La progressività del sistema tributario, dettata dalla Costituzione, consente di mantenere una equa distribuzione di risorse, fornire servizi di qualità e cure sanitarie adeguate. Ma non può essere la sola Irpef a rendere progressiva la tassazione. Anche l’Imu deve continuare a fare la sua parte.
L’eliminazione dell’Imu prima casa per tutti era un punto centrale delle promesse elettorali del PDL e sta diventando una punto dirimente per la sopravvivenza del governo Letta. La proposta di eliminare l’imposta sul patrimonio immobiliare utilizzato come prima casa permette di raccogliere consenso ed è spesso giustificata dalla retorica secondo cui la prima casa è un diritto fondamentalee non è accettabile che la si usi per raccogliere gettito. Dal punto di vista della finanza pubblica l’Imu sulla prima casa ha diversi limiti, tra tutti quello di essere definita sulla base di rendite catastali che non rispecchiano il valore di mercato degli immobili. Ha anche – almeno – un paio di grandi meriti. E’ un’imposta che non può essere evasa facilmente ed è progressiva (rispetto alla sua base imponibile), consentendo di riequilibrare, per quanto poco, il carico tributario complessivo tra diverse tipologie di contribuenti.
TRASPARENZA ED EQUITÀ
Partiamo dal primo merito: l’Imu è un’imposta che non può essere evasa facilmente, perchè una casa non si può nascondere, non si può dichiarare di vivere in un monolocale quando si risiede in una villa registrata in catasto, e se è registrata in catasto nemmeno il miglior consulente può suggerire una scappatoia legale per pagare meno Imu mantenendo la proprietà dell’immobile. L’impossibilità dell’evasione dell’imposta deriva da un fatto molto semplice: analogamente al reddito da lavoro dipendente dove il reddito del lavoratore è dichiarato dal datore di lavoro, nel caso dell’Imu il catasto passa le informazioni rilevanti all’Agenzia delle Entrate. (1)
Dal punto di vista dell’evasione l’Imu reintroduce un principio di equità orizzontale tra percettori di reddito. Per capire questo punto pensiamo ai redditi da pensione e lavoro. Mentre lavoratori dipendenti e pensionati non hanno altra scelta che dichiarare al fisco tutto quanto percepiscono perchè il loro reddito è riportato al fisco anche da terzi (datore di lavoro ed enti pensionistici), ai lavoratori autonomi è data possibilità di sottodichiarare il proprio reddito imponibile (e quindi il livello di tassazione). I proprietari di immobili, possono mettersi d’accordo con l’inquilino per sottodichiarare il proprio reddito da fabbricati. Con l’Imu tutti i proprietari dell’abitazione principale, onesti o disonesti che siano, hanno la stessa possibilità di evadere l’imposta.
E’ opportuno a questo punto guardare anche qualche numero. Nella Tabella 1 sono riportate alcune elaborazioni sui dati ottenuti dal modulo italiano del modello di microsimulazione fiscale Euromod per l’anno 2012, costruito a partire dai dati dell’Indagine EU-SILC del 2010 (2), dividendo le famiglie per decili di reddito familiare procapite (complessivo ai fini Irpef). Limitandoci a guardare solo coloro i quali sono proprietari di prima casa, la tabella ci mostra che il reddito familiare totale dichiarato del primo decile è in media di 8 mila euro e arriva oltre 80 mila euro in media per il decimo decile (colonna A). Le colonne B e C mostrano anche come l’Irpef media aumenti più che proporzionalmente con il reddito: le famiglie fino al terzo decile pagano in media meno del 10% di Irpef, oltre il nono decile più del 20%.
Tabella 1 – distribuzioni del reddito e del debito Irpef per decili di reddito familiare procapite.
La Tabella 2 invece mostra che nel primo decile le famiglie che possiedono la prima casa sono poco più della metà mentre nell’ultimo sono l’80% (colonna A). Guardando al valore catastale simulato (la base imponibile Imu) tra i proprietari il valore della prima casa è costante attorno a 100mila euro fin oltre la mediana e cresce solo oltre il settimo decile per raggiungere un valore medio prossimo ai 160mila euro per l’ultimo decile (colonna B). La tabella mostra anche che la media dell’Imu prima casa è tra 250 e 300 euro l’anno per circa l’80% delle famiglie italiane (colonna C). L’Imu è un’imposta progressiva rispetto alla sua base imponibile, grazie all’esistenza di una detrazione per la prima casa. Tale detrazione potrebbe anche essere aumentata ulteriormente, accentuandone la progressività (si vedano i calcoli a parità di gettito). L’Imu prima casa se calcolata rispetto al reddito aumentato degli affitti imputati della prima casa risulta risulta invece inizialmente regressiva e successivamente proporzionale. E’ tuttavia opportuno ricordare che la definizione della progressività o regressività di un’imposta dipende crucialmente dalla quantità rispetto a cui il debito d’imposta viene calcolato: se al denominatore si inserisce una misura che non comprende alcuni redditi come ad esempio quelli evasi, l’intera misura di progressività risulta errata e deve essere presa con le dovute cautele.
Tabella 2 – Distribuzioni dei valori immobiliari per decili di reddito familiare procapite.
Quello che emerge chiaramente dal confronto tra le tabelle è che l’eliminazione dell’Imu prima casa costituirebbe una riduzione d’imposta mediamente maggiore per i redditi alti (dove i valori catastali sono maggiori ed è più frequente la proprietà della prima casa) che per i redditi bassi. La Tabella 2 (colonna D) mostra infatti che mediamente il guadagno per i contribuenti che si collocano nel primo decile sarebbe di circa 150 euro contro più del doppio di quello dei contribuenti nell’ultimo decile. Chi non è proprietario della casa in cui vive non osserverebbe alcun vantaggio fiscale. La Tabella 2 mostra anche la distribuzione di proprietà immobiliare diversa dalla prima casa, ed evidenzia come anche tra i decili di reddito più bassi la consistenza del patrimonio immobiliare non sia irrilevante: il 15% delle famiglie più povere ha altri immobili di proprietà, mediamente di un valore consistente (145mila euro) e paga oltre mille euro di Imu (colonne D, E ed F, rispettivamente). In questo caso l’imposta è proporzionale (rispetto alla sua base imponibile, per assenza di detrazioni) e le famiglie più ricche, appartenenti all’ultimo decile, hanno due volte e mezzo la probabilità di essere proprietari immobiliari (al netto della prima casa) rispetto alle famiglie del primo decile e con un valore medio del patrimonio immobiliare pari a oltre tre volte il valore medio delle seconde case delle famiglie del primo decile.
PERCHÉ SERVE LA PROGRESSIVITÀ
Anche se il merito dell’Imu di avere tassi di evasione molto bassi è già di per sé notevole per un paese come il nostro, concentriamoci ora sulla sua progressività e il suo ruolo per ribilanciare il carico tributario. Perché la progressività è importante? Non esiste un grado ottimale di progressività, esso dipende dalle preferenze sociali: ci sono società che preferiscono alti livelli di progressività (es. i paesi scandinavi) altri che preferiscono bassi livelli (es. gli Stati Uniti). La progressività del sistema tributario italiano è una prescrizione del nostro dettato costituzionale (art. 53) anche se è lasciato al legislatore definirne il grado. Inoltre, la progressività va valutata nel complesso del sistema tributario, non per imposta presa singolarmente.
Quello che possiamo sicuramente notare è che il grado di progressività delle imposte è andato via via diminuendo nel corso degli ultimi decenni in Italia. L’Irpef, la principale imposta diretta italiana, è stata inizialmente introdotta su una definizione di reddito molto ampia, che comprendeva anche i redditi da capitale mobiliare e immobiliare, e doveva garantire la progressività complessiva del sistema, con un’aliquota massima fissata inizialmente al 72%. Tuttavia, la base imponibile Irpef è stata progressivamente erosa. Non rientrano nella base imponibile la quasi totalità dei redditi di capitale finanziario, dei redditi dell’agricoltura e buona parte dei redditi da fabbricati. Dal 2000 anche la rendita catastale della prima casa è uscita dalla base imponibile e, da ultimo, tutti i redditi da immobili dati in affitto con il meccanismo della cedolare secca. La gran parte dei redditi che non entra nella base imponibile Irpef è soggetta a imposte proporzionali, dove tutti pagano la stessa quota a prescindere dal livello di reddito percepito. La stessa progressività dell’Irpef è stata fortemente ridotta, con l’aliquota massima che è stata gradualmente portata al 43%. L’Irpef non è più un’imposta generale sul reddito, ma assume piuttosto le caratteristiche di un’imposta speciale sui soli redditi da lavoro dipendente e da pensione.
La progressività dell’imposta è un importante strumento di redistribuzione, specialmente quando esistono servizi pubblici forniti con criteri prevalentemente universalistici. Consente di mantere una equa distribuzione di risorse, fornire servizi come l’istruzione di buona qualità e cure sanitarie adeguate anche a chi è privo di mezzi sufficienti per pagarseli. Limitiamoci ai dati di cui disponiamo, la Figura 1 rappresenta con la linea continua il livello dell’aliquota massima dell’Irpef, gradualmente diminuita dagli anni 70 ad oggi (si veda l’asse sinistro del grafico). La linea tratteggiata mostra la quota di reddito detenuta dall’1% più ricco, che è passata da un minimo di 6,3% nella prima parte degli anni 80 ad un massimo di 9,9% nel 2007, per poi diminuire leggermente durante la crisi: un incremento di oltre il 50% (asse destro del grafico). Considerato che i redditi da capitale finanziario e immobiliare sono maggiormente concentrati tra i redditi alti e che le imposte su donazioni e successioni sono state mantenute a livelli estremamente bassi (addirittura nulli tra il 2001 e il 2006), è assai probabile che la concentrazione della totalità dei redditi sia andata aumentando ancor di più. In poche parole, i ricchi sono sempre più ricchi, in un periodo in cui l’economia italiana è cresciuta poco o nulla.
Figura 1 – Aliquota marginale massima dell’Irpef e quota del reddito dell’1% più ricco tra tutti coloro che presentano una dichiarazione dei redditi ai fini Irpef.
Fonte: The World Top income Database
Forse è discutibile ipotizzare di tornare ad aumentare l’aliquota massima dell’Irpef, anche se risultati teorici recenti suggeriscono che siamo andati troppo in basso nel corso degli ultimi decenni. E’ discutibile perché l’Irpef è pagata quasi esclusivamente da chi riceve redditi da lavoro dipendente e pensione. Meno discutibile sarebbe reintrodurre nella base imponibile dell’Irpef per lo meno quei redditi che ne sono fuoriusciti, più per scelta politica che per ragioni economiche. Importante rimane l’obiettivo di graduare il ribilanciamento dell’onere tributario ed evitare di concedere sconti fiscali a chi ne ha meno bisogno, riducendo le disparità tra contribuenti che hanno molta possibilità di scelta rispetto a quanto dichiarare ai fini fiscali e altri che non ne han nessuna. L’Imu prima casa, nel suo piccolo, contribuisce a questo scopo ed è bene che continui a fare la sua parte.
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