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Autore: Giorgio Ragazzi Pagina 3 di 5

ragazzi Allievo di Francesco Forte, ha lavorato come economista al Fondo Monetario Internazionale, quindi come dirigente nel settore finanziario di una multinazionale. Tra il 1980 ed 1984 è stato direttore esecutivo della Banca Mondiale. Ha quindi insegnato, all’Università di Bergamo, i corsi di Politica economica e Scienza delle finanze e, per due anni, Finanza alla LUIS. Oggi in pensione, svolge attività di consulenza.

L’autostrada non cambia percorso

Nel giro di tre anni sono scadute sei concessioni autostradali. Era l’occasione per impostare una politica che superasse, sia pure gradualmente, le tre storiche deficienze strutturali del sistema. Non è andata così.

Un altro incentivo senza ragione

Un decreto legge accorda incentivi per interventi destinati a ridurre l’uso di combustibili per la generazione di calore. Il costo sarà scaricato sulle bollette del gas, con un danno alla competitività delle imprese italiane, già penalizzate dai sussidi concessi al fotovoltaico.

Quelle bilance da riequilibrare

Quando è stato introdotto l’euro gli squilibri delle bilance dei pagamenti correnti erano molto contenuti e non strutturali. Ma nei sette anni successivi il surplus corrente della Germania è esploso ed è ormai il più alto al mondo, superiore persino a quello della Cina. Parallelamente, sono anche cresciuti enormemente i disavanzi dei cinque paesi dell’area mediterranea. È una situazione insostenibile, ma le soluzioni “classiche” sono di difficile applicazione perché inaccettabili dalla Germania o efficaci solo nel lungo periodo. L’ipotesi di agire sull’Iva.

FOTOVOLTAICO: FINITA LA FESTA RIMANE IL CONTO DA PAGARE

Nonostante la recessione, un settore industriale ha continuato a crescere in Italia: il fotovoltaico. Grazie agli incentivi, pagati dagli italiani con aumenti delle bollette elettriche. Tra l’altro, la crescita della produzione da fonti rinnovabili avviene mentre scende la domanda complessiva di energia elettrica. Senza contare lo sbilanciamento della rete dovuto alla forte variabilità della produzione fotovoltaica ed eolica, che finirà per aumentare il costo richiesto dai gestori di centrali termoelettriche per tenere a disposizione un’alta capacità di riserva.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Credo che la BCE abbia fatto il massimo per allentare la crisi dell’euro. Essa si trova al centro di una situazione oggettivamente conflittuale: ad esempio, per la Germania sarebbe opportuna una rivalutazione dell’euro mentre per gli altri paesi (Francia inclusa) una svalutazione aiuterebbe a recuperare competitività. Se la BCE intervenisse acquistando valuta estera, indebolendo così il cambio e creando nuova base monetaria, i rapporti già difficili con la Bundesbank potrebbero diventare incendiari. E’ difficile poi negare che esistano notevoli rischi per i saldi Target 2. Non si vede come le banche irlandesi o greche (o italiane?) potranno riuscire a rimborsare, tra meno di tre anni, i prestiti ricevuti dalla BCE. In via di diritto eventuali perdite dell’eurosistema devono essere coperte pro quota da tutte le BCN azioniste della BCE. Tuttavia, nella sostanza, la Bundesbank si trova con un credito di 500 miliardi verso gli altri paesi dell’UME e chi può dire cosa succederebbe a questo credito se qualche “grosso” paese fosse costretto ad uscire dall’euro?

BILANCE DEI PAGAMENTI: L’EUROSISTEMA NON BASTA

Gli squilibri nelle bilance dei pagamenti di parte corrente dei paesi europei non sono stati un problema finché i mercati finanziari hanno ritenuto che l’appartenenza stessa all’area euro garantisse la solvibilità degli stati membri. Tutto è cambiato con la crisi finanziaria. Gli interventi della Bce hanno riportato la calma, ma la possibilità di ricorrere all’Eurosistema ora sembra esaurita. Nel lungo termine la sopravvivenza dell’euro dipende dal superamento degli squilibri strutturali e dunque dalla riduzione del divario di competitività accumulato con Germania e Olanda.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Renzo Moser sostiene che il “Fondo ferrovia” (450 milioni ad oggi) debba ritenersi di proprietà della società Autobrennero (“SAB”) in quanto accumulato a fronte di utili non distribuiti agli azionisti. Non essendo un giurista, mi limito ad osservazioni di tipo economico. L’obbligo ad effettuare accantonamenti annui minimi al fondo e l’esenzione da imposte farebbero propendere per ritenere che la proprietà sia dello Stato (che, rinunciando alle imposte, ha contribuito per oltre un terzo del fondo). Altrimenti, l’esenzione da imposte sarebbe davvero anomala e difficile da giustificare: esistono in Italia altri casi analoghi? La fattispecie va poi inquadrata nel contesto del rapporto concessorio. La concessione della SAB scadeva nel 2005, e l’autostrada già allora era stata interamente ammortizzata, pur dopo rivalutazioni monetarie e capitalizzazione di oneri (vedasi il mio libro citato nell’articolo). Ma la SAB ottenne, gratuitamente, una proroga della concessione di 8 anni e 4 mesi, sino all’aprile 2014, grazie anche all’impegno di accumulare il fondo ferrovia. Gli utili conseguiti dalla SAB in questi 8 anni sono di gran lunga superiori agli accantonamenti nel fondo. Anche se venisse deciso che la proprietà del Fondo è dello Stato, non mi pare che gli azionisti avrebbero di che dolersi.
Se lo Stato avesse ripreso la concessione nel 2005 e l’avesse gestita in proprio (es tramite Anas) avrebbe potuto accumulare ben più del doppio per destinarlo magari proprio alla ferrovia del Brennero. Un’ultima osservazione. Ai tanti che in questo come in altri casi di concessionarie si appellano indignati ai diritti degli azionisti suggerisco di rifare la storia di queste società e verificare quanto abbiano mai versato gli azionisti all’origine. Nel caso della Autobrennero, meno di 3 miliardi di lire di allora, cifra davvero risibile se confrontata con il flusso di dividendi percepiti e l’imponenza dei profitti accumulati.

SCIPPO SULL’AUTOBRENNERO

L’Anas ha pubblicato di recente il bando di gara per il rinnovo della concessione dell’autostrada A22. La gara è stata imposta dall’Unione Europea e il testo è un documento stupefacente per superficialità e carenze logiche. Disegnato in modo da favorire l’attuale concessionario. A tutto discapito non solo della trasparenza, ma anche del ricavo di circa 5 miliardi che lo Stato potrebbe ottenere. O dei benefici che potrebbero avere gli utenti in termini di minori tariffe. Incomprensibili poi cinquanta anni di concessione per una infrastruttura matura.

BOLLETTA ELETTRICA: STANGATA DA RINNOVABILI

Ai primi di settembre, la potenza degli impianti fotovoltaici per cui è stato chiesto il sussidio ha superato i diecimila megawatt. Con quali ripercussioni sulle bollette elettriche degli italiani? Nel complesso, si può prevedere un aumento dell’11 per cento per il consumatore tipo. Intanto, il costo dei sussidi arriverà a sei miliardi nel 2012. E in virtù del fatto che gli incentivi al fotovoltaico sono dovuti per venti anni, il debito accumulato è di 120 miliardi. Né una simile politica si può giustificare con un minore inquinamento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Una precisazione. Mi pareva chiaro, nel contesto, che “energia termica”, contrapposta a “energia fotovoltaica” fosse una abbreviazione per “energia (elettrica da fonte) termica”. Quanto alle stime, nessuno può sapere con esattezza quanta potenza verrà allacciata con tariffe 2010. Alcuni, vedasi Corriere dell’Economia 4.4.2011, riportano stime maggiori delle mie. Nel decreto appena uscito la stima è di un costo annuo di 3,5 miliardi, penso molto prudenziale e comunque non lontano dai 4 miliardi da me citati.
Nel nuovo decreto si prevede che a fine 2016 si arriverà ad una potenza di 23 mila MW, con un costo annuo per sussidi di 6-7 miliardi di euro. La produzione di energia elettrica da fotovoltaico arriverebbe dunque a circa 28.000 GWh, il 9% di 300 mila GWh, che è tutto il consumo italiano di energia elettrica (in diminuzione da alcuni anni). Al prezzo di mercato di 65 euro per GWh la produzione italiana “vale” un po’ meno di 20 miliardi di euro: si conclude che per produrre quel 9% il costo complessivo dell’energia elettrica in Italia aumenterà del 30-35%. Aggiungendo i sussidi alle altre rinnovabili nel 2016 avremo aumentato di oltre il 50% il costo dell’energia elettrica in Italia: davvero un’ottima politica energetica! 
Ma il costo del fotovoltaico non si limita ai sussidi pagati. Nessuno sembra considerare gli effetti sull’equilibrio della rete. Un impianto fotovoltaico produce mediamente attorno a 1300 ore l’anno, cioè il 15% del tempo. Se la produzione da fotovoltaico raggiunge il 9% del totale annuo significa che quando c’è buona insolazione potrebbe fornire più del 50% di tutta l’energia richiesta. Poiché i ritiri di energia da fonti rinnovabili hanno la precedenza, tante centrali termoelettriche dovranno allora interrompere la produzione: come, visto che quelle centrali non possono essere accese e spente ad libitum? Quanti altri indennizzi saremo chiamati a pagare per compensare queste perdite?

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