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Licenziamenti e legge Fornero

I dati sui licenziamenti nell’ultimo trimestre del 2012 sono drammatici. L’aumento dei licenziamenti dipende dall’entrata in vigore della legge Fornero? L’analisi suggerisce che è dovuto alla congiuntura. Mentre è ascrivibile alla riforma il forte calo delle assunzioni nel parasubordinato.
POCHI DATI DAL MINISTERO
I dati sui licenziamenti nell’ultimo trimestre del 2012 sono drammatici. Rilasciati domenica 7 aprile (strana scelta di tempo) dal ministero del Lavoro, hanno giustamente avuto grande risalto sui quotidiani. Molti commenti hanno sottolineato come sarebbero attribuibili alla riforma Fornero che ha modificato la disciplina dei licenziamenti. In effetti, le riforme che riducono il grado di protezione dell’impiego durante le recessioni finiscono per aumentare i licenziamenti come mostra un’ampia casistica internazionale. Ma siamo sicuri che sia così nel nostro paese? Come sempre, siamo contrari ai processi sommari e allora siamo andati alla ricerca di dati che ci permettano di verificare se l’atto d’accusa nei confronti del ministro del Lavoro dimissionario è supportato dalle informazioni sin qui disponibili.
Purtroppo, il ministero del Lavoro è stato molto parco nel rilascio dei dati. Ad esempio, non ha fornito alcun dettaglio sulla natura dei licenziamenti e sulla dimensione delle imprese che hanno licenziato. La prima informazione è disponibile dalle comunicazioni obbligatorie che riceve dai datori di lavoro. La seconda non lo è, ma è possibile risalire alla dimensione di impresa semplicemente incrociando i dati delle comunicazioni obbligatorie con quelli dell’Inps. Guardare a cosa succede alle imprese sopra e sotto i 15 dipendenti è molto utile. La riforma dell’articolo 18, infatti, non dovrebbe aver avuto alcun effetto sulle imprese più piccole, non soggette al regime della cosiddetta reintegra. Quindi comparando ciò che è successo ai licenziamenti sopra e sotto la soglia dei 15 dipendenti si può isolare l’effetto della riforma Fornero separandolo da quello (che ha colpito sia le piccole che le grandi imprese) della recessione. Un altro modo per controllare per gli effetti della crisi consiste nel guardare all’andamento dei licenziamenti individuali (il cui regime è stato modificato dalla riforma) rispetto a quelli collettivi (il cui regime non è cambiato). Purtroppo, anche questo dato non viene fornito dal ministero. Una omissione davvero molto grave. Tra l’altro il servizio statistico al ministero non dà segni di vita. Al numero di telefono apposito non c’è risposta.
LICENZIAMENTI COLLETTIVI E INDIVIDUALI
Per fortuna, qualche Osservatorio sul mercato del lavoro che ha un ben diverso atteggiamento verso l’informazione statistica, pubblica dati sui licenziamenti per tipologia. La tabella qui sotto compara l’andamento dei licenziamenti collettivi e dei licenziamenti individuali in Veneto nei primi sei mesi e nei secondi sei mesi del 2011 e del 2012. La legge Fornero è entrata in vigore a luglio 2012.
Come si vede, dopo l’entrata in vigore della legge c’è stato un aumento sia dei licenziamenti collettivi che di quelli individuali, ma l’incremento percentuale dei primi è stato nettamente più alto: attorno al 50 per cento contro il 20 per cento di quelli individuali. Anche nel 2011 c’era stato un incremento di entrambi i tipi di licenziamenti, ma più o meno della stessa entità (attorno all’11 per cento sia per i licenziamenti individuali che per quelli collettivi). Risultati analoghi si ottengono concentrandosi sui soli licenziamenti da contratti a tempo determinato e indeterminato oppure guardando ai flussi in ingresso nelle liste di mobilità per tipologia di licenziamento. I licenziamenti che sono cresciuti di più nella seconda parte del 2012 sono i licenziamenti collettivi. Quindi sembrerebbe che sia la congiuntura negativa la vera responsabile del loro aumento, non certo la legge Fornero. Ovviamente sarebbe utile ripetere la stessa analisi su scala nazionale. Speriamo che il ministero, anche dopo la pubblicazione di questo articolo, ce ne dia la possibilità.
Licenziamenti lavoratori dipendenti (tempo indeterminato + tempo determinato + apprendisti + somministrazione) (solo Veneto)
1
*Nota = licenz. giusta c. + licenz. individuale + dimiss. giusta c. + licenz. motivo sogg + licenz. motivo ogg + int. per prova
ASSUNZIONI IN CALO
La riforma Fornero sembra invece avere avuto effetti pronunciati (e negativi) sul lato delle assunzioni. Lo si evince comparando la dinamica delle assunzioni nei contratti di lavoro parasubordinato (resi più costosi e più difficili dalla legge) con le assunzioni nei contratti di lavoro a tempo determinato e indeterminato. L’informazione per fortuna è resa disponibile da un network di regioni che rappresentano i due terzi del mercato del lavoro nazionale e quindi possiamo contare in questo caso su dati più rappresentativi. La tabella qui sotto applica la stessa metodologia utilizzata per i licenziamenti (analisi di differenze nelle differenze). Ci dice che c’è stato un forte calo delle assunzioni nel parasubordinato e nell’intermittente attribuibile alla riforma Fornero. Le assunzioni in questi contratti sono infatti diminuite quasi del 30 per cento nella seconda parte del 2012, contro un calo del “solo” 6 per cento per le assunzioni nei contratti a tempo determinato e indeterminato. Nel 2011 era avvenuto esattamente l’opposto.
Assunzioni (nazionale)
2
Regioni considerate: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Sardegna, Campania, Trento e Bolzano.
La riforma Fornero contribuisce così a ridimensionare alcune figure contrattuali che, prima della sua entrata in vigore, continuavano a crescere nonostante la crisi o, comunque, diminuivano di meno di altre tipologie. Tra queste il lavoro a chiamata (o job-on-call), le associazioni in partecipazione e i contratti a progetto, ma senza che a questa distruzione di posti precari abbia corrisposto la creazione di posti a maggiore stabilità. Il problema è che la legge Fornero non ha creato alcun percorso di stabilizzazione che offra al datore di lavoro un’alternativa ai contratti di lavoro precari in essere. In questo senso, la legge Fornero ha contribuito a peggiorare l’andamento dell’occupazione. Ma agendo sulle assunzioni piuttosto che sui licenziamenti.
Elaborazione dati a cura di Filippo Teoldi

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13 commenti

  1. fabio pigni

    I licenziamenti collettivi sono circa un decimo dei licenziamenti individuali: il dato è poco signficatvo per trarre qualsiasi conclusione in rapporto alla rifoma Fornero

  2. antonio fasanella

    L’articolo non tiene conto del fatto che è mutato notevolmente il regime sanzionatorio dei licenziamenti collettivi, soprattutto per le violazioni delle relative procedure (che statisticamente sono le più rilevanti): art. 1 co. 46 l. Fornero. Le conclusioni che se ne traggono devono dunque essere adeguatamente ponderate sulla base di tali modifiche.

  3. Max

    Le conclusioni sono piu’ o meno basate sull’assunto (implicito) che la crisi abbia un eguale impatto sui licenziamenti individuali e su quelli collettivi, e che quindi un eventuale andamento differenziale tra licenziamenti individuali e collettivi sia esclusivamente (o prevalentemente) attribuibile alla riforma. Varrebbe la pena di mostrare che l’assunzione e’ verosimile guardando ai dati relativi a precedenti periodi di crisi/recessione -in cui non c’era la riforma Fornero – verificando che la dinamica dei licenziamenti individuali e collettivi è stata la stessa (guardare solo al 2011 non credo sia sufficiente, anche perché le grandi imprese potrebbero semplicemente aver posticipato alcuni licenziamenti dal 2011 al 2012 grazie agli ammortizzatori, a differenza delle piccole). Presa sul serio, da un’analisi DDD sui dati grezzi (assunzione: la differenza nei trend tra licenziamenti individuali e collettivi pre-riforma è quella che avremmo dovuto osservare in assenza di riforma nel periodo post-riforma) dovremmo concludere che l’effetto della riforma Fornero è stato quello di ridurre i licenziamenti individuali di -28.45 punti percentuali =(20.28-11.32)-(49.20-11.79). Se considerassimo invece un’analisi DD basata solo sui licenziamenti individuali, concluderemmo che l’effetto della riforma Fornero e’ stato (Lic_II_sem_2012-Lic_I_sem_2012)-(Lic_I_sem_2011-Lic_II_sem_2011)=20.28-11.32=+8.96 ovvero un aumento dei licenziamenti, ipotizzando che il trend pre-riforma Fornero nei licenziamenti individuali sarebbe stato anche quello osservato nel 2012 in assenza della suddetta riforma. Anche queste assunzioni sono ovviamente criticabili. Ma in generale diverse assunzioni portano a diverse conclusioni, servirebbero forse piu’ dati ed un approfondimento analitico per esprimere un giudizio sulla riforma.

  4. Umberto Carraro

    la riforma fornero è stata condizionata da CGIL e da PD. Dopo anni di prediche contro l’elasticità nel mercato del lavoro cioè contro la precarietà, il ritorno a livelli di maggiore rigidità non poteva generare altro che minor lavoro: meno precari e più disoccupati. I giovani ringraziano.

  5. Imma

    Il problema della mancanza di dati appropriati è cruciale e comprendo le considerazioni in merito al rilascio dei dati da parte del Ministero del Lavoro. Detto questo, ho due considerazioni: 1) anche se fossero disponibili i dati sui licenziamenti per le imprese sopra e sotto i 15 dipendenti, non sarebbe semplice isolare l’effetto della riforma Fornero dato
    che la recessione come sappiamo ha colpito in misura diversa le imprese piccole-medie-grandi. 2) a mio parere in queste tabelle non c’è alcuna evidenza empirica di una relazione tra licenziamenti/assunzioni e riforma Fornero. Dal
    lato dei licenziamenti il fatto che sono aumentati del 50% quelli collettivi potrebbe essere dovuto al fatto che hanno “chiuso i battenti” tante imprese (e
    in Veneto ce lo aspettiamo). Mentre l’aumento dei licenziamenti individuali, anche se minore rispetto a quelli del tipo2, potrebbe dipendere completamente dalla riforma Fornero. Lo stesso vale per le
    assunzioni, chi ci dice che la maggiore diminuzione delle assunzioni di tipo1 non rispecchi una maggiore crisi di quei settori che utilizzano maggiormente queste tipologie di contratti?

  6. Ugo Pellegri

    Se non sbaglio il lavoro parasubordinato è stato inventato ed utilizzato, spesso anche in maniera scorretta, per modellare le risorse ai carichi di lavoro. Sembra quindi logico pensare, che in presenza di crisi, anche i contratti parasubordinati diminiuscano in quanto, per loro natura, la diminuzione è sostitutiva di licenziamenti. Perchè allora dare responsabilità alla legge Fornero, che con tutti i limiti per i quali partiti e sindacati hanno contribuito non poco, il cui fine era proprio quello di ostacolare gli abusi?

  7. Non si può sapere se la riforma ha avuto effetti positivi sui contratti non parasubordinati e l’effetto negativo complessivo non sia dovuto solo alla crisi. Inoltre per sapere gli effetti della riforma basandosi su quanto avvenuto su insiemi disomogenei bisognerebbe avere dei dati su quanto avvenuto a quegli aggregati (piccolo-grande e individuale-collettivo) in periodi simili a quello in esame e correggere i risultati di conseguenza.

  8. Enrico Vento

    Il fatto che siano diminuite le assunzioni è già molto grave. E questa è la realtà. In questa situazione di crisi grave e di incertezza, pochi possono permettersi di assumere un lavoratore a tempo indeterminato, visto che poi licenziarlo in caso di mancanza di lavoro è difficile o costoso quanto prima. In questa fase congiunturale è invece facile pensare che un’azienda che non è in grave crisi, e quindi non ha in programma la riduzione del personale, potrebbe avere bisogno di inserire personale per fare fronte ad aumenti temporanei della produzione o per altre ragioni, che non permettono però un’assunzione stabile. Tuttavia i vari legacci e legacciuoli delle norme, resi ancora più intricati e difficili dalla Fornero, spesso non ti permettono di farlo nella pratica. Questo è gravissimo, in un momento in cui una maggiore mobilità consentirebbe comunque ai lavoratori di trovare sistemazioni temporanee. Inoltre sembra assurdo ma è difficile trovare sbocchi di formazione per riqualificare il personale in Cig. Spesso i bandi di formazione sono incompatibili con la CIG. Assurdo.

  9. Dan Marinos

    Non mi è chiaro perché l’analisi non tiene conto anche delle variazioni tra il secondo semestre 2011 e il primo del 2012 (per esempio si noterebbe un incremento del 9% di entrambe le categorie d’assunzione, un crollo dei licenziamenti individuali e un lievissimo aumento di quelli collettivi).

  10. iskander

    Cercare di ridurre il cosiddetto “precariato” scoraggiando e rendendo più costose le forme contrattuali atipiche non poteva che avere questo effetto. A questo punto, però, una domanda sorge spontanea: perchè le riforme proposte da Boeri-Garibaldi e Pietro Ichino dovrebbero produrre effetti diversi? Anche con queste riforme mi aspetterei una stretta sulle assunzioni.

  11. merco

    Se non sbaglio il modello difference-in-differences richiede che i due campioni siano ex-ante uguali, altrimenti potrebbe esserci qualche altra variabile omessa che determina il risultato in aggiunta o sostituzione della riforma Fornero.

  12. alberto lanza

    La riforma fornero tra i suoi principali obiettivi dichiarati aveva quello di arginare il ricorso a contratti di lavoro precarizzanti utilizzati, spesso, in modo elusivo; i dati confermano che l’obiettivo, in parte, era legittimo. Certo l’assenza di un processo di stabilizzazione, da raggiungersi magari attraverso l’introduzione di un contratto unico o prevalente a tutele crescenti, è il grande assente della riforma ma si sapeva e si sa. La criminalizzazione della riforma del lavoro (non mi riferisco certamente all’autore dell’articolo) va, comunque, respinta anche in considerazione della consapevolezza che, pur in un momento di grande crisi, un’autentica ripresa del mercato del lavoro non possa auspicarsi attraverso il ritorno a formule contrattuali (contratti parasubordinati in luogo di genuini rapporti di lavoro subordinato, contratti intermittenti usati indiscriminatamente in modalità non discontinua) più precarie che autenticamente flessibili in grado, semmai, di migliorare qualche valore statistico ma certamente non la struttura del mercato del lavoro e la vita delle persone.

  13. GOSSNER JOHANN

    Si licenzia perchè non c’è lavoro per le imprese. Non si assume perchè i contratti di lavoro italiani sono eccessivamente vincolanti e rigidi.
    Cambiamo il concetto di giusta causa; rendiamolo meno aleatorio e soggetto alla libera interpretazione del giudice in sede di contenzioso giudiziario; Cosa vuol dire licenziamento per giusta causa ? Non sarebbe meglio adottare il sistema inglese dove non esiste un concetto così vago ma il licenziamento è basato su parametri oggettivi: ad esempio, 3 richiami sulla stessa manchevolezza individuale nell’arco di 6 o 12 mesi. Al terzo richiamo scatta il licenziamento e la giusta causa può essere provata dall’impresa davanti al giudice basandosi su parametri oggettivi stabiliti dalla norma.
    Consentiamo che alcuni aspetti del contratto di lavoro, ad esempio la durata del periodo di prova, possa essere contrattata tra le parti con un periodo massimo pari, ad esempio al 20 % della durata del contratto. Inseriamo il contratto di prova nel ns. ordinamento; ciò permetterebbe alle aziende di conoscere meglio la persona prima della Sua assunzione definitiva. Insomma rendiamo più fluidi e commerciali i rapporti di lavoro, favorendo la responsabilizzazione del lavoratore e del datore di lavoro. Il lavoratore rimane comunque tutelato, soprattutto dalla sua professionalità e capacità di essere un valore per l’impresa. L’impresa non licenzierà mai un lavoratore valido che rispetta la propria mansione.
    Abbassiamo anche il peso del cuneo fiscale sul costo del lavoro, ridistribuendolo a favore di un aumento delle buste paghe, portando l’aliquota di tassazione minima dal 23% al 15%. Poche cose di buon senso che vanno incontro alle esigenze di imprese e lavoratori….. Lo Stato, preoccupato solo della propria cassa, vorrà concedere all’economia la libertà di cui necessita ?

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