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Autore: Alfredo Ferrante

alfredo ferranteDirigente dello Stato proveniente dalla esperienza dei corsi-concorso della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, è in servizio presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Laureato in Scienze Politiche, si è specializzato in studi europei ed internazionali ed è rappresentante per l’Italia in diversi tavoli in materia di politiche per la disabilità presso la Commissione europea, il Consiglio d’Europa e le Nazioni Unite.
E’ Presidente dell’associazione degli ex allievi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Cura il blog www.tantopremesso.it.

Dirigenza pubblica a rischio caos

La legge delega di riforma della pubblica amministrazione rischia di gettare nel caos la dirigenza pubblica. Senza correttivi, potrebbe dar luogo a una precarizzazione permanente dei dirigenti con conseguenze pericolose per l’imparzialità dell’azione amministrativa. La questione della valutazione.

La risposta ai commenti dei lettori

Intanto grazie ai lettori che hanno voluto esprimere le loro osservazioni al mio articolo. Provo ad articolare qualche replica.
E’ vero, leggere le nostre leggi è un’impresa titanica, da latinorum manzoniano. Ecco perché molto spesso gli stessi dirigenti e funzionari si trovano in forti difficoltà nell’applicarle. Sta al Parlamento riappropriarsi una funzione legislativa oggi lasciata agli Uffici Legislativi dei ministeri e, quindi, al Governo: meno leggi, scritte meglio. Sul lato economico-finanziario, invece, non sono d’accordo: proprio perché i soldi sono “degli altri” un funzionario pubblico deve esercitare grande cautela. E dirò di più: anche se non cerchiamo il profitto, questo non vuol dire che l’azione pubblica non debba essere efficace e, per quanto possibile in relazione agli scopi, economica. È come sempre una questione di regole. Ed una delle regole importanti credo sia formare i dirigenti in modo coerente e attuale con i bisogni di una società che evolve.
Un dirigente dovrebbe scegliersi la propria squadra? Magari! Il sistema, come lo descrive Valerio, è certamente opprimente: tuttavia, dobbiamo essere noi, aldilà di tutte le piccole grandi astruserie quotidiane, a imporre – imporre! – il cambiamento. È dura, lo so.
Sui “dirigenti istituzionali selezionati dall’oligarchia” non ho capito. Il senso della mia proposta è quello di rendere più forte la classe dirigenziale pubblica, autonoma e formata sui medesimi valori repubblicani: l’esatto contrario di quello che molti denunciano stia per accadere con alcune parti della riforma del Governo, ovvero rendere più influenzabile il dirigente dal vertice politico, di qualsiasi colore esso sia.
Infine, il rimprovero sulla trasparenza: vero, sono Presidente dell’Associazione degli ex allievi della Sna, un’associazione culturale che si rivolge a coloro che provengono dall’esperienza del corso-concorso. Non siamo un sindacato. E nulla ci verrebbe in tasca dal mantenere, rafforzare o cancellare l’istituto del reclutamento tramite Sna: parlo per il futuro, convinto che migliorarlo ed estenderlo sia un vantaggio per un’amministrazione che voglia dirsi moderna. Tuttavia, premesso che spero questo non tolga valore argomentativo alla mia proposta, si trattava solo di un mancato aggiornamento della bio, ora invece on line. Quindi parziale, ma spero intellettualmente onesto. Sul sistema romanocentrico, non colgo il problema: se la Sna (ex Sspa) ha avuto un merito, è stato quello di mettere assieme, giorno dopo giorno, caso unico nella storia amministrativa di questo Paese, neolaureati e funzionari da tutto il Paese, formandoli su valori e indirizzi comuni e creando legami che durano nel tempo. E questo, di per sé, in una Italia dominata dalla sindrome di Guelfi e Ghibellini, è già un risultato enorme

Cosa serve alla dirigenza pubblica di domani

Sul reclutamento delle figure di vertice della Pa il Governo sembrava essere partito con il piede giusto, ma il disegno di legge delega ripete molti degli errori passati. Servono competenze nuove e contaminazioni con settore privato e università. Uno sguardo all’esperienza francese.

Istruzioni per non perdere la madre di tutte le battaglie

Matteo Renzi vuole riformare la burocrazia. Ma non basta ridurre gli stipendi degli alti dirigenti, per “cambiare l’Italia” occorre che la pubblica amministrazione traduca, e celermente, le riforme in atti concreti. Alcune semplici linee guida da seguire per ottenere risultati.

Primarie, la soluzione democratica

Indipendentemente da quale sarà alla fine la legge elettorale e al di là della contingente crisi di legittimazione della politica, il meccanismo delle primarie è un principio irrinunciabile. Rappresentano la piena realizzazione del dettato costituzionale, perché i cittadini possono davvero aver voce lungo tutta la filiera della vita democratica dell’organizzazione-partito, che comprende anche la fase che precede la consultazione elettorale. Per i partiti sono poi un’occasione per ricostruire e consolidare i legami democratici con tutti i cittadini, e non solo con gli iscritti.

SALVIAMO DALLA POLITICA IL DIRIGENTE ESTERNO

La dirigenza in quota esterna nella pubblica amministrazione può ancora rivelarsi fattore di innovazione e stimolo al cambiamento interno. A patto che si limitino gli aspetti clientelari o di scarsa trasparenza. L’obbligo di pubblicazione dei curricula è un deterrente alla nomina di figure professionalmente deboli. E la necessità di una esplicita motivazione circoscrive la discrezionalità. Tuttavia, occorre una riscrittura della norma per porre chiari paletti alla politica insieme a un regolamento che disciplini il momento di selezione e individuazione del profilo.

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