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Autore: Carlo Milani Pagina 1 di 5

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Economista, data scientist, consulente indipendente su tematiche finanziarie e macroeconomiche. Collabora con primari istituti di ricerca economica italiani. E’ inoltre docente a contratto presso l’Università degli Studi Roma Tre e redattore del sito di informazione finanziaria del Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano, www.finriskalert.it. Svolge prevalentemente la sua attività di ricerca nel campo del banking, ambito nel quale ha pubblicato diversi studi su riviste nazionali e internazionali. E’ autore del libro “Alle radici della crisi finanziaria. Origini, effetti e risposte” (Egea Editore).

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Banche italiane poco social

Il social banking potrebbe essere una delle chiavi per incrementare nettamente l’utilizzo dei servizi online messi a disposizione dalle banche. Ma gli istituti di credito italiani ancora non utilizzano i social network in modo adeguato. Un’occasione per la ricollocazione del personale in esubero.

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Stima del Pil potenziale: metodo e buon senso

Il recente contributo di Carlo Cottarelli, Federico Giammusso e Carmine Porello ha riacceso il confronto sui metodi di stima del prodotto potenziale e sui riflessi sulla finanza pubblica nel calcolo dei saldi aggiustati per il ciclo. In particolare, la critica ai metodi adottati dalla Commissione europea si concentrata sulla stima del Nawru, ovvero del tasso di disoccupazione di lungo periodo compatibile con una dinamica stabile del livello dei prezzi (o, meglio, dei salari unitari). Come abbiamo evidenziato in un nostro precedente intervento, la stima del Nawru per l’Italia e per gli altri paesi periferici  risente troppo del livello corrente della disoccupazione. In altri termini, utilizzando un filtro statistico abbastanza complesso (Kalman filter), che sottende però delle scelte arbitrarie su alcuni parametri fondamentali, si tende a considerare come strutturale buona parte della disoccupazione osservata in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo.
LA POSIZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Kieran Mc Morrow e Werner Roeger, economisti del Directorate-general for economic and financial affairs (Dg Ecfin) della Commissione europea, hanno difeso questo risultato sostenendo che “il Nawru può aumentare anche se le istituzioni del mercato del lavoro rimangono invariate a causa della loro scarsa flessibilità implicita all’aggiustamento (rigidità dei salari reali e nominali)”. Con questa affermazione, in realtà, si conferma però che il Nawru stimato dalla Commissione è distorto nel breve periodo. Essendo il Nawru una grandezza di lungo termine non dovrebbe infatti risentire della rigidità (di breve termine) dei salari. Questo punto è ben messo in evidenza da uno studio condotto dalla stessa Commissione, e sempre dalla Dg Ecfin (Labour Market Developments in Europe 2013, European Economy 6|2013). Paradossalmente è quindi la stessa Dg Ecfin che avanza dubbi sulle stime del Nawru ottenute mediante le tecniche basate esclusivamente su filtri statistici, dedicando proprio un approfondimento sulla ciclicità dal Nawru. Da queste altre stime emerge che il Nawru aggiustato per le caratteristiche istituzionali di un paese, quali ad esempio il cuneo fiscale e la presenza di politiche attive nel mercato del lavoro, per i paesi periferici è ben più basso di quello utilizzato dalla Commissione per valutare l’osservanza dei criteri di finanza pubblica del fiscal compact. Quest’ultimo è pari per l’Italia a circa l’11 per cento nel 2014, contro un Nawru “strutturale”, ovvero non influenzato da fattori ciclici, pari al 9 per cento.  Se la Commissione avesse utilizzato il Nawru strutturale per calcolare il Pil potenziale dell’Italia il nostro deficit aggiustato per il ciclo sarebbe stato pari al +0,1 per cento del Pil nel 2014, piuttosto che al -0,6 per cento ufficialmente considerato. Con una stima del Nawru più contenuta saremmo quindi già in avanzo (al netto degli effetti ciclici).
UNA STIMA CHE SI AUTOAVVERA
Va sottolineato che, comunque,  qualsiasi metodo venga utilizzato per la misura del Nawru -o più in generale del Pil potenziale- deve tener conto che la stima ottenuta, proprio per effetto delle regole del fiscal compact, non è esogena. In altre parole, il valore stimato del Pil potenziale influenza esso stesso il livello del potenziale. Un potenziale più alto lascia infatti spazio per manovre fiscali espansive, che se ben pensate e realizzate posso offrire un ulteriore stimolo alla crescita corrente e a quella potenziale, attraverso ad esempio maggiori investimenti in infrastrutture. Viceversa, un potenziale più basso costringe un paese ad attuare politiche fiscali restrittive, che ne possono compromettere le capacità di crescita. In sintesi, le stime del potenziale possono essere “autorealizzanti”: un valore stimato alto favorisce il raggiungimento di questo obiettivo favorevole, un valore basso viceversa spinge l’economia a convergere verso tassi di crescita più bassi. L’impianto del fiscal compact, basato quasi esclusivamente sull’ortodossia dell’austerità espansiva, che rinnega nelle fondamenta la teoria keynesiana, determina il risultato perverso che ex-post Mc Morrow e Roeger avranno ragione nel sostenere che il Nawru per l’Italia è superiore al 9 per cento semplicemente per il fatto che la Commissione ha il potere di imporre questo livello attraverso l’applicazione di una metodologia che tende a sovrastimare la disoccupazione strutturale in fasi di ciclo economico avverso.
QUESTIONi DI METODO E BUON SENSO
Per mostrare quando sia importante questo aspetto abbiamo condotto una simulazione utilizzando il modello macro-econometrico per l’Italia del Cer. In un primo momento abbiamo considerato l’effetto sull’output gap, ovvero sulla differenza tra il Pil corrente e quello potenziale in percentuale del potenziale, dall’impiego della stima del Nawru della Commissione. Successivamente abbiamo invece stimato l’output gap ipotizzando un Nawru pari al 2018 a poco più del 9 per cento. La perdita cumulata di Pil potenziale nel periodo sarebbe superiore a un 1 punto e mezzo (grafico 1). L’effetto sul deficit strutturale, ovvero aggiustato per il ciclo economico e delle una tantum, è pari in media a 4 decimi di Pil, oltre 6 miliardi di euro l’anno.

Grafico 1. Stima degli effetti del Nawru sul Pil potenziale e sul deficit strutturale dell’Italia

Schermata 2014-11-14 alle 11.50.38Nota: nel grafico è riportato il Pil potenziale e il deficit strutturale ricalcolato mediante il modello macro-econometrico del CER replicando, da un lato, le ipotesi della Commissione Europea circa la dinamica del Nawru e, dall’altro, ipotizzando un Nawru in flessione fino al 9,5% del 2018
Fonte: CER
Nella risposta di Cottarelli, Giammusso e Porello al commento di Mc Morrow e Roeger viene inoltre posto in evidenza come usare le stime sul Nawru realizzate da altri istituti, pur se autorevoli come Fmi e Ocse, non aggiunge molto al dibattito in quanto è il metodo utilizzato che porta alla sovrastima del tasso di disoccupazione strutturale. In realtà, è interessante comparare queste informazioni perché dal confronto è chiaro come nonostante l’utilizzo della stessa metodologia c’è una differenza non trascurabile tra il livello del Nawru. Si può al riguardo notare come le stime Ocse siano sempre inferiori a quelle della Commissione, dall’inizio della recessione, di circa 1 punto percentuale (grafico 2).

Grafico 2. Italia: confronto tra il Nawru stimato da Ocse e Commissione Europea

Schermata 2014-11-14 alle 11.50.49Fonte: Ocse (Economic Outlook, maggio 2014) e Commissione Europea (Spring Forecast, 2014).

In definitiva, bisognerebbe finalmente uscire da una logica meccanicistica nell’applicazione delle regole europee. Non esiste al momento un modello di valutazione del Pil potenziale che possa essere considerato veramente attendibile, e forse non esisterà mai in quanto il potenziale è per sua natura una grandezza non osservabile. Tra un modello matematico, che per quanto evoluto non potrà mai rappresentare con precisione la realtà, e il buon senso (economico) bisognerebbe quindi affidarsi molto di più a quest’ultimo.

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