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Autore: Giuseppe Marotta

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Giuseppe Marotta è ordinario di Economia Politica nell’Università di Modena e Reggio Emilia, presidente del corso di Laurea Magistrale in Analisi, Consulenza e Gestione finanziaria e direttore del centro di ricerca Cefin. E’ editor-in-chief della rivista Politica Economica – Journal of Economic Policy. I suoi interessi di ricerca riguardano l’intermediazione bancaria e la regolamentazione finanziaria, crisi finanziarie e la vigilanza macroprudenziale, la trasmissione della politica monetaria, il credito commerciale, la previdenza complementare e l’educazione finanziaria.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie per i commenti. Non si può non concordare con quello che interpreta l’episodio come un  sintomo della tensione tra una politica monetaria unica e un quadro di politica economica frammentato su linee nazionali. Aggiungo che in un momento in cui si avanzano con enfasi proposte per rifondare la finanza sulla base di regole e di richiami all’etica colpisce che un paese fondatore dell’UME proponga norme che, oltre ad andare contro consolidate regole contabili e fiscali, intaccherebbero l’indipendenza finanziaria e istituzionale della Banca d’Italia e dunque dell’Eurosistema di cui questa è parte integrante.  Da qui discendono, tra l’altro, le funzioni eminentemente pubbliche di un istituto di diritto pubblico. Questi aspetti non sono inficiati dal dato storico di banche e assicurazioni private, oltre a enti pubblici, tra gli azionisti. Un esempio a questo riguardo è la remunerazione puramente simbolica del capitale, mentre è lo Stato, tra imposte sui redditi societari e retrocessione che ottiene benefici prevalenti dalla redditività della Banca d’Italia.
Tornando alle regole che, se accettate, devono poi essere  rispettate se se ne vuole preservare la credibilità e quindi l’efficacia segnaletica nei confronti degli operatori di mercato, merita di essere sottolineato che  il secondo parere del 24 luglio della BCE; curiosamente, a differenza del primo, di questo non c’è sinora traccia nei comunicati stampa del MEF né  sul sito della Banca d’Italia) sull’emendamento all’originaria norma sulla tassazione delle plusvalenze auree è, se possibile, ancor più negativo (o se si vuole “più ostativo”) sui temi dell’indipendenza finanziaria e istituzionale della Banca d’Italia e dell’incompatibilità del divieto di finanziamento monetario del settore pubblico. Ciò lascia facilmente intravvedere il rischio concreto dell’apertura di una procedura d’infrazione per violazione delle prerogative della BCE ai sensi dell’art. 230 del Trattato.
Molte delle obiezioni all’emendamento presentato il 15 luglio erano prevedibili; non si può escludere che la durezza formale nelle dettagliate argomentazioni della BCE sia  stata stimolata anche dalle forme nella risposta al primo parere. Basta ricordare l’evoluzione nell’aggettivazione del previsto parere della BCE, da favorevole a non ostativo; un inciso, che si presta a interpretazioni beffarde, “ nella misura idonea a garantire l’indipendenza finanziaria e istituzionale della Banca centrale” in successive versioni dell’emendamento;  motivazioni nella lettera del Ministro al Presidente della Camera circa la ratio di un’imposizione sulle plusvalenze maturate, anche se non realizzate, che suggeriscono un’analogia, che non esiste nel nostro ordinamento, tra il trattamento fiscale dei redditi da capitale per le persone fisiche che sottoscrivono fondi comuni di diritto italiano e quello di una società.  

PERCHÈ LA BCE NON VUOLE LA TASSA SULL’ORO

La Bce ha dato parere negativo all’imposta sulle plusvalenze sulle riserve di metalli preziosi per uso non industriale, prevista nel decreto anticrisi. La norma metterebbe a rischio l’indipendenza finanziaria della Banca d’Italia, con ripercussioni negative sulla conduzione della politica monetaria dell’intero eurosistema. E potrebbe consentire l’aggiramento del divieto imposto dal Trattato al finanziamento dello Stato da parte della banca centrale nazionale. Un ripensamento sulla politica di riserve ufficiali potrebbe esserci alla scadenza del Gold Agreement.

Tetto più alto all’uso del contante: quei dati non convincono

La relazione illustrativa della legge di stabilità giustifica l’innalzamento del tetto sull’uso del contante in base al valore delle banconote in circolazione e al numero di cittadini che non hanno accesso a conti correnti o carte di credito. Ma in entrambi i casi si tratta di dati non corretti.

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