Nonostante i tanti passi avanti nel contrasto alla violenza sulle donne, dai dati emerge il ritratto di una società italiana ancora permeata di pregiudizi di genere. Per determinare un vero cambiamento culturale bisogna puntare sull’educazione.
Autore: Claudia Villante
Ricercatrice senior presso l'ISTAT è stata Esperta Nazionale distaccata presso l'Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere (EIGE). Dottore di ricerca in Analisi dei Sistemi Sociali e delle Politiche Pubbliche presso l'Università di Roma, ha svolto attività di ricerca socio-economica adottando un approccio di mainstreaming di genere e supportando gli stakeholder e i policy maker nella pianificazione, nel
monitoraggio e nella valutazione dell'impatto di programmi e progetti gender-responsive. All'ISTAT, ha
contribuito allo sviluppo del data warehouse del Sistema Integrato della Violenza contro le Donne, adottando l'approccio multi-source.
La ricorrenza della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne riporta alla luce i numeri drammatici dei femminicidi e lo stato di emergenza in cui vivono le vittime di violenza. Alcuni passi in avanti sono stati fatti, ma sono ancora troppo timidi.
Fanno riflettere i dati della recente indagine Istat sull’accettabilità sociale della violenza di genere. È evidente la necessità di una strategia più ampia che punti sulla prevenzione, oltre a rafforzare la protezione delle vittime e a punire gli autori.
Accanto ai numeri rilevati dalle indagini, c’è un altro indicatore che misura la portata della violenza di genere nel nostro paese: è il numero verde 1522. L’analisi su chi e perché telefona può aiutare a definire gli interventi più idonei per le vittime.
Sono pochi i ragazzi di origine straniera che frequentano i licei. Più che suscitare polemiche sulle singole scuole, il dato dovrebbe far riflettere sulla scarsa qualificazione di una futura forza lavoro che dovrebbe compensare il calo demografico.