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Accordo difficile sul nucleare iraniano

È improbabile che la ripresa dei colloqui sul nucleare iraniano possa limitare le ambizioni di Teheran nella regione. Anche perché le sanzioni non hanno ostacolato una forte diversificazione produttiva del paese.

Gli obiettivi dei nuovi colloqui

I colloqui per il rilancio dell’accordo nucleare iraniano del 2015, il cosiddetto Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), sono faticosamente ripresi a fine novembre a Vienna, con incontri indiretti tenuti da diplomatici europei. La Repubblica Islamica, infatti, continua a rifiutare il contatto diretto con gli Stati Uniti.

Molti commentatori giudicano tuttavia con scetticismo la ripresa dei negoziati, voluti dall’amministrazione Biden, iniziati già la scorsa primavera e poi temporaneamente sospesi per permettere lo svolgimento delle elezioni presidenziali in Iran. È improbabile, infatti, che i colloqui in corso abbiano successo nel limitare il rafforzamento del primato nucleare iraniano nella regione, mentre le sanzioni introdotte da Donald Trump al momento della rottura degli accordi sembrano avere prodotto effetti inattesi.

Il punto di partenza della trattativa, per l’intransigente nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi, è il preventivo annullamento di tutte le sanzioni, anche quelle imposte prima degli accordi, l’impegno a non imporne altre in futuro e un successivo ripristino delle clausole del Jcpoa. Tuttavia, al di là del fatto che nessun governo americano può impegnarsi in simili promesse, oggi lo scenario appare profondamente diverso da quello presente al momento della stipula del trattato.

In questi anni, infatti, l’Iran ha accumulato un notevole know-how e un’importante capacità produttiva in termini di arricchimento dell’uranio: oggi, molti esperti stimano in pochi mesi la distanza che separa la Repubblica Islamica dall’effettiva possibilità di produrre armamenti nucleari. A questo si aggiunge un sostanziale incremento della sua capacità di produrre missili balistici a medio raggio, in grado di trasportare armi nucleari. Infine, appare meno credibile la promessa fatta sei anni fa che l’Iran non avrebbe mai sviluppato armi nucleari. Il suo crescente impegno in molti scacchieri della regione, dallo Yemen alla Siria, dall’Iraq al Libano e a Gaza, rendono infatti Teheran un attore fondamentale nell’area. È quindi del tutto evidente che in questo contesto le ambizioni di conquistare anche un primato nucleare certo non mancano.

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Gli effetti delle sanzioni

Ciò che rende la situazione ancora più complessa è il fatto che il proseguimento o un ulteriore inasprimento delle sanzioni, già molto dure, imposte da Trump non rappresenta un valido deterrente alla proliferazione nucleare del paese.

Sono oramai più di quaranta anni, cioè dalla crisi degli ostaggi del novembre del 1979, che l’America ha imposto a più riprese embarghi alle esportazioni e importazioni iraniane e il blocco dei fondi, con risultati relativamente limitati. Un recente lavoro scientifico mostra come le sanzioni che si sono succedute dopo la guerra contro l’Iraq (1979–1989) e con al governo quattro presidenti di diverse inclinazioni politiche – Rafsanjani (1989–1997), Khatami (1997–2005), Ahmadinejad (2005–2013) Rouhani (2013–2021) – hanno certamente prodotto una forte riduzione della crescita economica, un incremento dell’inflazione e una parallela svalutazione del tasso di cambio, e un aumento della povertà e delle disuguaglianze, ma hanno anche prodotto un’importante diversificazione dell’apparato produttivo (oggi le esportazioni di gas e petrolio pesano meno del 50 per cento), una forte crescita dei settori e delle imprese legate ad Internet, data anche l’assenza di competizione internazionale (Digikala (Amazon), Aparat (YouTube), Cafe Bazaar (Google Play), Snapp (Uber), Divar (Craigslist)). Si stima che oltre il 65 per cento delle famiglie iraniane siano connesse a Internet. La rapida espansione è stata facilitata dal governo e dall’apparato di sicurezza, che hanno reso disponibile una connessione veloce a prezzi accessibili a moltissimi utenti. Oggi, la società di telecomunicazioni mobili dell’Iran, in gran parte controllata dal Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, serve 43 milioni di abbonati. Soprattutto, le sanzioni hanno stimolato la nascita di un’industria bellica nazionale tecnologicamente avanzata, particolarmente forte nel campo dei droni e dei missili balistici.

In questo scenario è comprensibile la riluttanza iraniana a legarsi troppo le mani, dato anche il dichiarato intendimento americano al disimpegno nella regione, reso ancora più evidente dalla precipitosa uscita da Afghanistan e Siria. Israele, poi, non pare avere le capacità logistiche e strategiche per distruggere da solo, con armi convenzionali, un arsenale nucleare diffuso in tutto il paese e nascosto dentro profondi bunker. Le possibili ritorsioni iraniane e le crescenti ambizioni strategiche di Cina e Russia rendono lo scenario mediorientale ancora più incerto e rischioso. Anche se nessuno si augura una proliferazione nucleare in una delle regioni più instabili del pianeta, oggi non è affatto chiaro come evitarla.

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  1. Tibor Toth

    Già l’inizio di vede che l’articolo è di parte e insufficiente. L’obiettivo NON è il rilancio dell accordo. L’obiettivo per l’Europa è l’esistenza dell’accordo, per l’Iran il ritorno nell’accordo degli stati uniti e il risarcimento per il periodo di ritiro unilaterale dal trattato. Per gli USA è ottenere un accordo migliore del passato all’apparenza senza perdere la faccia con gli alleati mediorientali.

  2. Lorenzo

    Credo che il tempo dello strumento “sanzioni” sia passato. Gli USA non hanno più quel ruolo economico-militare che avevano fino a vent’anni fa e le nazioni sotto embargo cooperano fra di loro (ISPI segnala che l’area asiatica avrà la maggior percentuale mondiale di interscambio).

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