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Autore: Andrea Monticini

Ha ottenuto un PhD in Econometria presso la University of Exeter (UK). Insegna Econometria presso la Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative dell'Universita' Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano).
Ha svolto attivita' di ricerca presso la Federal Reserve Bank di St. Louis (Missouri - US). E' editorialista del Secolo XIX. Ulteriori informazioni www.monticini.eu.

Non di soli Npl è fatto il rischio delle banche

Giusto che la Banca centrale europea guidi le banche verso lo smaltimento dei crediti deteriorati, anche in vista di una futura assicurazione comune dei depositi. Ma gli Npl non sono le uniche fonti di rischio sistemico. E la Bce dovrebbe tenerne conto.

Il rischio dove meno te lo aspetti

Il rischio sistemico resta la minaccia più importante per l’Unione monetaria e il V-Lab della New York University ci dà una misura per calcolarlo. Con risultati sorprendenti. E molto diversi da quelli ottenuti con gli stress test della Bce. La situazione delle banche italiane, piccole e grandi.

Alitalia: ammaina-bandiera?

Alitalia rinnova la flotta acquistando velivoli a corto raggio. D’altra parte, le sue destinazioni intercontinentali sono ormai soltanto sedici. Due le ipotesi: la compagnia vuole fare una difficile concorrenza alle low-cost. Oppure punta a diventare sempre più un operatore regionale e aumentare così la sua complementarietà con Air France–Klm. Un vantaggio per gli azionisti in caso di cessione ai francesi. Certo, non sembra proprio che Alitalia possa tornare a essere una grande compagnia di bandiera. Nonostante le promesse e i sacrifici chiesti nel 2008.

LE SPERANZE DELUSE DEL MATTARELLUM

La crisi di credibilità in cui è sprofondata l’Italia, in larga parte per l’inconcludenza della sua classe politica, ha rimesso al centro del dibattito la legge elettorale. Ma bastano nuove norme che regolano l’elezione dei parlamentari a garantire una soluzione ai problemi istituzionali dell’Italia e a migliorare la qualità dei suoi politici? Uno studio sugli effetti della legge Mattarella, approvata nel 1993, un periodo che ha molte analogie con quello attuale, suggerisce di non farsi troppe illusioni.

Università: dal test d’ingresso alla prova unica

Perché molte università ricorrono ai test di ingresso? Perché il voto dell’esame di Stato non viene percepito come un valido indicatore. Ma i test non sono uno strumento di selezione efficiente ed efficace. Ignorano totalmente il percorso scolastico dei candidati, non considerano la capacità di organizzare lo studio nelle materie specifiche e devono essere disegnati dalle singole università. Si potrebbe invece introdurre una prova unica nazionale che testi capacità logiche, conoscenze culturali e capacità di apprendimento di ciascun studente.

SE LA RIPRESA PUNTA SUL VERDE

Con la crisi cresce l’interesse per i cosiddetti lavori verdi, legati allo sviluppo di energie alternative. Non mancano le opinioni critiche, ma dal settore potrebbe derivare un aumento sia della produttività che dell’occupazione. E dunque i green jobs potrebbero permettere di riassorbire parte della crisi occupazionale che colpisce settori più tradizionali dell’economia. In ogni caso, hanno un valore intrinseco di tutela ambientale che ha un suo peso economico. E potrebbero consentire, indirettamente, una redistribuzione di risorse a favore delle generazioni future.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo per i commenti ricevuti, davvero molto numerosi. Questo articolo fornisce una replica complessiva, affrontando le critiche che sono state più frequentemente sollevate.

L’obiezione più ricorrente è quella secondo cui “anche altri” sono i problemi dell’università italiana. Indirettamente, questa critica conferma che il punto da noi sollevato merita attenzione. Siamo del resto ben consapevoli che ci siano altri nodi da risolvere nell’Università italiana. L’articolo aveva però la finalità di concentrarsi su un solo di questi aspetti: il numero di volte in cui un esame può essere sostenuto. La preparazione dei docenti, la qualità della didattica e della ricerca, l’adeguatezza delle strutture, l’eccessivo numero di corsi, la sovrapposizione dei programmi, la dubbia coerenza di taluni insegnamenti sono tutti temi già ampiamente dibattuti, anche su questo sito. Non averli menzionati non significa pensare che non siano parte del problema. A nostro avviso, però, una riforma del sistema degli esami nella direzione da noi indicata sarebbe una di quelle riforme a costo zero (anzi a risparmio) che indurrebbe infine vantaggi anche e soprattutto per gli studenti. Ci teniamo particolarmente ad enfatizzare il seguente punto. Crediamo che il circolo vizioso in cui ci ha trascinato la possibilità di appello infinito sia il seguente: il basso costo di ripetizione dell’esame induce molti studenti a tentare diverse volte l’esame senza davvero prepararsi adeguatamente per passare al primo colpo; questo, a sua volta, causa un ingolfamento nelle sessioni di appello, al quale molto spesso (purtroppo) molti professori reagiscono abbassando la qualità dell’esame: per non rivedere “le stesse facce” negli appelli successivi, agli studenti viene concesso poco tempo per dimostrare la loro preparazione e a volte essi sono promossi con il famoso 18 politico; questo alla fine genera frustrazione, senso di arbitrarietà e disaffezione verso lo studio: un problema che molti studenti intervenuti nei commenti hanno denunciato. Cosa cambierebbe con un sistema con pochi appelli? Noi crediamo che si innesterebbe un circolo virtuoso tra studenti più preparati e docenti più motivati, generando risultati negli esami che riflettono più fedelmente la preparazione di ciascuno.

Poiché però siamo parte in causa, cogliamo l’occasione per arricchire il “carnet delle riforme a costo zero”, come quella dell’esame unico, con la proposta della pubblicazione on line obbligatoria delle valutazione degli studenti al corso e al docente. Proprio perché auspichiamo un aumento della qualità dell’università italiana, siamo favorevoli alle valutazioni della nostra didattica e della nostra ricerca e non contrari. Come tanti altri giovani ricercatori, sogniamo – e ci aspettiamo – una progressione della nostra carriera basata sul merito. E la misurazione del merito deve passare necessariamente attraverso determinate valutazioni (degli studenti e anche ministeriali). Ci aspettiamo che gli studenti stessi si battano per promuovere il merito nelle Università. Certo, sarebbe auspicabile che anche il sistema di remunerazione dei docenti assecondasse in parte i “meriti didattici” degli stessi. Ad oggi nelle università dove le cose funzionano bene, i docenti trovano motivazioni (in termini di progressione di carriera, di accesso a fondi, etc.) nel fare ricerca mentre in quelle dove le cose vanno male i docenti non hanno alcun incentivo se non la propria volontà e senso del dovere. In entrambi i casi la qualità della didattica non trova spazio. Bisognerebbe trovare delle formule che incentivino i docenti ad essere sia dei bravi ricercatori che dei bravi insegnanti, con tutte le tensioni che un simile trade-off si porta appresso.
Alcuni commenti sottolineano poi che non sia possibile fare confronti con le realtà all’estero perché la realtà nostra è peculiare. Pur facendo salve le specificità del nostro sistema non possiamo però rinunciare a guardare cosa fanno gli altri (tutti gli altri) solo perché il confronto è imbarazzante. Senza scomodare il mondo anglosassone, sistemi universitari molto più vicini al nostro, come quelli tedesco e francese, non hanno l’anomalia dell’esame ad libitum che abbiamo noi. Da questo dato di fatto emerge la domanda: questa peculiarità è un vantaggio o uno svantaggio per gli studenti? Noi pensiamo che sia decisamente uno svantaggio.
Lo studente che si prepara seriamente all’esame dimostra capacità di apprendimento e senso di responsabilità. Questo studente non teme l’appello unico; egli potrebbe però temere la cattiva organizzazione degli appelli e siamo sorpresi che pochi commenti abbiano evidenziato questo fatto. Avere a distanza di pochi giorni (addirittura nello stesso giorno) esami molto impegnativi può essere scoraggiante o psicologicamente pesante per ogni studente (i patiti dei confronti con l’estero sappiano però che in Gran Bretagna – per esempio – questo è la norma). Crediamo che gli studenti debbano pretendere una distribuzione degli esami più razionale.

La critica secondo cui l’appello unico rischia di penalizzare troppo gli studenti è immotivata. Paradossalmente, anzi, rischia di favorirli fin troppo. Il timore è il seguente: se trovo il docente con la luna storta, verrò sicuramente bocciato. Questo ragionamento vale ovviamente per tutti gli studenti. Il risultato sarebbe un appello senza promossi. Cosa potrebbe accadere l’anno seguente? Nota la severità (o lunaticità) del docente, il suo corso, se non addirittura la sua facoltà, non raccoglierebbero più iscritti. Per evitare questo rischio, i docenti potrebbero forse rendere addirittura fin troppo semplice l’esame, per non scoraggiare i nuovi studenti. In mezzo a questi due estremi, crediamo che con l’appello unico si avrebbero una buona percentuale di studenti promossi e piccole percentuali di studenti bocciati e promossi con lode.

Molte obiezioni riguardano gli studenti lavoratori. Lo studente lavoratore in genere è fuori corso non perché prenda poco seriamente gli esami (per la nostra esperienza infatti, l’impegno e la motivazione di uno studente lavoratore sono mediamente superiori a quelli di uno studente non-lavoratore) ma perché spesso i corsi di laurea sono pensati ed organizzati solo per studenti a tempo pieno.  A nostro avviso la strada da percorrere è quella battuta dall’università di Trento che chiede agli studenti diverse modalità di iscrizioni a seconda che essi siano studenti full o part time. Da questi ultimi ci si aspetta ovviamente ritmi di progressione più lenti, ma questo ha poco o nulla a che fare con la cadenza degli appelli e la possibilità di ripetere gli esami all’infinito e rifiutare i voti positivi. Un’obiezione simile vorrebbe che una riforma siffatta bloccasse l’accesso delle classi meno abbienti all’università. Francamente ci sembra un passaggio ardito. Crediamo che chiedere agli studenti di prepararsi bene per l’esame e programmare con un po’ più di anticipo questa preparazione sia benefico in primo luogo per gli studenti stessi, che infine riuscirebbero, nella maggioranza dei casi, a finire il loro percorso in minor tempo. Sono anzi gli studenti delle classi più abbienti quelli che possono concedersi di rimanere parcheggiati in Università ed espugnare infine un titolo con la strategia della stanchezza solo perché l’istituzione non vede l’ora di liberarsi di loro. A questo ultimo punto si collega una metafora usata in uno dei commenti che ci è piaciuta molto: la metafora sullo studio universitario inteso come “corsa” opposta allo studio visto come “tiro al bersaglio”. Facciamo solo notare che anche nelle gare di tiro al bersaglio vi è un tempo massimo oltre al quale l’avere fatto centro o meno perde di significato.

LA LOTTERIA ITALIA DEGLI ESAMI

In Italia è molto semplice per gli studenti ripetere più volte un esame universitario finché non lo  passano, magari con un buon voto. Ma tutto ciò ha costi alti. Per gli stessi studenti perché si allunga il percorso di studio. Per i docenti che all’esamificio devono dedicare tempo e risorse. E alla fine, poi, si toglie ogni contenuto informativo al voto di laurea. La soluzione è una riduzione drastica degli appelli. Ma potrebbe funzionare anche un innalzamento delle tasse per i “ripetenti” e i fuoricorso.

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