, che è opportuno dare al paziente un cocktail di medicine, ma queste vanno scelte, ovviamente, tra quelle “buone” (sia sul lato della spesa che su quello della tassazione) ed evitando quelle che si sono dimostrate nocive in passato.
Vito Tanzi si chiede anche se aumenti della spesa pubblica siano appropriati. Di nuovo, la nostra nota non sostiene che sia appropriato aumentare indiscriminatamente la spesa pubblica (inclusi i salari). Tuttavia, in molti paesi, anche paesi avanzati, la spesa per investimenti pubblici è stata negli anni passati insufficiente a garantire un ammodernamento delle infrastrutture: accelerare lavori in corso, o l’iniziazione di buoni progetti già allo studio sembra un modo utile non soltanto a sostenere la domanda aggregata, ma anche a soddisfare esigenze di crescita di lungo periodo.
Quanto efficace sarà in pratica un’espansione fiscale? Qual è l’evidenza empirica in proposito? Esistono varie stime dei moltiplicatori fiscali in presenza di fluttuazioni cicliche “normali”. Il problema, peró é che la crisi attuale non è di proporzioni “normali” (in termini di intensità e, soprattutto, globalità) ed è quindi difficile trovare un confronto adeguato. L’unico paragone è quello della Grande Depressione, che viene discusso in una delle appendici alla nota. In particolare, l’insistenza ad applicare in quella occasione politiche fiscali “ortodosse” durante la presidenza Hoover è stata una delle cause dell’inasprimento della Grande Depressione. E, almeno secondo alcuni studi, l’espansione fiscale nella seconda parte degli anni ‘30 contribuì in modo decisivo alla ripresa.

UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI*

La soluzione delle crisi finanziaria ed economica richiede iniziative tempestive per salvare il settore finanziario e sostenere la domanda aggregata. L’analisi svolta dal Fondo Monetario sulle precedenti crisi finanziarie insegna che una soluzione rapida dei problemi finanziari è cruciale per assicurare una forte crescita negli anni successivi. L’esperienza ci dice anche che una risposta fiscale tempestiva, forte e attenta nella scelta degli strumenti è fondamentale.

FACCE DI PARAFFINA

Un’idea di come la cultura della concorrenza e il rispetto degli utenti sono incardinate nelle imprese pubbliche, non solo italiane, si può desumere indirettamente dai procedimenti antitrust nei quali sono state coinvolte. Illuminante il caso di Eni. Negli ultimi tre anni le Autorità italiana ed europea l’hanno condannata a pagare sanzioni per più di 840 milioni per abuso di posizione dominante e partecipazione a cartelli. Somme ricadute su consumatori e gli azionisti, mentre non c’è stata alcuna conseguenza per dirigenti e manager, che quelle condotte hanno attuato.

UN NUOVO RIORIENTAMENTO POLITICO?

Martedi 4 novembre 2008 è un giorno che verrà ricordato per sempre nella storia americana e mondiale. Barack Obama è il primo presidente di colore eletto negli Stati Uniti. Barack Obama è anche il primo presidente nato da padre straniero (dal Kenia) e che è cresciuto anche all’estero (Indonesia). Barack Obama si è anche distinto nel mondo accademico come primo presidente afroamericano della prestigiosa rivista Harvard Law Review.  La sua storia è ancora più incredibile quando comparata alla biografia di George W. Bush che, nato in una famiglia privilegiata, ha semplicemente seguito le orme paterne per entrare all’università di Yale, entrare in politica, e alla fine alla casa bianca. La storia di Obama astutamente raccontata ha infiammato milioni di americani che hanno contribuito con donazioni e lavoro volontario durante la lunga campagna elettorale. La febbre di Obama si è estesa ad altri paesi ed oggi il mondo intero ha grandi aspettative per il primo presidente di colore. Ma sarà in grado Obama di realizzare queste grandi speranze?

La capacità di Obama di realizzare le sue promesse di cambio e di una politica nuova dipendono dalla sua capacità di formare coalizioni che possano sostenere la sua politica. Gli storici della politica americani hanno chiamato “political realignments” (riorentamento politico) quei particolari momenti in cui una grande figura politica forma una nuova coalizione domina il mondo politico per una generazione. Questi riorentamenti sono di solito formati attorno ad una proposta forte che cambia il dibattito politico e non solo l’esito di una elezione. Gli Stati Uniti hanno conosciuto grandi riorentamenti politici nelle elezioni del 1800, 1828, 1860, 1932, e 1980. Nel 1800, l’elezione di Jefferson ha segnato l’inizio della “democrazia agraria” in cui i proprietari terrieri avevano il potere e l’asse politico americano si è spostato dal New England agli stati del sud. Nel 1828, l’elezione di Jackson ha rappresentato l’ascesa al potere di una nuova classe politica più dinamica interessata all’espansione territoriale. Nel 1860, l’elezione di Lincoln ha segnato la fine della schiavitù e lo spostamento dell’asse politico al Nord negli stati che si stavano industrializzando rapidamente. Nel 1932, l’elezione di Roosevelt ha iniziato il “New Deal,” una nuova alleanza sociale e politica per il rilancio dell’economia. Nel 1980, l’elezione di Reagan ha segnato una nuova alleanza conservatrice che proponeva una politica forte e di confronto con l’Unione Sovietica, una politica economica molto liberista con una riduzione del ruolo dello stato e una politica sociale molto conservatrice.

Dal 1980, la politica americana è stata dominata dall’alleanza costituita da Reagan. La base politica (“silent majority”) ha appoggiato questo programma economico e sociale molto conservatore. Lo stesso Clinton ha continuato molte politiche dei sui immediati predecessori. Per rafforzare le sue credenziali moderate, l’allora candidato Clinton diede il via libera per giustiziare un infermo di mente che si trovava nel braccio della morte in una prigione dell’Arkansas. In ambito fiscale, Clinton è stato molto conservatore, preferendo pareggiare il bilancio invece di favorire un aumento delle spese sociali. La riforma della salute è stata rimandata, lasciando milioni di americani senza copertura assicurativa. La riforma del sistema previdenziale del 1996 ha tagliato molti benefici. In politica estera, la fine dell’Unione Sovietica ha tolto una delle più grosse differenze tra repubblicani e democratici. La presidenza George W Bush ha portato all’estremo queste politiche introducendo forti tagli fiscali, specialmente per i ricchi, e facendo una politica estera estremamente aggressiva. Perché il paese ha per lungo tempo appoggiato tali politiche che alla fine favorivano economicamente solo un gruppo ristretto di super ricchi? Perché la maggioranza degli elettori ha favorito politiche che hanno lasciati i salari reali per la maggioranza dei lavoratori praticamente stabili negli ultimi 8 anni? Secondo molti osservatori politici (incluso il premio Nobel Krugman che sostiene per l’appunto il primato della politica sull’economia) il peccato originale della politica americana che è alla base della coalizione politica formata nel 1980 è lo spauracchio del razzismo. La maggioranza bianca ha avuto paura dell’integrazione forzata tra bianchi e neri che si pensava lo stato volesse imporre negli anni 60’.  Lo scetticismo nei confronti dello stato “integratore forzato”, che vuole a tutti i costi integrare neri e bianchi, insieme alla ribellione contro le tasse spiega come il grande tema del riorentamento iniziato nel 1980 si sia basato proprio il ripudio dello stato. L’elettore medio americano ha rifiutato uno stato che voleva diventare “architetto sociale” e tassava troppo. Seguendo questo modello all’estremo, George W. Bush si èappoggiato pienamente alle forze più conservatrici, in particolare la destra religiosa.

Questo era lo scenario in cui è partita la campagna elettorale per le elezioni 2008. Nonostante la retorica, nessun candidato aveva intenzione di cambiare la coalizione che ha retto il paese dal 1980. Lo stesso Obama ha condotto la campagna politica durante le elezione primarie in modo abbastanza conservatore non proponendo un’assicurazione medica universale, evitando il tema dell’integrazione razziale, facendo vaghe promesse di riconsiderare i trattati commerciali internazionali, proponendo di cancellare (parzialmente) i tagli fiscali di Bush (ma solo per i ricchi), evitando i grandi temi sociali come il matrimonio tra omosessuali. Il tema più progressista era proporre la fine della guerra in Irak. Insomma, alcuni cambi per cambiare gli aspetti più impopolari delle politiche di Bush ma nessun grande riorentamento. Sotto molti aspetti, Obama ha condotto una campagna politica più a destra e meno coraggiosa di Hillary Clinton e, forse anche per questo, ha vinto.

Dato l’andamento negativo dell’economia e i problemi in Iraq e Afghanistan, e la stanchezza di avere un’amministrazione percepita come incompetente, l’opinione pubblica si stava orientando in favore del candidato democratico. Dopo una sostanziale parità nei sondaggi ancora all’inizio di maggio, il vantaggio di Obama è cominciato ad aumentare durante l’estate. A questo punto, McCain ha giocato una carta inaspettata dimostrando una volta ancora la sua capacita di sorprendere: come candidata vice presidente ha scelto Sarah Palin, sconosciuta governatrice dell’Alaska e rappresentatnte della destra religiosa.

La scelta di Palin come candidata vice presidente è interessante perché McCain si era sempre rifiutato di avvicinarsi alla destra evangelica chiamandone suoi rappresentanti erano “agenti dell’intolleranza”. Questi commenti gli erano costati la sconfitta nelle primarie nel 2000 contro Bush che invece aveva il pieno appoggio. Scegliendo Sarah Palin, McCain è quindi andato a Canossa nel disperato tentativo di riformare la coalizione del grande riorientamento del 1980, che comprendeva anche la destra religiosa. Questo patto faustiano sembrava aver funzionato. In pochi giorni, all’inizio di settembre McCain ha guadagnato più di sei punti nei sondaggi portandosi in vantaggio. Sfortunatamente per i repubblicani, il rapido peggiorare della crisi finanziaria dopo il fallimento della banca di investimento Lehman Brothers ha favorito ancora i democratici. Le elezioni del 4 novembre hanno dato ad Obama il 52.6 percento del voto popolare contro il 46.1 di McCain. Una vittoria quindi con dei dubbi: se non ci fosse stata una drammatica crisi finanziaria in settembre (con una risposta del governo abbastanza incompetente) la vecchia maggioranza politica del 1980 avrebbe vinto un’altra volta?

La risposta a questa domanda non la sapremo mai. Ma molte ragioni ci fanno pensare che sia in corso un nuovo riorientamento dell’asse politico come nel 1980. I grandi riorientamenti politici sono avvenuti in corrispondenza di grandi crisi economiche; in particolare, i cambi del 1932 e del 1980 sono avvenuti in conseguenza della grande depressione e della stagflazione degli anni 70. Il cambio del 2008 è avvenuto nel mezzo di una gravissima crisi finanziaria che sta portando ad una severa recessione. Tutti i grandi cambi politici sono avvenuti in risposta allo scetticismo sulla capacità delle istituzioni precedenti di risolvere i problemi; negli anni 30, i meccanismi di riequilibrio del mercato sono stati messi in discussione; nel 1980, c’era molto scetticismo sulla capacità dello stato di risolvere i problemi. I grandi riorientamenti politici sono stati appoggiati da nuove maggioranze. Obama è riuscito a fare rientrare nel gioco politico gli afro-americani, gli emigranti con cittadinanza americana, i giovani. Forse ancora più importante, Obama facendo una campagna che ignorava il fattore razziale ha implicitamente smontato lo spauracchio razziale su cui si fondava la politica americana moderna. Probabilmente senza la crisi finanziari, Obama non sarebbe stato eletto ma ora con 4 anni di potere davanti a sé potrà definitivamente convincere il ceto medio americano che la politica non deve essere dominata da paure razziali. In conclusione, un riorientamento politico sta forse avvenendo in questi mesi un po’ per la crisi finanziaria, un po’ perché Obama sarà il primo presidente di colore, un po’ perché l’America era diventata molto scettica del presidente attuale.

Ma se un riorientamento è in corso, quali sono i suoi contenuti? La grande sfida di Obama sarà di reintrodurre il ruolo dello stato in vari settori dove l’iniziativa privata lasciata a se stessa non è riuscita a trovare soluzioni soddisfacenti: l’equilibrio nei mercati finanziari, la salute, l’educazione, le grandi infrastrutture.  I cambi della politica estera sono importanti per gli Europei, ma sono sicuramente di secondo ordine rispetto alle sfide della politica interna.

Edoardo Vianello

LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Raccogliendo il disagio diffuso per lo stato dell’Università italiana, gli studenti di Alternativa Democratica hanno cercato di far sentire la loro voce sull’argomento, approfittando dell’occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico in Bocconi. Il risultato della mobilitazione ha visto come soluzione la proposta, da parte dell’Università, di consegnare una lettera firmata da tutti i rappresentanti degli studenti nelle mani del Presidente della Repubblica. Questa iniziativa, che per la natura delle proposte come per i metodi messi in atto, avrebbe avuto per lo meno il merito di rappresentare una prospettiva riformista sull’argomento, è stata trattata dalla stampa con una certa superficialità. Invitiamo tutti i lettori al workshop che si terrà all’Università Bocconi il 14 novembre.

LA RISPOSTA DI RENATO BRUNETTA

Con la rilevazione pilota di luglio 2008 il Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione ha voluto fornire un primo monitoraggio degli effetti della nuova normativa, introdotta con il decreto legge n. 112 (Legge 6 agosto 2008, n. 133), sulle assenze per malattia dei dipendenti pubblici, a poche settimane dalla sua approvazione.
Certo: vi era la consapevolezza che l’assenza di un vero campione statistico poteva comportare il rischio (improbabile, a dire il vero) di distorsioni. Ma in quel momento l’obiettivo prioritario era capire – fin da subito – se la strada imboccata era quella giusta, e non solo quantificare con precisione gli effetti dell’intervento. In questi mesi, però, il nostro lavoro non si è fermato. Ad agosto, grazie al contributo fornito dall’Istat, il piano di indagine utilizzato per il monitoraggio delle assenze per malattia è stato ridisegnato sotto il profilo metodologico e operativo.
A partire dal mese di settembre, l’Istat ha provveduto a definire i disegni di campionamento per le amministrazioni pubbliche più numerose, con specifiche procedure per il trattamento delle mancate risposte, finalizzate a eliminare gli eventuali fenomeni di autoselezione. I risultati delle nuove rilevazioni sono disponibili alla pagina:

http://www.funzionepubblica.it/ministro/pdf_home/Monitoraggio_AgoSet08.pdf

Ringraziamo il ministro Brunetta per la risposta. Approfondiremo, nei prossimi giorni, i dettagli dell’indagine e la metodologia con cui è stata realizzata.

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