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Parole nuove al Consiglio europeo

Il Consiglio europeo del 14 e 15 marzo è stato positivo. Ha gettato alcune basi che potrebbero costituire la piattaforma per avanzare con maggiore decisione dopo le elezioni tedesche. Pur con grande cautela, si parla finalmente di risanamento di bilancio “differenziato e favorevole alla crescita”.
UN CONSIGLIO IN SORDINA
Il Consiglio europeo del 14-15 marzo è stato largamente ignorato dalla stampa. Dopo aver dipinto l’incontro come una decisiva prova di forza sul tema “crescita versus austerità”, l’assenza di conflitti ha fatto subito scemare l’attenzione. L’accordo raggiunto dall’eurogruppo, all’indomani del Consiglio europeo, sulla spinosa questione di Cipro ha poi comprensibilmente spostato l’attenzione su questa nuova mina vagante nel Mediterraneo. (1)
L’assenza di scontri e il tono conciliante di questo Consiglio europeo è invece una notizia di per sé. Come lo è il fatto che i leader siano stati disposti ad ascoltare – si dice attentamente – due dettagliate presentazioni power point, per un totale di 34 diapositive, da parte del presidente della Bce Mario Draghi e della Commissione europea José Manuel Barroso. I toni più pacati e la maggiore attenzione all’analisi dei problemi di fondo è almeno in parte attribuibile alle preoccupazioni sollevate dal voto in Italia e alle diffuse proteste altrove, in un sia pur tardivo riconoscimento di dover lanciare almeno un segnale.
E il segnale in effetti è stato dato, sia pure nei termini sommessi tipici di tali deliberazioni. È vero che le richieste – anch’esse assai tardive – contenute in una lettera del presidente del Consiglio Mario Monti, a favore di una “flessibilità controllata” del processo di aggiustamento, sono state solo in parte accolte. Ma le conclusioni del Consiglio hanno comunque posto l’accento su vari elementi di flessibilità, scegliendo di enfatizzarli. Il comunicato parla così di un risanamento di bilancio “differenziato e favorevole alla crescita”, apre alla necessità di “misure mirate a breve termine per promuovere la crescita e sostenere la creazione di posti di lavoro” e ricorda le possibilità già offerte dalle regole europee per “equilibrare la necessità di investimenti pubblici produttivi con gli obiettivi della disciplina di bilancio”.
Sono sicuramente parole caute, che si limitano a quanto già consentito, ma sarebbe sbagliato sminuire il fatto che abbiano trovato posto nel comunicato finale, sopravvivendo indenni al processo di revisione della bozza pre-vertice. Questo Consiglio europeo era chiamato a fornire l’orientamento strategico per i piani di stabilità che verranno elaborati dagli Stati membri nel periodo a venire. Il risalto dato agli elementi di flessibilità sarà certo ricordato e invocato dai paesi che vorranno farne uso, e sarà più difficile por loro ostacoli.
DALLE PAROLE AI FATTI
Più importante dei proclami di un comunicato è naturalmente quanto avviene sul terreno. E qui, proprio durante il vertice, la troika dei creditori ha rilasciato una dichiarazione sul Portogallo che riconosce che “l’indebolimento delle prospettive di crescita richiedono una correzione del percorso di aggiustamento dei conti pubblici (…) in modo da permettere il gioco degli stabilizzatori automatici”. (2) Si tratta (finalmente) della dovuta enfasi su obiettivi di bilancio espressi in termini strutturali (cioè aggiustati per il ciclo).
Purtroppo però i target nominali continuano a prevalere nell’esercizio di peer pressure. Così, pochi giorni prima del vertice, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha dichiarato: “Si può sempre discutere di dettagli – l’aggiustamento in termini strutturali piuttosto che nominali – ma alla fin fine gli obiettivi nominali sono più visibili”. Certo, ma sono anche sbagliati quando la crescita diverge dal previsto, accentuando le fluttuazioni cicliche, sia nelle fasi di espansione che in quelle recessive. È stata proprio l’adesione a obiettivi nominali a condurre a un indebito stimolo fiscale durante il boom spagnolo, inasprendo gli squilibri. Finché l’enfasi nella conduzione della politica di bilancio europea non si sposta decisamente a favore dell’aggiustamento strutturale – non solo de jure (come già in parte il caso), ma anche de facto – questa deleteria propensione prociclica continuerà a minare l’approccio europeo.
Fortunatamente, a Consiglio già concluso, è arrivata un’altra utile manifestazione di flessibilità attuata in pratica. Il 16 marzo, l’eurogruppo ha infatti deciso di allungare le scadenze dei prestiti Efsf a Irlanda e Portogallo. L’anelito politico di estrarre almeno qualche “success story” da questa lunga crisi comincia a dare risultati concreti.
Nel suo complesso, quindi, un Consiglio europeo pacatamente positivo. Peccato che decisioni poche oculate su Cipro, prese poi dall’eurogruppo, rischino di oscurarne l’esito. Sono state comunque gettate basi positive, che potrebbero costituire la piattaforma per avanzare con maggiore decisione dopo le elezioni tedesche. A quel punto, si spera, anche l’Italia avrà un quadro politico meno imprevedibile.
(1) Detto per inciso, è difficile comprendere come l’Fmi possa ritenere che la soluzione adottata per Cipro distribuisca “in modo appropriato l’onere di aggiustamento”. Nelle sue dimensioni, la misura fa impallidire il controverso “prelievo Amato” del luglio 1992, che fu dello 0,6 per cento contro l’attuale 6,75-9,9 per cento a Cipro.
(2) L’obiettivo di disavanzo per il Portogallo è stato così ampliato dal 4,5 al 5,5 per cento del Pil nel 2013, e dal 2,5 al 4 per cento del Pil nel 2014.

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Cipro: un altro pasticcio europeo

  1. marco

    Rido per non piangere…Siamo alla follia! Il comunicato parla di ” risanamento di bilancio “differenziato e favorevole alla crescita””-Ebbene questa frase è un paradosso un assurdo logico del fumo buttato negli occhi dei milioni di cittadini che non sono tecnici dell’economia – Sarebbe come dire che bisogna essere velocissimi in un rettilineo frenando molto- Se io voglio essere veloce che senso ha frenare ? L’esempio del Giappone, Keynes, tutte le crisi ci insegnano che è errato risanare i conti pubblici e che farlo in un periodo di crisi è una follia, si innesca la deflazione e si distrugge il tessuto produttivo industriale; in tempi di crisi lo stato deve fare politiche a deficit! Se l’Eurozona chiede all’Italia 90 miliardi all’anno di aggiustamento conti e gliene restituisce 30 da spendere in opere pubbliche significa che lo Stato italiano sottrarrà 60 miliardi ai suoi cittadini…Come fa uno Stato a crescere se lo Stato chiede ai suoi cittadini più soldi di quelli che da? La Cina l’Australia e compagnia bella crescono perchè lo stato inietta nell’economia più soldi di quelli che chiede gestendo in modo oculato la sovranità monetaria…e un paese a moneta sovrana, il Giappone ce lo insegna, non ha difficoltà a finanziare il debito e può spendere quanto vuole compatibilmente con l’inflazione

    • Piero

      L’Europa politica non esiste, non è altro che un contratto chiamato “Europa” dove i singoli paesi fanno i loro interessi, per primi la Germania che hanno anche lo sconto sulla contribuzione europea. Il contributo europeo e’ inferiore all’1% del Pil europeo, perché se non vi è l’unità politica i singoli paesi si sono privati della politica monetaria? A vantaggio di chi?
      Oggi o si fa l’unione politica (impossibile) o si fa una politica monetaria espansiva (impossibile) o si esce dall’euro (probabile) o si muore.
      Gli impegni assunti con il fiscal combact non possono essere rispettati a distanza di meno di un anno, che calcoli ha fatto sei mesi fa Monti?
      Come può stare Monti ancora come capo di un governo?
      Sono state inondate di liquidità le banche per non farle chiudere, ma le imprese sono quelle fanno crescere il Pil, ancora una volta si preferisce l’economia finanziaria a quella reale, perché?
      Se vuole lo stato come ha garantito per circa 200 mld il collaterale dato dalle banche in garanzia al prestito della Bce al tasso dell1%, può garantire i crediti delle imprese verso il sistema bancario per l’equivalente importo delle banche,; le imprese a questo punto possono risolvere il problema della liquidità e andare avanti nella produzione di beni e servizi ( lo stato potrebbe concedere tali garanzie per un limite pari ad una percentuale del fatturato medio degli ultimi tre anni, obbligando le imprese a non distribuire i dividendi fino a che tali garanzie non vengono estinte). Se si vuole aiutare le imprese vi sono le soluzioni, manca la volontà e la competenza.

  2. Fabio

    Questo articolo mi disorienta. Ho appena letto un commento di Angelo Baglioni (Europa in stallo), che considera le conclusioni del Consiglio un atto notarile, dove “si prende atto di iniziative avviate e non ancora concluse, di obiettivi da raggiungere non si sa come”.
    Qui si dice invece che a Bruxelles e dintorni va tutto bene. Va bene anche la pluralità delle opinioni, ma uno dei due ha preso una cantonata e ce la vuole raccontare. Mi volete chiarire?

  3. La timida percezione delle esigenze congiunturali, accanto a quelle strutturali,manifestate dal Consiglio europeo, è poca cosa rispetto alla cecità di fondo della politica europea. I Pricipali Paesi del mondo – USA in testa – hanno compreso la gravità della crisi attuale ed hanno adottato misure di sostegno, oltre che di correzione, facendo largo ricorso all’immisione di moneta da parte delle rispettive banche Centrali. Ciò non ha provocato la temuta inflazione – e come poteva in economie in recessione e credit crunch !. La politica europea è vittima di una irrrazionale psicosi che non le consente di vedere quello che succede nel resto del mondo e paga per questo un prezzo altissimo con il collasso dei paesi più esposti e l’indebolimento di tutti gli altri.

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