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Marchionne corre su una strada stretta e tortuosa

Tramontata l’idea di ridurre in modo concordato la capacità produttiva dell’industria automobilistica europea, Marchionne punta su Panda e 500, ma soprattutto su Alfa Romeo e Maserati. Con una strategia che potrebbe anche avere successo, al prezzo però di snaturare i marchi. Il nodo dell’Alfa.
STRATEGIA AD ALTO RISCHIO
La strategia di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat-Chrysler, per il rilancio del gruppo è ad alto rischio. Non a caso, l’ad stesso la definisce not for the faint-hearted, non per i deboli di cuore.
La sovracapacità installata in Europa nell’auto è stimata in 25 milioni di pezzi. La UE ha rinunciato all’idea di ridurla in modo concordato. È prevalsa la visione tedesca: chi fa buone auto a prezzi competitivi le vende e ci guadagna. Chi non ci riesce, chiuda lui, senza imporre inconcludenti negoziati agli altri. E poi, come mettersi d’accordo su chi dovrebbe chiudere, su dove allocare le produzioni con più margine e aggregare le essenziali catene di subfornitura? Il negoziato fallirebbe spianando la via al nazionalismo protezionista.
Gli Usa, dove tale piano è riuscito, sono una repubblica federale. L’Europa aveva sì concordato, in tempi meno aspri e quando ne aveva il potere, tagli di capacità nelle acciaierie, che però sono impianti di processo, quasi senza indotto. L’auto è prodotto complesso che traina intere filiere; per non perderle, dalla Polonia alla Spagna si scatenerebbe la guerra, rispetto alla quale anche una guerriglia di sussidi (pur sempre vietati) sarebbe il male minore.
Marchionne ne ha preso atto e il suo ultimo piano (l’ottavo in otto anni) quasi rottama il nome Fiat puntando su Panda e 500 come marchi autonomi, ma soprattutto su Alfa Romeo e Maserati. Le ultime due dovrebbero crescere molto, fra Suv e utilizzi incrociati (con Chrysler) delle piattaforme; si punta quindi sull’alto di gamma, un’acrobazia al trapezio, senza rete. È vero che in questi segmenti si guadagna di più, ma ciò richiede anni di grandi investimenti e un’ossessiva coerenza nella cura dell’immagine del marchio. Si veda il pluri-decennale lavoro di Volkswagen sull’Audi, che trenta o quaranta anni fa era un marchio debole e senza identità. Solo con questo lavoro si possono ottenere risultati durevoli sui segmenti alti, quelli che i nostri governi, premuti da Fiat, hanno tartassato con ogni mezzo. Ed è appunto dai segmenti alti che arrivano i profitti con i quali Volkswagen sussidia una politica di prezzi stracciati sul basso di gamma che strozza i produttori di quelle auto, come Fiat e in parte anche Peugeot, alle prese con mercati domestici in grave affanno.
Marchionne invece ha un approccio americano, vede i marchi come tasti di una tastiera su cui la fantasia può sbizzarrirsi, non curandosi della coerenza nell’immagine di marchio. Così facendo riuscirà sì, pur con i bassi volumi attuali, a sfruttare qualche economia di scala, seppur inferiore a quelle dei “giganti”. Ma lo farà a spese dei marchi, che in tal modo si snaturano e scolorano. Un significativo dettaglio: Marchionne punta su Mazda per realizzare la nuova versione del mitico “Duetto” e in Europa il motore nel cofano sarà Alfa, ma si dice che altrove i modelli potrebbero avere un propulsore Mazda. Per i mercati mondiali questo nuovo “Duetto” sarà dunque un’Alfa, un’Azda, o cosa? La catena di subfornitura poi non è un dettaglio: se sarà in Asia, l’immagine del marchio ne verrebbe ulteriormente confusa.
LA QUESTIONE ALFA
Chissà, forse nel breve periodo la tattica americana della tastiera potrebbe rivelarsi più vantaggiosa della strategia tedesca; con i pochi soldi a disposizione si fa quel che si può, è vero, ma in un settore come questo non esistono scorciatoie. E la scommessa di puntare tutto sul segmento alto, in queste condizioni, è ancor più rischiosa di quella su Chrysler, con la quale Marchionne ha osato e vinto, salvando la Fiat.
A proposito di Alfa: Volkswagen, si sa, vorrebbe comprarla e produrre nuovi modelli in un impianto italiano, che rileverebbe da Fiat. Marchionne però non ci sente: dopo aver in passato “sparato” una richiesta di 20 miliardi, ha infine risposto facendo proprio dell’Alfa un tassello essenziale del nuovo piano.
L’Alfa è sua e la Fiat ha diritto di tenersela stretta, magari sbiadendone del tutto il marchio, pur di non veder parcheggiare Volkswagen nel cortile di casa. Ma l’Italia non è un cortile: il Governo, l’esistente o quello che verrà, faccia valere gli interessi del paese, parlando forte e chiaro. Fiat lo deve all’Italia che tanto le ha dato: venda l’Alfa a chi ha i soldi per farla crescere senza snaturarla. Potrà usare l’incasso per sostenere gli investimenti sui nuovi modelli. Così si smentirà anche il sottotesto di tante uscite, per le quali da noi si lavora poco e male. In Germania, dove conoscono gli operai italiani, ne hanno un’idea migliore: magari grazie a un gruppo tedesco e a operai italiani risorgerà la nostra industria automobilistica.
Di recente Luca di Montezemolo ha riconosciuto che la Fiat, acquistando l’Alfa per stoppare la Ford (nel 1986), sbagliò. Venderla ora farebbe bene anche a Fiat-Chrysler: meglio farlo, senza aspettare che fra venti anni qualcuno ammetta l’errore.
Se invece Fiat-Chrysler vuole tenersela e puntare sull’alto di gamma, dovrà investire un sacco di soldi: se, come pare, a Torino e a Detroit non sanno dove trovarli, potrebbero cominciare a chiedere alla famiglia Agnelli/Elkann notizie sul miliardo di euro che l’avvocato Giovanni Agnelli – secondo la procura di Milano che indagava su fatti legati alle liti per la spartizione della sua eredità – avrebbe imboscato fra Svizzera e Liechtenstein. Quel tesoretto, di cui evidentemente si ritiene sconveniente o poco elegante parlare, è frutto, con tutta probabilità, di vaste appropriazioni di “benefici privati del controllo” da parte della famiglia reale: se così fosse davvero, quei soldi non spetterebbero all’uno o all’altro dei rami familiari in guerra, ma sarebbero stati sottratti alle imprese (finanziarie o manifatturiere) del gruppo. Ed è lì che dovrebbero tornare. Ci sarebbe poi l’aspetto fiscale, ma in Italia è un dettaglio: quel tesoretto sarà stato, previdentemente, quanto anonimamente, “scudato”.

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14 commenti

  1. Luis

    Io penso che la Fiat vada venduta tutta. Il mercato è troppo maturo e la competizione spietata per poter reggere. Prima che il mercato auto americano ritorni in recessione sarà opportuno vendere magari alla Cina o alla stessa Germania che, come scritto, conosce gli operai italiani che numerosissimi hanno lavorato e lavorano in Germania

  2. enzo

    bei tempi quando berlusconi suggeriva di mettere il marchio ferrari sulle punto…

  3. jorge

    Prego rettificare il valore della sovra capacità nelle auto in Europa: in totale si producono circa 15 milioni di auto l’anno… di certo non si ha una sovra capacità di 25 milioni!

    • Andrea

      Appunto..probabilmente è proprio questo il fatto.
      Si parla di sovracapacità installata non di produzione! Si hanno impianti troppo grandi per la produzione effettiva. Correggetemi se sto dicendo una stupidità.

      • jorge

        Corretto: un eccesso di capacità come quello indicato significa che si potrebbero produrre 40 milioni di auto invece delle circa 15 prodotte, con un utilizzo della capacità produttiva del 37%. Una situazione simile è irrealistica per un settore industriale. Infatti da fonte autorevole, pur se non recentissima, vedo indicato un valore ben più verosimile di eccesso di capacità (4,4 milioni): http://www.reuters.com/article/2012/03/02/europe-autos-idUSL5E8E22TV20120302

  4. Paolo

    Ma stiamo ancora, dopo tre anni, a raccontare le favolette di Hansel e Gretel nella casetta di marzapane? Comprensibile la volonta’ di essere proni al passaggio del Padrone, ma che la ex Grande Azienda Italiana abbia smesso da tempo di fare automobili dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Manca solo, nell’analisi, il coro che celebra le magnifiche sorti progressive di Fabbrica Italia, perbacco! Onestamente, ci si spetterebbe un po’ piu’ di schiena diritta da economisti accademici: l’esperienza FIAT si e’ chiusa, e non da oggi. Quello di cui si parla e’ una storia di cure compassionevoli per un malato che si avvia alla sua fine. Naturale o voluta e’ cosa opinabile, ma che sia terminale non e’ in discussione, a mio parere.

  5. Forza Sergione!;)

    Per nulla d’accordo, c’è un enorme poteziale che può esprimere Fiat-chrysler! Voler puntare su Alfa e Maserati è una mossa di buon senso, che forse andava iniziata prima! Per quanto a coerenza è più corente fare la nuova duetto con Mazda che fa la MX-5/Miata da oltre 20 anni (la spider più venduta nella storia, ispirata proprio alle classiche alfa), che fare una golf e farla diventare una A3 (e fartela pagare 4-5000 euro in più) o fare una tuareg e poi fare una Cayenne (senza nemmeno cambiare le portiere e fartela pagare fino a 50000 euro in più!). L’unica cosa che è in grado di fare VW molto bene è marketing ed essere molto conservatrice sul prodotto…Purtroppo le case latine (francesi e italiane) da sempre in tecnologia e stile hanno rischiato molto…e putroppo questo non conquista più il consumatore medio e poco informato! Spero vivamente che la Fiat torni forte come lo era 20-30 anni fa, quando questi articoli i giornalisti li dedicavano alla spacciata VW! Spero che mai e poi mai Fiat sia ceduta ad una casa straniera, se supera questa crisi europea che mieterà putroppo vittime eccellenti, tra cui Opel come prima della lista, ritornerà ad essere sicuramente uno dei più forti gruppi al mondo!

  6. Federico

    BUonasera. ho alcune perplessità. Soprattutto in merito all’assunto per cui “il Governo” dovrebbe fare “valere gli interessi del paese, parlando forte e chiaro. Fiat lo deve all’Italia che tanto le ha dato: venda l’Alfa a chi ha i soldi per farla crescere senza snaturarla. Potrà usare l’incasso per sostenere gli investimenti sui nuovi modelli.”. A fronte di un eccesso di capacità – che non può, evidentemente, essere rappresentato da 25 milioni di “pezzi”, ma semmai in circail 20% di tale cifra, ossia 4.4,5 milioni, – è che il gruppo continua a generare perdite in Italia (circa 1/4 dell’eccesso). Per questo è opportuno un riposizionamento nel mercato europeo, innalzando la gamma dei prodotti e abbandonando le roccaforti tradizionali del segmento medio (ormai in fase recessiva).Pensiamo a costruttori (Gruppo PSA) che hanno investito centinaia di milioni su nuovi prodotti. Non mi pare che sia un buon momento per ragionare in modo diverso. Più che suonare i tasti della tastiera, direi che si tratta di ragionare da manager su scala planetaria, ed andare alla conquista dei vari mercati con gli strumenti di cui si dispone. Fiat è indietro sui modelli di fascia media da un po’ prima dell’arrivo di Marchionne., ed è indubitabile che sia stata compiuta una “ibridazione” di taluni modelli per questioni di economia di scala. Per chiudere, siamo sicuri, che un eventuale acquirente di Alfa (che sta per il momento puntando su nuovi modelli sportivi) manterrebbe la produzione in Italia? Opinabile, e francamente preferisco glissare, il riferimento in coda a tesoretti “imboscati”. Saluti

  7. aldo

    Non sono assolutamente d’accordo , vedo che Bregantini fa proprie le tesi di Mucchetti, grande fan della vendita dell’AR a VW .- Spero che Marchionne investa molto nell’Alfa , che è un pezzo di storia italiana , come la Fiat.- Come non comprerei mai un Maggiolino fatto dalla Fiat, cosi’ non comprerei mai un’AR fatta dalla VW ! E poi basta con la Germania che si compra tutte le aziende italiane !

  8. L’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili – ROMEO o è italiana o non è. Non vale l’esempio Lamborghini: aveva know how da portare in AUDI. Alfa Romeo non ce l’ha. E’ in tutto e per tutto componentistica FGA. Sono finiti i tempi della Giulia TI o della 33 stradale -vedasi la fine ingloriosa della Lancia e la sorte riservata al suo know how nei rally (Delta S4–>doppia sovralimentazione–>motore VW 1.4 tfsi vent’anni dopo). E, per pietà, parli di auto chi ama la meccanica, la bellezza, la potenza e la velocità: un’auto è un oggetto emozionale, non un mezzo di trasporto. Per quello ci sono autobus, treni e metro.

  9. Fabio

    Gentile Autore e Gentili Commentatori,
    Se posso esprimere un mio parere sulla vicenda FIAT, ritengo che non sia nient’altro che l’ennesima mancata occasione di fare bene (come direbbero gli amati calciatori di serie a).
    Si guardi al caso della 159, auto nata sotto la guida di Marchionne che però lamenta problemi di peso e di un certo “insuccesso”.
    La 500 invece è stata un successone, pur riconoscendo che dalla 500 in avanti certe auto Fiat iniziano a costare…..essendo prodotte poi in Polonia, operaio a circa 300-400euro al mese immaginatevi ora quanto è forte la logica liberalista per delle auto vendute poi a 14mila-18mila euro.
    Personalmente, ritengo che la Fiat debba investire di più su prodotti dei marchi nostrani (Fiat,Lancia,Alfa,Abarth), cercando comunque di fare concorrenza alle tedesche.
    Un esempio? molti dicono che la 159 non può concorrere con la A6….ma allora perché non è nemmeno uscita una versione cross road come fu per la precedente 159 ovvero la 156?
    Vendere la Alfa, sarebbe un immenso regalo alla VW e alla Germania in quanto già gli amici tedeschi dispongono della Lamborghini e se non sbaglio della Ducati.
    Non tanto per una questione di italianità (già la Fiat stessa non è più italiana da mò) ma per una questione di rinforzo della VW…..
    Ci vogliono investimenti, non solo sui prodotti ma anche sulle persone in quanto molti bravi manager fiat, sono andati a lavorare in VW (Da Silva, De meo, ecc)….
    Un caso a parte? o tutto concatenato?

  10. Salvatore Bragantini

    Solo ora riesco a leggere i commenti. Quanto alla sovracapacità chiedo scusa per l’evidente lapsus calami, sono 5 (cinque) e non 25 (venticinque) milioni.

  11. Walter Mancuso

    Perfettamente d’accordo, ottima analisi, nulla da eccepire. Complimenti

  12. luigi zoppoli

    È palese che l’autore difetta di competenza nell’automotive e non è informato di quanto il gruppo sta facendo sui Brand in USA. La stessa attività su 500 e Panda smentisce l’autore. Molto rimarrebbe da dire ma non vale la pena se non ricordare che potrebbe rivolgere a Romiti e co. le sue osservazioni sui rapporti orrendi tra casa e stato. In ultimo fuor di luogo la demagogia davvero inutile ed a buon mercato su Agnelli ed il miliardo all’estero. Vero o meno non c’entra una mazza con una qualunque analisi.

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