Lavoce.info

Autore: Francesco Daveri Pagina 25 di 28

daveri

È stato Professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell'Università Bocconi, dove insegnava Macroeconomics, Global Scenarios ed è stato direttore del Full-Time MBA. Ha insegnato in varie università come l’Università Cattolica (sede di Piacenza), Parma, Brescia, Monaco e Lugano. Ha svolto attività di consulenza presso il Ministero dell’Economia, la World Bank, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Le sue ricerche si sono concentrate sulla relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Ha collaborato con il Corriere della Sera e ha fatto parte del comitato di redazione de lavoce.info, di cui è stato Managing editor dal 2014 al 2020. Scomparso il 29 dicembre 2021.

MA LA LIBERALIZZAZIONE DEVE PROSEGUIRE

Salvare le banche in difficoltà oggi non è abbastanza. Occorre continuare a favorire la concorrenza, anche facilitando l’ingresso di banche straniere che di solito apportano maggiore efficienza operativa. E si dovrebbe anche imporre l’offerta di alcuni contratti standard, per accrescere la comparabilità delle condizioni proposte da istituti diversi. E’ solo riportando nell’agenda politica la liberalizzazione del settore bancario che sarà possibile restituire alle famiglie e alle imprese una parte dei potenziali benefici del salvataggio.

L’EUROPA CHE NON C’E’

Non ci sarà un piano Paulson per l’Europa. La Commissione Europea non ha le risorse e i singoli governi sono troppo preoccupati dei destini delle loro banche nazionali per destinare, nelle attuali circostanze, risorse ad un progetto collettivo. E’ nei momenti difficili che ci accorgiamo che l’Europa politica non c’è.

VENTI DI DEFLAZIONE

I consumatori italiani si preoccupano molto dell’inflazione. Invece nei prossimi mesi il pericolo da cui l’Italia e l’economia mondiale in generale dovranno guardarsi potrebbe essere la riduzione generalizzata dei prezzi. I venti deflazionistici soffiano sulla scia del rallentamento indotto dalle restrizioni del credito seguite alla crisi dei mutui che pian piano si sta trasmettendo a tutta l’economia americana prima e poi all’Europa. Ma di deflazioni non se ne sono più viste dopo gli anni Trenta. Ed è particolarmente difficile combattere un fenomeno che non si conosce.

UNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’EUROPA: LA RECESSIONE TEDESCA

L’Eurostat ha comunicato che nel secondo trimestre 2008 le economie europee stanno rallentando rispetto al primo trimestre: il Pil è rimasto fermo (-0,1%) nell’Europa a 27 ed è sceso più marcatamente (-0,4%) nell’area euro. Il rallentamento ha soprattutto a che vedere con il netto peggioramento dell’economia tedesca che nel primo trimestre 2008 aveva fatto registrare un +1,3% grazie al traino delle esportazioni nell’Est Europa, in Russia e in Cina e a una sostanziale tenuta dei consumi. Nel secondo trimestre, la festa è finita. Il Pil tedesco è sceso dello 0,5%, la riduzione più consistente in tutti i paesi europei. E le brutte notizie proseguono anche nei mesi più recenti. Le vendite al dettaglio in Germania sono scese dell’1,5% in luglio, più o meno come in giugno, dopo che nei mesi precedenti si erano alternati dati positivi e negativi. E anche l’avanzo della bilancia commerciale è sceso del 30% circa in luglio. Colpa della bolletta petrolifera e della drastica diminuzione dell’export. Certo, dalla metà di luglio ad oggi, tutto è cambiato: sui mercati delle materie prime la deflazione ha preso il posto dell’inflazione e ora l’euro si sta deprezzando nei confronti del dollaro. Ma per vedere qualche effetto bisognerà aspettare i primi mesi del 2009. Intanto, la prospettiva che l’economia tedesca entri in recessione con una crescita del Pil negativa nel terzo trimestre (si parla di “recessione” di fronte a una diminuzione consecutiva per due trimestri del Pil) è molto concreta.
Le brutte notizie dalla Germania sono brutte notizie per tutta l’Europa (il Pil tedesco è un quinto del Pil dell’Europa a 27). Sono soprattutto brutte notizie per l’Italia per la quale la Germania rimane il principale mercato estero di sbocco. In questo scenario di rallentamento dei mercati esteri, sostenere i consumi interni, soprattutto dei meno abbienti, diventa cruciale. Per questo il governo deve proseguire con anche maggiore decisione la strada intrapresa di riduzione della spesa pubblica in modo da creare un po’ di spazio a mirate riduzioni di imposta che non peggiorino i nostri sempre scricchiolanti conti pubblici.

CINQUE NUMERI SUL G8

I governi dei G-8 (in ordine alfabetico: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) sono riuniti in Giappone a parlare, come sempre, dei destini del mondo. Per capire che tipo di decisioni possono uscire dalla loro riunione è utile tenere a mente cinque numeri che riassumono chi sono e che cosa rappresentano i G-8:

– sono il 40% del PIL mondiale (misurato correggendo per le differenze nella parità dei poteri di acquisto).
– producono il 25% del petrolio mondiale
– consumano il 50% del petrolio mondiale
– sono il 13% della popolazione mondiale.
– ospitano il 5% dei malati ancora vivi di AIDS.

Sono cioè un club di paesi ricchi con un gran bisogno di un’energia che producono in misura insufficiente alle loro necessità. Ma sono quasi irrilevanti sul totale della popolazione mondiale. Ed è quasi impossibile che, tra un meeting e l’altro, presi dalla politica di tutti i giorni, si ricordino dei malati di AIDS e delle altre epidemie cui ogni volta promettono qualche spicciolo. Dunque, mettiamogli pure addosso i riflettori dei media. Ma nel valutare la credibilità dei loro impegni per la fame nel mondo e le loro prediche sull’ambiente teniamo in mente i cinque numeri ricordati sopra.

UN BEL DAZIO ANTI-INFLAZIONE?

Il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, di fronte ad una platea amica a Mogliano Veneto (TV), ha lanciato la sua idea: ci vorrebbe un dazio europeo per aumentare la produzione agricola interna, difendere il mercato dei prodotti agricoli e, in tal modo, combattere l’aumento dei prezzi dei cereali. Non ci posso credere, direbbe Aldo del popolare trio Aldo, Giovanni e Giacomo. L’inflazione in giugno ha raggiunto il 3,8%, mai così alta da 12 anni. Pane e pasta hanno contribuito a questo aumento rispettivamente con un +13% e +22% annuo. E il ministro, non contento di ciò che passa il mercato mondiale di questi tempi, vuole anche tassare le importazioni di cereali. E’ vero che una tassa sulle importazioni, dicono i libri di economia, favorisce i produttori interni a discapito di quelli esteri. Ma lo fa a discapito del benessere complessivo dell’economia perché incoraggia produttori forse italiani ma certamente inefficienti. E lo fa togliendo i soldi dalle tasche dei consumatori. A giudicare dai dati sull’inflazione, gli italiani con i problemi più grossi per arrivare alla fine del mese sono i consumatori, non i produttori, tanto meno i produttori di cereali che continuano a godere dei supporti di reddito garantiti dalla Politica Agricola Comune dopo la riforma del 2003. Almeno la Robin Tax di Tremonti è una tassa sui profitti che non aumenta i costi di produzione e quindi di per sé potrebbe non essere trasferita sui prezzi finali (anche se sulla benevolenza di petrolieri e banchieri sarebbe meglio non fare conto). Ma un dazio sulle importazioni di grano, no: aumenterebbe di sicuro i costi e sarebbe trasferito pari pari su più alti prezzi dei cereali, del pane e della pasta. Ministro Zaia, non sarebbe meglio ripensare alla sua idea ed evitare così di far piovere sul bagnato?

VENDITE, -2%: ARRIVA LA RECESSIONE?

Le vendite al dettaglio nell’aprile 2008 sono scese di due punti percentuali rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. E’ la temuta recessione che si avvicina a grandi passi? Troppo presto per dirlo. Come avverte l’Istat, il dato pubblicato riguarda il valore totale delle vendite, e incorpora quindi sia l’andamento delle quantità vendute che quello dei prezzi di vendita. Un segno “meno” complessivo può quindi essere il risultato sia di una riduzione delle quantità vendute che di una riduzione dei prezzi. Per gli alimentari ci sono pochi dubbi: i prezzi sono saliti (circa +6% su base annua nel 2007). Il segno “meno” è quindi da attribuire ad una flessione delle quantità vendute. Ma il segno meno per le vendite di alimentari è piccolo: solo -0,8%. Non sono gli alimentari i principali responsabili della flessione delle vendite: la voce delle vendite diminuita in modo più marcato è quella dei beni non alimentari (-3,4%). E qui siamo in dubbio: le nostre spese in prodotti non alimentari possono diminuire sia perché comperiamo meno telefonini ma anche perché il prezzo dei telefonini scende nel tempo. C’è poi da considerare che, nascoste sotto ai dati aggregati, succedono tante cose. Una di queste è la continuazione del processo di ristrutturazione nel settore della distribuzione. La grande distribuzione (nelle sue varie forme: ipermercati, supermercato, hard discount, grandi magazzini) per ora tiene, facendo segnare un più zero e qualche cosa rispetto ad un anno fa. E’ la piccola distribuzione a far segnare valori molto negativi. Se recessione è, dunque, per ora non è la recessione di tutti ma solo di qualcuno, quelli con le spalle meno larghe. Del resto era stato così anche nella ripresina del 2006-07: pochi grandi esportatori ci avevano guadagnato e molto, mentre i tanti piccoli avevano solo visto passare la locomotiva della ripresa in televisione.

W LA GERMANIA

L’AGENDA EUROPEISTA DEL NUOVO GOVERNO

Potere legislativo al Parlamento europeo, spazio transatlantico, emissione di Eurobond, tassazione coordinata dei consumi: le proposte di Tremonti sollevano problemi certamente esistenti. Soprattutto parlano di Europa, quando quasi nessuno ne parla più. Ma è un’Europa fortezza in un mondo fatto di accordi bilaterali, non un soggetto che contribuisce gradualmente alla formazione di un mondo multilaterale. Un’occasione di dibattito che l’opposizione non dovrebbe sprecare. Di temi analoghi si dicuterà al Festival dell’Economia di Trento dal 29 maggio al 2 giugno.

CRESCITA 2007: NIENTE DI NUOVO

Nel 2007 la crescita del Pil dell’Italia è stata inferiore di circa un punto percentuale a quella media dell’area euro. Ma particolarmente preoccupante è il confronto con Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Non si tratta di una novità: l’ultimo anno in cui il nostro paese è cresciuto più rapidamente dei quattro grandi in Europa è stato il 1995, quando la nostra industria beneficiò di una cospicua svalutazione. La crescita potenziale limitata dell’economia italiana di questi anni dovrebbe rendere più cauti gli schieramenti nelle promesse elettorali.

Pagina 25 di 28

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén