Lavoce.info

Autore: Daniela Del Boca Pagina 7 di 10

del boca

Ph.D. Università di Wisconsin-Madison, è Professore di Economia Politica all’Università di Torino e Fellow del Collegio Carlo Alberto. È anche Research Fellow dell’Institute di Human Development(IHDSC) della New York University, del network HCEO dell Università di Chicago e dell’ IZA (Bonn). È stata membro del Consiglio Generale della Compagnia San Paolo (2012-2020) e del Comitato Scientifico della Confindustria. I suoi interessi di ricerca riguardano l’economia della famiglia e del lavoro, le differenze di genere e degli investimenti nella prima infanzia. È Associate Editor del Journal oh Human Capital e Review of Economics of the Household. Dal 2000 è Direttore del Centro CHILD e di IEU (Unit of Evaluation) del Collegio Carlo Alberto. Nel 2007 è stata insignita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dell’Ordine del Merito della Repubblica Italiana e nel 2021 ha vinto il Premio Tarantelli.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie per gli interessanti commenti. Rispondo brevemente.

Alcuni lettori argomentano che il problema dell’alcol per i giovani è reale, non fittizio. Sono ben disposto ad accettare questo fatto. Mi sono limitato a osservare che la comune interpretazione della statistica citata dalla Moratti sembrava implausibile, e forse infatti lo era. Se al sindaco sembrava necessario citare una statistica, ne avrei preferito una più documentabile. Ha ragione il lettore che osserva che la relazione da me citata conteneva alcune statistiche a supporto della tesi che i giovani bevono in maniera diversa, e maggiore, che in passato. Però essa contiene anche altre statistiche di tendenza opposta. Per esempio, una delle tabelle in quella relazione dice che solo l’un per cento della fascia di età 11-15 anni beve fuori pasto.
Alcuni lettori sottolineano che sotto i vent’anni l’alcol procura danni cerebrali. Avevo sentito anch’io simili affermazioni, che per quel che ne so sono attendibili. Mi piacerebbe sapere quanto alcol ci vuole per produrre un danno quantificabile e significativo. In assenza di indicazioni precise, sono contento di avere passato una gioventù astemia! Poi, ho proseguito per eccesso di cautela.
Molti lettori sottolineano il ruolo che i genitori dovrebbero svolgere nell’educazione (in senso lato) dei figli, e che forse non svolgono più. Mi trovo d’accordo, e rispettosamente aggiungo il mio brontolio a quelli di centinaia di generazioni passate.O tempora, o mores!
Un lettore suggerisce di obbligare i proprietari dei locali a indennizzare i residenti del vicinato. Idea lodevole in teoria, ma poco pratica; sia per la difficoltà di stabilire un insieme di parti interessate, sia per la difficoltà di stabilire un indennizzo equo. Chi fosse esperto di Law and Economics riconoscerà nella proposta del lettore un sapore di Coase Theorem.

Grazie ancora per i commenti.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel nostro contributo ci interrogavamo sulla convenienza di  sfornare testate con immagini destinate a una parte dei lettori (gli uomini) e offensive di un’altra che é secondo noi altrettanto vasta (le donne o buona parte di esse).
Non volevamo suggerire nessuna relazione tra competenza a governare e immoralitá privata – ci sono, lo sappiamo, pessimi amministratori onesti.
Ma il tema che a noi premeva non era questo. Ci concentravamo invece su un problema che é specifico del mondo dell’informazione (soprattutto online) e ci chiedevamo quali fossero le ipotesi alla base di scelte editoriali che decidono di usare immagini di corpi femminili per attirare l’attenzione dei lettori.
E’ certamente vero come suggeriscono molti commenti che una lettura esclusivamente economica del fenomeno non e’ sufficiente.  Se cosi fosse,  dato che la proporzione di donne e uomini (nonché i rispettivi tassi di istruzione) sono piuttosto simili nei paesi europei, anche le testate straniere dovrebbero abbondare di queste immagini. Invece non è cosi come ci ricorda il lettore che vive in Finlandia.
Ma nel caso italiano l’elemento pregiudiziale è cosí pronunciato e forte da fare ombra anche alle ragioni economiche e del marketing. L’Italianità del fenomeno può essere legata in parte alla persistenza di una visione stereotipata e anacronistica del rapporto uomo/donna  che si riscontra sia negli atteggiamenti degli uomini italiani verso le donne  che, purtroppo, negli atteggiamenti passivi  o giustificativi di molte donne. Ma l’argomento dell’italianitá va articolato in ragioni piú certe ed empiriche per non rischiare di diventare esso stesso un pregiudizio-alibi.
L’italianità trova radici nella relativa maggiore debolezza, sociale e civile, delle donne italiane (le donne lavorano di meno, sono meno pagate, hanno ruoli più tradizionali anche in relazione alla vita domestica, partecipano di meno alla politica e quindi sono meno in grado di influenzare direttamente le scelte collettive). Come suggeriscono alcuni commenti va anche sottolineato che le donne  sono inoltre poco rappresentate nelle posizioni direttive in generale e in modo particolare in quelle legare al mondo del giornalismo. Nei quotidiani importanti pochissime sono le donne in ruoli dirigenziali. Solo l’Unità a nostra conoscenza ha un direttore donna.  Ed è  infatti  la testata che NON contiene immagini  riferimenti offensivi delle donne. Come richiama Maria Laura di Tommaso a commento della “italianità più recente”, mai come in questa stagione della politica italiana e’ emersa chiaramente la logica della doppia morale. E anche questo aspetto é parte della strumentalizzazione del corpo della donna per usi economici, di potere e di scambio.   
Lo stravolgimento della distinzione tra pubblico e privato per farne un arma di giustificazione dei comportamenti del Capo del Governo ne é un esempio.  Il paradosso é che tutto il pubblico é diventato privato (come in un sistema patrimonialista) e il privato ha occupato il pubblico (per ragioni di propaganda o pubblicitá elettorale) con le conseguenze aberranti per cui da un lato vi é una legge che mette la privacy sull’altare della religione secolare e dall’altro vi é una vita politica che é il palcoscenico sul quale si recita soltanto una parte, quella privata. E se questa parte si mescola con questioni politiche o di Stato e i cittadini vogliono sapere e i giornali cercano di svelare, allora si evoca la sacralitá della privacy, sulla quale si pretende di inchiodare l’informazione, facendola passare come un’intrusione invece che come un bene pubblico. 
E’ evidente il gioco delle parti che si cela dietro questa che é come la magia della stanza degli specchi: confondere tutti i piani per potere usare a piacere l’uno e l’altro a seconda dell’interesse.
Infine un’altra questione di grande interesse e sulla quale sarebbe necessario (e utilissimo) avviare una riflessione seria e serena é quella relativa alla crisi del femminismo, emersa in molti commenti.
Si dovrebbe cominciare a riflettere sulle responsabilitá del consumismo e della stessa cultura anni ’60, quella dei diritti e del benessere economico; in sostanza delle responsabilitá sia della cultura marxista che ha per decenni caratterizzato la sinistra (una cultura sostanzialmente economicistica e poco attenta alla dimensione etica e alla correlazione tra doveri e diritti) sia della cultuta cattolica (che ha tradizionalmente ostacolato la cultura dei diritti privilegiando soluzioni tradizionaliste all’autonomia morale di donne e uomini), sia infine del liberismo aggressivo che ha proposto modelli educativi tesi a identificare la cultura dei diritti con lo sgomitamento individualistico e il carrierismo, modelli che la televisione ha fatto diventare popolari.  Anche se non è questa la sede per un dibattito su questu temi non e’ possibile non porci queste domande. Nell’Italia dei diritti e della libera voce, non si puó adottare l’atteggiamento paternalistico che tende a sollevare le donne delle loro responsabilitá quando l’esito delle loro azioni non é approvabile.
E’ in nome dell’autonomia delle donne che il femminismo é nato; ed é in suo nome che deve essere messo alla prova di questa nuova sfida alla dignitá femminile. Il determinismo culturalista non é una strada percorribile per chi crede nel valore della cultura del genere. Lo stesso vale per i discorsi che tentano a situare le ragioni dell’anomalia nazionale nel carattere degli italiani.

LA SOLITUDINE DELLE FAMIGLIE ITALIANE*

I dati confermano che nel nostro paese il peso dell’assistenza alla popolazione che invecchia ricade quasi del tutto sulla famiglia. O meglio, sulle donne e in particolare sulle figlie adulte. Che sempre più ricorrono ai servizi delle immigrate. Ora le nuove norme sull’immigrazione sono un’ulteriore conferma che lo Stato italiano è poco attento ai veri problemi delle famiglie. Non solo le abbandona sostanzialmente a se stesse Ma rende anche più difficile e complicato il ricorso alle risposte che, con difficoltà, tentano di darsi da sole. Per esempio, tramite le cosiddette “badanti”.

Giornali che offendono le donne

Le versioni on-line delle maggiori testate italiane mostrano ogni giorno immagini offensive delle donne. Evitarle è quasi impossibile perché spesso sono più centrali delle notizie del giorno. Eppure, le donne leggono più degli uomini e almeno quanto loro usano Internet. Sotto il profilo economico, conviene allora insistere con foto destinate a solo una parte della massa dei consumatori? Anche i quotidiani che giustamente criticano il governo per ragioni di carattere etico, non sembrano voler opporre valori diversi da quelli che sono alla radice del malcostume denunciato.

UN ANNO DI GOVERNO: POLITICHE PER LE FAMIGLIE

I PROVVEDIMENTI

Gli interventi a sostegno delle famiglie adottati nell’ultimo anno sono stati di carattere principalmente monetario, attraverso le leggi n. 133/08 e n. 2/09.
Il Bonus famiglia, di 200-1.000 euro per famiglia, è destinato a lavoratori dipendenti e pensionati che hanno un reddito compreso fra 15mila e 22mila.
I destinatari sono famiglie che possiedono esclusivamente redditi da lavoro dipendente e da pensione. Si tratta di uno strumento una tantum che include gli stranieri residenti, ma sembra escludere i single che non sono titolari di reddito da pensione. Gli importi del bonus variano fra le diverse tipologie familiari in modo coerente con la linea di povertà ufficiale per il 2007.
La Social card ha invece erogazione mensile, non una tantum. L’importo è circa tre volte il “bonus incapienti”’ del passato governo: circa un euro e 33 centesimi al giorno contro i circa 42 centesimi. I destinatari sono famiglie povere che hanno almeno un bambino con meno di tre anni, e in alcuni casi particolari anche individui poveri con almeno 65 anni. Ne sono esclusi gli stranieri anche se regolarmente iscritti all’anagrafe. Anche se gli importi sono modesti, non è chiara la discriminazione sull’età dei bambini. La soglia di reddito tiene correttamente conto della composizione del nucleo familiare, poiché è misurata in base al reddito equivalente Isee.
Il Fondo di credito per i nuovi nati ha l’obiettivo di concedere alle famiglie che abbiano un figlio (nato o adottato) nel 2009, 2010, 2011 un prestito di 5mila euro per far fronte alle spese per le “più tipiche esigenze del bambino nei suoi primi anni di vita”. Il debito potrà essere assolto a un tasso d’interesse di 4 per cento in cinque anni (articolo 4 del decreto legge n. 185 del 29/11/2008 e legge di conversione n.2 del 28/01/2009). Tuttavia, il Fondo manca ancora di decreto attuativo.

GLI EFFETTI

Per quanto riguarda il Bonus famiglia e Social card, il carattere una tantum del primo e l’esiguità degli importi (totali e per le singole famiglie destinatarie) della seconda fanno presupporre che gli effetti saranno modesti. Ma resta comunque necessario un attento monitoraggio delle due misure. Per quanto riguarda la Social card, poi, la sua efficacia andrà valutata anche in relazione ai possibili rapporti di integrazione o sostituzione con la carità privata, che rischia di contrarsi durante i periodi di recessione.
Nelle intenzioni del governo, i Fondi per i nuovi nati dovrebbero avere effetti sui livelli di fertilità. Tuttavia, la bassa fecondità in Italia è dovuta soprattutto al posticipo del primo figlio e alla riduzione dei figli di ordine successivo. Da numerosi studi di demografi ed economisti, emerge che i trasferimenti monetari dallo Stato non influenzano in modo sensibile le scelte relative alla fertilità: avere più soldi non spinge necessariamente le coppie a fare più figli, mentre può avere qualche effetto positivo disporre di un sistema di servizi migliore. (1)
Una di queste è la recente riforma della scuola con i tagli all’organico del corpo docente della scuola secondaria, prevalentemente femminile, e l’introduzione del maestro prevalente, che renderà difficile il mantenimento dell’orario a tempo pieno. Se il primo intervento riduce direttamente i livelli occupazionali femminili, il secondo può rappresentare un ostacolo all’occupazione delle mamme. Se consideriamo che molte donne in Italia lasciano il lavoro in seguito alla nascita dei figli, e se aggiungiamo che i servizi alla prima infanzia sono particolarmente carenti nel nostro paese, il tempo pieno nella scuola materna e primaria è uno dei pochi istituti a favore della conciliazione tra cura dei figli e lavoro. La divisione paritaria del lavoro familiare è inoltre più compatibile con un modello scolastico che vede i bambini impegnati a scuola a tempo pieno. Se questo tipo di orario scolastico si riduce, c’è bisogno di una persona che si occupi dei bambini e questo implica un ritorno al passato che non incentiva il trend attuale, seppur debole, verso una divisione dei ruoli più simmetrica.
Un altro intervento che ha influenze sul benessere della famiglia è la detassazione degli straordinari. Si tratta di una misura a favore dei lavoratori che fanno (e possono fare) gli straordinari. Avvantaggia quindi soprattutto gli uomini, mentre non favorisce donne con figli piccoli, giovani e anziani, proprio quando il grosso problema del mercato del lavoro italiano continua a essere costituito dai bassi tassi di occupazione. Anche questo intervento va nella direzione opposta a una riduzione delle disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro.

OCCASIONI MANCATE

Il 2010 è alle porte e nonostante le innumerevoli pagine scritte, i libri bianchi, i convegni e le dichiarazioni d’impegno nulla è stato fatto per favorire una maggiore conciliazione tra lavoro e famiglia. Addirittura sono state varate politiche, poi in parte rientrate, che hanno reso più difficile la partecipazione del mercato del lavoro alle donne. Ci riferiamo ai tagli all’organico del corpo docente e anche alla detassazione degli straordinari. Tanto che il tasso di partecipazione femminile non è aumentato neanche di un punto percentuale, lasciando l’Italia in fondo alle classifiche rispetto al resto dei paesi europei. La maggior parte dei paesi vicini all’Italia, incluse Germania e Spagna, hanno attuato interessanti politiche della famiglia. Non averlo fatto anche nel nostro paese, mantenendo bassa la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, comporta maggiori rischi occupazionali e di povertà per le famiglie, specie in una situazione di crisi come quella attuale.

(1) Vedi Del Boca D. e Rosina A. Famiglie sole Il Mulino 2009.

LA CRISI AMERICANA RISPARMIA LE DONNE?

Gli ultimi dati del mercato del lavoro statunitense mostrano che più dell’80 delle perdite di posti di lavoro hanno riguardato gli uomini. Gli uomini infatti sono  prevalentemente occupati in settori più colpiti dalla crisi (manifattura, costruzioni, auto),  mentre le donne sono impiegate prevalentemente nei servizi e quindi meno sensibili ai boom e alle recessioni. In recessione il numero di famiglie in cui il principale procacciatore di reddito è una donna è destinato a salire. Secondo le stime dell’economista Casey Mulligan la percentuale di donne nella forza lavoro è aumentata di cinque punti percentuali anche nelle due precedenti recessioni (1990-1991 e 2001) incrementi superiori a quanto avvenuti negli anni tra le recessioni. Se si proiettano simili incrementi per i mesi futuri, le donne, che sono oggi il 49,1 della forza lavoro secondo i dati BLS (Bureau of Labor Statistics), diventeranno piu del 50 per cento della forza lavoro sorpassando per la prima volta la proporzione maschile. Tuttavia questo possibile traguardo storico può implicare famiglie più fragili e povere. Va ricordato che gli alti tassi di occupazione delle donne in USA riguardano in gran parte lavori part time, spesso non coperti da copertura previdenziale e i cui guadagni medi sono comunque inferiori a quelli maschili anche a parità di orario (circa l’80% ). Inoltre a meno che i padri decidano di cambiare radicalmente il loro comportamento nella divisione dei ruoli familiari e sostituirsi in gran parte al lavoro delle donne in casa, le difficoltà saranno insormontabili in un welfare state che offre ben poco aiuto alle donne che lavorano e che hanno lavori di cura.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La maggior parte dei commenti ricevuti concordano con quanto sostenuto nel nostro articolo e cioè che le modifiche introdotte dalla riforma Gelmini, e in particolare i tagli alle ore e al personale scolastico, non aiutino la scuola e tanto meno le famiglie. Alcuni commenti hanno sottolineato come queste modifiche siano in contrasto con i diritti delle donne lavoratrici contenuti nella Costituzione.
Altri  commenti fanno invece riferimento ai confronti internazionali sui risultati ottenuti dagli studenti Italiani.

Ci sono alcune precisazioni da fare in tal proposito:

1) I risultati delle indagini TIMM (capacità logico matematiche) e PIRLS (capacità di lettura e comprensione) condotti su bambini nel quarto anno di scolarità obbligatori (circa 10 anni) dicono che in quanto a capacità logico-matematiche siamo sopra la media dei Paesi considerati, mentre per quanto riguarda le capacità di lettura e comprensione siamo nei primi 10 Paesi (prima di Francia, US, Danimarca…). Sono invece i risultati PISA (indagine condotta tra studenti di 15 anni) ad essere alquanto deludenti per gli studenti italiani.
Da questo possiamo trarre una serie di conclusioni:

a. Sembra che il primo ciclo dell’istruzione in Italia (particolarmente colpito dalla riforma e dai tagli del Ministro Gelmini) non produca risultati così deludenti come invece accade, presumibilmente, per i cicli successivi;
b. Questi sono risultati che guardano solo agli outputs del sistema educativo e non confrontano gli inputs.

C’è da stupirsi invece di come le scuole primarie italiane, nonostante la scarsità di fondi per la didattica e la realizzazione dell’offerta formativa, riescano a produrre così buoni risultati.

Siamo tra i Paesi Europei che spendono meno in istruzione e per questo motivo riteniamo che se davvero si vuole migliorare la scuola in Italia sia necessario aumentare e non diminuire l’investimento in istruzione. Migliorare la retribuzione e ridurre i tempi del precariato, che oggi può durare anche 10-12 anni, può consentire di rendere più attraente la scelta di intraprendere l’attività di insegnamento con positivi effetti sulla qualità dei docenti.

2) Un lettore in particolare ci ha contestato che nell’articolo che prendiamo come riferimento circa la problematica maestro unico/più maestri i risultati siano riferiti a bambini di età maggiore rispetto a quelli delle elementari.

Come si può evincere dal link qui sotto riportato

http://www.retescuole.net/contenuto?id=20081019234431&query_start=21

l’importanza della specializzazione e della pluralità di approcci anche nei primi anni della formazione scolastica viene sostenuta da autorevoli esperti di pedagogia e ricerca educativa e formativa. Ciò che conta per il bambino (e questo lo spiegano già le educatrici dei nidi) è il sistema di riferimento con cui il bambino si rapporta e non il maestro di riferimento. La pluralità di insegnanti permette di coinvolgere i bambini, già nella prima fase dell’apprendimento, nello scambio e nelle interazioni tipiche del lavoro in team.

IMPARARE DA OBAMA

La storica vittoria elettorale di Barack Obama può insegnare qualcosa ai democratici e progressisti italiani? Anche se le situazioni dei due paesi sono estremamente diverse, vale la pena di fare alcune riflessioni sui fattori che hanno reso possibile questa grande vittoria e su quello che ci possono indicare.

DOVE NASCE LA VITTORIA

Bisogna prima di tutto sgombrare il terreno da una lettura “inevitabilista” del successo di Obama. Obama non ha vinto solo perché è una figura dotata di un carisma che non si vedeva da decenni, né solo perché gli otto anni di governo della destra hanno condotto a risultati talmente catastrofici da vincere persino il razzismo di importanti segmenti della classe operaia bianca E neanche perché Sarah Palin non è stata in grado di attrarre le donne deluse dalla sconfitta di Hillary Clinton alle primarie.
Un fattore fondamentale è la straordinaria organizzazione che ha sorretto la candidatura del senatore democratico e la mobilitazione di milioni di persone, molte delle quali non avevano mai fatto politica prima. L’intelligenza di Obama e dei suoi diretti collaboratori è consistita nell’identificare i gruppi di elettori potenziali nei settori più diversi della società americana e nel farli oggetto di un’attenzione continua e capillare.

LA RETE PER OBAMA

La campagna di Obama si è basata su un sistema di fundraising online e di organizzazione di eventi mai usato prima, molto personale, la cui parola d’ordine era “It is about you!”. Studiata dal fondatore of Facebook, Chris Hughes, la campagna ha attratto più di tre milioni di partecipanti. A chi si iscriveva a my.BarackObama.com (http://my.barackobama.com) si chiedeva di contribuire in prima persona, e mettendo in comune le esperienze, alla costruzione di una comunità di attivisti.
Con questo sistema le donazioni hanno raggiunto 650 milioni di dollari, più di quanto avevano raccolto insieme i due candidati presidenziali nel 2004.
Ma la candidatura di Obama ha beneficiato anche dell’appoggio e dell’attivismo di un’organizzazione online con più di tre milioni di membri: MoveOn.org.
Creata nel 1998 per superare l’impasse dello scandalo Lewinsky, e rafforzatasi poi in particolare sulla base dell’opposizione alla risposta unilaterale di Bush agli attacchi dell’11 Settembre, MoveOn.org si è battuta per eleggere candidati progressisti e ha mobilitato quasi un milione di volontari per Obama, raccogliendo 58 milioni di dollari. 
MoveOn.org ha dato voce a chi non ne aveva, ha contribuito così a connettere milioni di persone e a far rinascere la partecipazione politica in un modo facile ed efficace allo stesso tempo. Negli ultimi mesi, i membri di MoveOn.org hanno organizzato riunioni nelle loro case: insieme ad altri volontari telefonavano negli stati chiave per assicurarsi che i sostenitori di Obama andassero effettivamente alle urne.
Un fattore che contato moltissimo è stato l’enorme differenza di entusiasmo tra chi votava per Obama e chi votava per McCain. L’entusiasmo dei sostenitori di Obama si è tradotto in più rapporti personali, più azioni, più telefonate e donazioni.

E IN ITALIA?

Certo, in Italia, il semplice trasferimento di alcune delle tecniche usate dalla campagna di Obama non potrebbe funzionare.
Un limite è dato dal fatto che la popolazione è più vecchia e quindi meno sensibile agli entusiasmi. I giovani sono una proporzione molto più bassa dell’elettorato e, in assenza di cambiamenti demografici, sono destinati a scendere ancora. Gli americani sotto la soglia dei 35 anni costituiscono il 47 per cento della popolazione, mentre sono appena il 38 per cento in Italia. Questa quota poi rimarrà sostanzialmente stabile negli Usa, ma scenderà a poco più di uno su tre nel nostro paese.
Un altro limite riguarda il minor uso di internet. Nonostante i progressi, la diffusione di internet tra le famiglie italiane ci colloca al diciottesimo posto nella Unione Europea, con un tasso di penetrazione del 43 per cento rispetto alla media europea del 54 per cento e al 73,6 per cento degli Stati Uniti.
Infine, di grande importanza è stata anche la campagna televisiva di Obama: è stata senza precedenti e in alcuni stati il neo-presidente ha speso quattro volte tanto McCain. Potrebbe avvenire qualcosa di questa portata nella situazione di quasi monopolio della televisione italiana?
Barack Obama è riuscito a vincere anche perché ha fatto della speranza, anzi dell’“audacia della speranza”, la sua parola d’ordine e si è appellato agli “angeli migliori” del paese. Anche in Italia, se non si fa strada l’idea che il paese può essere meglio di quel che è ora e senza creatività nell’identificazione di nuovi strumenti di partecipazione e mobilitazione, sarà ben difficile uscire dalla profonda crisi attuale.

I TEMPI DIVERSI DI SCUOLA E FAMIGLIA

Il decreto Gelmini, da poco trasformato in legge, non risponde alle esigenze delle famiglie, né delle madri, né dei padri e ancora meno dei figli. Gli effetti più importanti riguardano l’occupazione, gli orari e l’organizzazione del tempo della famiglia. Nonché i contenuti del tempo scuola. In particolare, i tagli di personale riguarderanno soprattutto donne. Mentre la riduzione del tempo-pieno può rallentare la tendenza a una maggior simmetria tra i genitori. E avrà effetti diversi sulla divisione del lavoro domestico per famiglie appartenenti a fasce di reddito diverse.

IL RISCHIO OLTRE IL MARCIAPIEDE

Non è chiara la logica economica del disegno di legge Maroni-Carfagna, ma è abbastanza prevedibile quali saranno i risultati: non una riduzione della prostituzione ma un suo semplice spostamento dalla strada ai luoghi chiusi. La formulazione della norma ignora l’evidenza empirica sui rischi di questa scelta, così come emerge dall’esperienza di altri paesi. Contenere e indirizzare il mercato attraverso strumenti economici piuttosto che affrontarlo con soli strumenti penali darebbe in Italia risultati certamente migliori.

Pagina 7 di 10

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén