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L’emorragia demografica delle aree rurali

Europa ed Italia cercano di affrontare lo spopolamento rurale, che prosegue ormai da decenni. Finora, però, le risposte sono state parziali. E rischiano di valorizzare solo le eccellenze, senza risolvere i problemi strutturali dell’Italia “provinciale”.

La situazione in Europa

L’Eurostat identifica tre tipologie di regioni in base alla quota di residenti: zone densamente, mediamente o scarsamente popolate, ovvero a predominanza urbana, intermedie o a predominanza rurale. Nelle regioni prevalentemente urbane più dell’80 per cento della popolazione vive in agglomerati urbani, in quelle intermedie più del 50 per cento e meno dell’80 per cento vive in agglomerati urbani, mentre nelle regioni prevalentemente rurali più del 50 per cento della popolazione vive in zone agricole.

Nel 2021, in Europa le zone prevalentemente rurali rappresentano quasi il 45 per cento dell’area totale, ma sono abitate solo dal 21 per cento della popolazione. Sono varie le sfide che si trovano ad affrontare e che alle volte sembrano insuperabili. L’invecchiamento demografico, i bassi livelli di reddito, la mancanza di opportunità lavorative, l’allargamento del divario digitale, l’insufficienza di infrastrutture adeguate e l’impatto dei cambiamenti climatici le rendono poco attraenti e fanno sì che il fenomeno dello spopolamento rurale, certamente non nuovo, non si sia mai fermato, ma anzi sia cresciuto. Nel periodo dal 2015 al 2020 la popolazione delle regioni rurali è diminuita dello 0,1 per cento in media ogni anno, mentre la popolazione delle regioni intermedie è rimasta invariata e quella delle aree urbane è cresciuta dello 0,4 per cento per anno. Lo rileva Eurostat sottolineando, inoltre, che a lasciare le zone rurali sono soprattutto i giovani con meno di 20 anni e le persone in età da lavoro (20-64 anni), che calano rispettivamente dello 0,6 e 0,7 per cento.

Il 30 giugno 2021 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione sulla visione a lungo termine per le zone rurali della Ue fino al 2040 al fine di rispondere alle varie sfide e cogliere i benefici della transizione verde e digitale. Il piano ha il compito di rendere le zone rurali più forti, connesse, resilienti e prospere contribuendo allo sviluppo necessario perché siano nuovamente attrattive. Entro la metà di quest’anno la Commissione farà il punto per verificare quali azioni finanziate dall’Unione siano già state intraprese dai paesi membri e quali siano state effettivamente programmate. All’inizio del 2024, la Commissione individuerà i settori in cui sarà necessario intensificare il sostegno previsto e il relativo supporto finanziario.

L’Italia e la protezione delle aree rurali

In Italia il calo demografico delle zone rurali è ancora più accentuato rispetto alla media europea. Il report sulle previsioni demografiche del 2021 dell’Istat rileva che, a un calo demografico generalizzato nei prossimi dieci anni (fino al 2031), si aggiungerà una complessiva riduzione degli abitanti delle zone rurali, pari al 5,5 per cento: si passerà da 10,1 milioni di residenti a 9,5 milioni. I comuni con saldo negativo saranno l’86 per cento del totale e la drastica diminuzione investirà soprattutto il Mezzogiorno, dove perderà residenti il 94 per cento dei comuni, con una riduzione complessiva della popolazione pari all’8,8 per cento.

Nel report l’Istat inserisce l’ulteriore denominazione delle cosiddette “Aree interne”, ovvero particolari zone del nostro territorio nazionale nelle quali raggiungere i servizi essenziali è particolarmente difficile. Si tratta di 1086 comuni, per i quali la situazione risulta essere ancora più drammatica. Nelle “Aree interne” i comuni che subiranno un calo demografico nei prossimi dieci anni sono il 94 per cento del totale e registreranno una riduzione complessiva pari al 9,1 per cento (del 10,4 per cento considerando solo il Mezzogiorno).

Nel 2012 è stata varata la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), una politica promossa dall’Agenzia per la coesione territoriale e dall’allora ministro Fabrizio Barca, con l’obiettivo di contrastare fenomeni di marginalizzazione e declino demografico nelle aree più remote del paese. La Strategia, rinnovata per il periodo 2021-2027, suddivide il territorio in aree di diversa tipologia, a seconda della presenza o meno di servizi essenziali relativi a salute, istruzione e mobilità.

Il sostegno a favore delle aree interne è finanziato sia con risorse nazionali sia con fondi europei destinati allo sviluppo locale, come il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), il Fondo sociale europeo (Fse) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr). La spesa nazionale autorizzata, inizialmente pari a 281,18 milioni di euro, è stata poi portata a 591,18 milioni di euro. Tali risorse vengono impiegate in interventi di adeguamento e miglioramento dei servizi essenziali, mentre i fondi europei finanziano prevalentemente i progetti di sviluppo locale. Da un lato, le misure hanno lo scopo di rivalorizzare il capitale storico, artistico e naturale del territorio, ma anche tutelare l’artigianato locale; dall’altro, si tenta di attirare i giovani e limitare lo spopolamento, incentivando l’insediamento di nuove attività economiche e la creazione di occupazione, fattori che necessitano di un adeguato livello di servizi essenziali, ma che, a loro volta, ne stimolano il potenziamento.

Con il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, sono stati stanziati ulteriori fondi per le aree marginali del paese. Il bando nazionale Borghi, promosso dal ministero della Cultura, prevede un investimento totale pari a 1.020 milioni di euro per il rilancio di 250 borghi italiani e distingue due linee di intervento. La Linea A ha una dotazione di 420 milioni di euro ed è dedicata a 21 progetti pilota per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono o già abbandonati, individuati da ogni regione o provincia autonoma entro il 15 marzo 2022. La linea B, invece, ha a disposizione 280 milioni di euro per finanziare almeno 229 progetti locali per la rigenerazione culturale e sociale, a cui si aggiungono altri 200 milioni di euro per il sostegno a Pmi che svolgono attività culturali, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali nei territori interessati dalla seconda linea d’azione. Le risorse vengono ripartite secondo i criteri del Pnrr, con una particolare attenzione alle regioni meridionali, verso cui affluisce il 40 per cento dei fondi.

Pochi risultati

Nonostante il tentativo statale di arginare il fenomeno dello spopolamento delle aree rurali, tra il 2001 e il 2020 si è comunque registrato una flessione negativa del numero di residenti (-1,4 per cento contro il dato medio italiano del 3,9 per cento), che secondo le previsioni continuerà anche nel prossimo decennio.

L’evidente scarsa efficacia delle misure è da attribuirsi anche a fattori istituzionali. Dal 2011, infatti, il processo di riordino territoriale ha indebolito il ruolo degli enti locali, svuotandoli delle funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei comuni nelle materie di competenza. Di conseguenza, sono state compromesse anche le competenze “sovracomunali”, come l’erogazione dei servizi pubblici essenziali o la predisposizione di piani di sviluppo territoriale. Il “bando Borghi” rischia di essere un’iniziativa mirata a valorizzare i comuni scelti dalle regioni, senza risolvere i problemi strutturali del nostro paese e concentrando la maggioranza delle risorse economiche in pochi luoghi che spesso non hanno gli strumenti amministrativi e il personale adeguati a gestirle.

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Il Punto

  1. Savino

    Bisogna cominciare a parlare di città diffuse e di fusioni concrete di Comuni, il cui numero andrebbe dimezzato, da circa 8000 anche piccolissimi a circa 4000 sul modello, appunto, dell’agglomerato urbano.

  2. Fabrizio Bercelli

    L’articolo sembra dare per scontato che il fenomeno sia da contrastare. Quali le ragioni, che a me non sembrano ovvie?

  3. bob

    ..si è privilegiata un ” enclave” di pochi abitanti come l’ Alto Adige con leggi ad hoc per far stare aperti i masi ( oltretutto con sprechi vergognosi) e si è abbandonata un territorio di oltre 3 milioni di abitanti negli Appennini dalla Liguria alla Calabria. Una politica scellerata di un Paese allo sbando

  4. Rinaldo Mazzoni

    Anch’io mi chiedo quale sia la politica corretta.
    Sul piatto della bilancia occorrerebbe metterci la sostenibilità, perché non metterci la restituzione di territori alla natura?

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