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Il falso problema della raccolta bancaria

L’Abi sostiene che le banche italiane non possono supportare pienamente l’economia reale perché non riescono a ottenere risorse sufficienti attraverso depositi e obbligazioni. Se così fosse, basterebbe aumentare i rendimenti offerti sulla raccolta bancaria. Ma il vero problema non è il risparmio.
LA TESI DELL’ABI
Una delle tesi sostenute dall’Associazione bancaria italiana (Abi), in particolare dal suo presidente Antonio Patuelli, consiste nell’affermare che le banche italiane non siano in grado di supportare pienamente l’economia reale a causa di un deficit di risorse tra quanto raccolgono, sotto forma di depositi e obbligazioni, e quanto prestano a famiglie e imprese. L’Abi stima il gap di risorse pari al 20 per cento. Sulla base di questa constatazione Antonio Patuelli esorta i risparmiatori a investire di più nei prodotti bancari in modo da recuperare quelle risorse che, poi, potranno essere utilmente reinvestite nell’economia reale. Ma è  una tesi fondata?
In primo luogo, la tesi sembra cozzare contro il cosiddetto meccanismo del moltiplicatore della moneta, che un banchiere di lungo corso come Patuelli conosce bene. A fronte di 100 euro depositati, e tolta la modesta quota di riserva obbligatoria del 2 per cento, la banca può fare prestiti per 98. Di questi 98, una buona parte tornerà però nella forma di depositi, perché, ad esempio, l’impresa che ha ottenuto il prestito pagherà al suo fornitore i prodotti o i servizi che ha acquistato. Ciò permette di rimettere in circolo queste somme aumentando ulteriormente la moneta in circolazione. Affinché il processo funzioni è però fondamentale che le banche mettano effettivamente a disposizione questi capitali, e non li trattengano per altri scopi, come l’investimento in titoli di Stato.
Grafico 1. Differenziale rispetto alla Germania dei tassi su titoli di Stato e sui depositi bancari – dati relativi a febbraio 2013
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Pur tralasciando questo aspetto, e prendendo per buona la stima dell’Abi sul gap di risorse che le banche devono fronteggiare per finanziarie i prestiti erogati all’economia, ci si dovrebbe attendere che i tassi d’interesse applicati alle forme di raccolta bancaria siano in Italia nettamente più alti degli altri paesi europei che non devono affrontare i nostri stessi supposti problemi nella raccolta e che non hanno difficoltà nei conti pubblici. Un modo per rappresentare questa situazione è mettere a confronto il differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato e quello dei depositi bancari della Germania rispetto ai principali paesi dell’area euro. (1) Si può osservare che nei cosiddetti paesi dell’Europa del Nord (Austria, Belgio, Francia, Finlandia e Olanda) tra i due differenziali non c’è molta differenza (grafico 1). In altri termini, le banche nazionali tendono ad applicare sui rendimenti dei depositi un differenziale rispetto alla Germania non molto distante da quello registrato sui titoli di Stato. Nei paesi dell’Europa del Sud, invece, la situazione è ben diversa. In Irlanda, Italia, Spagna e Grecia, pur con differenziali sui titoli di Stato molto ampi, gli spread sui tassi applicati sui depositi bancari sono ben più contenuti. Nello specifico, in Italia lo spread sui titoli di Stato è stato pari a 300 punti base nello scorso febbraio, mentre il differenziale tra il rendimento offerto sui depositi tedeschi e quelli italiani si è attestato ad appena 20 punti, lo stesso valore osservato in Irlanda che però ha beneficiato di uno spread sui titoli governativi più basso del nostro paese (220 punti base).
Anche prendendo in considerazione un’altra importante fonte di finanziamento, le obbligazioni bancarie, la situazione in Italia non è particolarmente brillante. Uno studio condotto da alcuni ricercatori della Consob ha infatti evidenziato come il rendimento offerto sulle obbligazioni bancarie sia in media inferiore a quello dei titoli di Stato, contravvenendo, quindi, a un principio fondamentale della finanza per cui a un maggior rischio deve corrispondere un maggior rendimento. (2) In altri termini, sfruttando la bassa cultura finanziaria delle famiglie italiane, le banche sono riuscite a collocare presso la loro clientela prodotti finanziari che non rispecchiavano completamente il giusto prezzo di mercato.
CAPITALIZZAZIONE E SOFFERENZE
In definitiva, se il problema che ha spinto le banche italiane a chiudere i rubinetti del credito è la scarsa disponibilità di fonti di finanziamento, allora la soluzione appare immediata: aumentare i rendimenti offerti sulla raccolta bancaria. L’interrogativo che sorge a questo punto è perché le banche non seguano questa semplice strada che potrebbe risolvere il problema del credit crunch, più volte evidenziato in questa sede e richiamato di recente dal Fondo monetario internazionale e dalla Bce.
La risposta sembra altrettanto semplice: il problema non sussiste ed è sbagliato e ingiusto accusare imprese e famiglie, ovvero chi sta patendo per la mancanza di credito, di non risparmiare a sufficienza. Guardando ai dati grezzi della Banca d’Italia, infatti, la tesi dell’Abi sul deficit di risorse non è verificata. A febbraio 2013, gli impieghi a famiglie e imprese non finanziarie ammontavano complessivamente a circa 1.470 miliardi di euro. Nello stesso mese i depositi bancari di famiglie e imprese erano pari a 1.075 miliardi di euro. Le obbligazioni bancarie in possesso di famiglie e imprese, secondo i dati relativi a settembre 2012 dei conti finanziari, ammontavano a circa 385 miliardi di euro. Nel complesso, quindi, le risorse che le banche sono riuscite a recuperare da famiglie e imprese sono pari a circa 1.460 miliardi di euro, quindi il 99,3 per cento dell’ammontare dei prestiti erogati alla stessa tipologia di clientela, con un gap di appena lo 0,7 per cento contro il 20 per cento segnalato dal presidente dell’Abi. (3) È quindi proprio grazie al risparmio delle famiglie nella forma di obbligazioni bancarie che il nostro sistema bancario non ha un deficit di risorse, aspetto che ci pone paradossalmente in una situazione migliore di altre realtà europee. (4)
Il vero problema delle banche va quindi ricercato altrove e , in particolare, nell’eccessivo peso delle sofferenze bancarie che, intrecciandosi con dotazioni di capitale sufficienti solo al mantenimento dello status quo, non permettono di offrire un reale contributo a un’economia già fortemente provata. Questa situazione potrebbe essere assimilata a quella di un presidente di una squadra di calcio che, non avendo più adeguate risorse finanziarie per poter competere nel campionato di serie A, si ostina a far giocare la sua squadra con gli stessi giocatori, oramai in avanti con l’età e in sovrappeso, piuttosto che cercare nuovi soci che diano alla squadra quelle risorse necessarie per poter ingaggiare giovani e promettenti calciatori. A un tale miope atteggiamento corrisponde un solo e certo esito: la retrocessione in serie B.
 
(1) Per semplicità, e data la maggiore diffusione e rappresentatività, è stato utilizzato lo spread sui titoli di Stato a dieci anni. Il tasso medio sui depositi è stato calcolato come media ponderata dei tassi applicati sui depositi in conto corrente e su quelli con durata prestabilita delle famiglie, tipologie di prodotto per cui la Bce offre le statistiche armonizzate per tutti i paesi considerati e, in particolare, per l’Italia. Queste due tipologie di depositi rappresentano in Italia circa il 15 per cento delle passività bancarie, un valore in linea con quello della Germania e superiore di circa 2 punti e mezzi alla media dell’Eurozona.
(2) Grasso R. , N. Linciano, L. Pierantoni e G. Siciliano (2010), “Le obbligazioni emesse da banche italiane. Le caratteristiche dei titoli e i rendimenti per gli investitori”, Quaderni di Finanza Consob.
(3) Per chi fosse interessato a ricostruire questi calcoli, i valori sono ottenuti dall’aggregazione delle seguenti serie contenute nella Base informativa pubblica della Banca d’Italia: depositi (S912432M+S917635M+S933546M); obbligazioni (tavola TDHET000 dei conti finanziari, titoli a medio/lungo termine emessi da Ifm e detenuti da società non finanziarie e famiglie); impieghi (S640592M+S566656M).
(4) Prendendo a riferimento solo il rapporto tra depositi e impieghi esiste effettivamente un ampio gap, che ha giustificato i diversi richiami fatti dal Fondo monetario internazionale affinché il sistema bancario italiano, e quello di molti altri paesi europei, punti ad accrescere la raccolta tramite depositi.

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Il Punto

  1. Erika

    L’analisi mi sembra poco accurata. Per esempio potrebbe riportare quanto pagano le obbligazioni delle banche tedesche in germania (per esempio DB) e quanto pagano le banche italiane….si accorgera’ che la differenza e’ notevole! Potrebbe inoltre controllare quanto raccolgono e quanto prestano le banche tedesche, anche qui si accorgera’ che il sistema italiano presta una percentuale molto piu’ elevata sulla raccolta rispetto alla Germania.
    Mi sembra che per sostenere la sua tesi, parzialmente vera, abbia riportato solo i dati che trovava interessanti, invece che riportarli tutti.

  2. Piero

    Non si può tralasciare la causa del problema, le banche, come affermato dall’autore hanno i bilanci ingolfati dai titoli di stato che a causa della crisi di fiducia del debito pubblico hanno perso il loro valore riducendo il patrimonio delle banche, ciò ha provocato una diminuzione dei crediti alle imprese, un mercato interbancario inesistente, una più attenzione alla qualità del credito.
    Se non risolviamo questo problema non usciamo da tale crisi, solo la Bce lo può risolvere, deve procedere all’acquisto dei titoli di stato al fine di ridurre gli spreed esistenti tra i paesi; la banca centrale indipendente dagli stati che ha come obbiettivo la stabilità della moneta non può permettere le differenze degli spreed attuali, in tale modo vi sarà la rottura dell’area valutaria e quindi la Bce non avrà fatto il suo dovere, perché non a garantito l’esistenza della moneta nei paesi meriodionali che dovranno adottare un euro più debole.

  3. Federico

    Editoriale molto incisivo. Le sofferenze aumentano, l’ipotesi della creazione della “bad bank” è stata respinta dall’Abi a più riprese, è altresì improbabile che a breve la Bce decida di intervenire sul mercato delle Abs, le banche sono sempre più national in death, e si avvantaggiano dei tassi di interesse prossimo a zero. Ritorniamo sempre da capo. Urge (20 anni fa urgeva) uno shock di competitività. Viceversa, alla de facto mutualization dei debiti (già in atto, tramite la contribuzione ai meccanismi del FSM, ecc.), è preferibile un sussidio di disoccupazione con controlli incrociati, valorizzazione dei distretti produttivi e puntare su giovani e donne. e tagliare cuneo fiscale e spesa inefficiente. Perchè non se ne parla?

  4. Mi pare che ci sia un piccolo errore logico nell’articolo.
    Il gap del 20% di cui parla Patuelli non va misurato sulle risorse attualmente raccolte rispetto alle risorse attualmente prestate (che sono, come ragionevole aspettarsi, abbastanza allineate). Il gap e’, credo, tra le risorse attualmente prestate e le maggiori risorse che le banche presterebbero se avessero piu’ risorse raccolte.

    • Se rilegge l’intervista di Patuelli sul Corriere della Sera è chiaro che il presidente dell’Abi faccia riferimento al gap di risorse attualmente osservate, non ha quelle potenziali. Il gap ci cui parla Patuelli fa probabilmente riferimento all’intera clientela residente, che oltre a famiglie e imprese include anche le società finanziarie (per lo più possedute dagli stessi gruppi bancari), le assicurazioni e la Pubblica Amministrazione. Posto che quest’ultima, in particolare, ha una posizione netta debitoria verso il sistema bancario ecco spiegato il gap citato dall’Abi, di cui però famiglie e imprese non hanno nessuna responsabilità.

  5. Senz’altro
    le banche tedesche riescono a finanziarsi tramite emissioni obbligazionarie che
    rendono meno rispetto a quelle italiane, ma ciò dipende essenzialmente dal
    rischio paese che è ben colto dallo spread Btp-Bund. La questione che ho voluto
    sollevare però è un’altra: proprio perché il rendimento delle obbligazioni è
    legato al rischio del paese in cui la banca opera, ci si dovrebbe attendere che
    il rendimento offerto sia ben maggiore rispetto a quello dei titoli di Stato,
    ma ciò in Italia non si verifica, come ben evidenziato dallo studio Consob che
    ho citato. Come può allora lamentarsi l’Abi per la non sufficiente raccolta a medio-lungo
    termine se non vengono offerti rendimenti che incorporano l’effettivo rischio
    dell’operazione?

  6. andreag

    Benchè condivida il punto di partenza del discorso, tuttavia sono in disaccordo con Lei sulle conclusioni, in particolar modo sulla proposta di alzare i rendimenti della raccolta. Ho guardato criticamente le fonti Banca d’Italia, e se desidera farmi un onore, La invito a leggere quanto ho messo sul mio blog, all’indirizzo: http://beneathsurface.altervista.org/il-vortice-dove-finiscono-i-soldi-dei-correntisti/

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