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AfCFTA, la più grande area di libero scambio al mondo

L’African Continental Free Trade Area coinvolge 54 paesi. Sarà un volano di sviluppo per il continente perché favorirà il commercio intra-africano. A patto, però, di migliorare le infrastrutture e l’accesso al credito per il settore privato.

L’integrazione africana

Il 2021 si è aperto con l’avvio dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), la più grande area di libero scambio al mondo per numero di stati membri. Entrata in vigore nel maggio 2019 dopo la ratifica dei primi 22 paesi, finora l’accordo è stato firmato da 54 stati e ratificato da 36 (figura 1).

L’esordio dell’AfCFTA arriva trent’anni dopo l’istituzione della Comunità economica africana, nata nel 1991 con il Trattato di Abuja. Quel trattato propose la creazione di comunità economiche regionali in vista di un’integrazione prima regionale e poi, eventualmente, continentale. Nate come blocchi commerciali e divenute poi fondamentali anche per mantenere pace e stabilità all’interno delle regioni e per progetti a lungo termine come la New Partnership for Africa’s Development o l’Agenda 2063, le comunità oggi riconosciute dall’Unione africana sono otto.

Dalla tabella 1 si può notare come vi siano stati che appartengono a più blocchi. È una sovrapposizione che crea difficoltà per il commercio. Per esempio, appartenere a più comunità implica il rispetto di più requisiti per lo stesso prodotto da esportare. Inoltre, degli otto blocchi, solo tre hanno fatto significativi passi avanti verso un’area di libero scambio e un’unione doganale. Il commercio intra-regionale resta perciò limitato, anche a causa di scarsa diversificazione e complementarietà tra i paesi africani. Tuttavia, utilizzando le comunità regionali come “building blocs”, l’AfCFTA promette una maggiore integrazione economica, stilando protocolli su aree di intervento non toccate dai blocchi regionali, come investimenti, libera circolazione delle persone e proprietà intellettuale.

I benefici attesi

Tramite l’eliminazione progressiva di oltre il 90 per cento dei dazi, la riduzione delle barriere non tariffarie su beni e servizi seguendo la reciproca applicazione del principio della nazione più favorita (i paesi si riservano reciprocamente il trattamento più favorevole che abbiano mai concesso su un dato bene) e l’adozione di misure volte a facilitare il commercio, la Banca Mondiale ha stimato che, entro il 2035, il continente vedrà un aumento del reddito pari al 7 per cento, ovvero 445 miliardi di dollari (figura 2). Di questi, oltre il 60 per cento deriva dalle misure di agevolazione del commercio, come la riduzione della burocrazia, la semplificazione delle procedure doganali e una più facile integrazione delle aziende africane nelle catene globali e regionali del valore.

La riduzione dei dazi potrebbe tuttavia avere un effetto negativo sulle casse statali, riducendo le entrate; per quasi tutti i paesi il calo rimarrà però limitato a meno dell’1,5 per cento e compensato dal miliardo di dollari mobilitato dalla African Export-Import Bank, un’istituzione finanziaria multilaterale panafricana per il finanziamento e la promozione del commercio intra ed extra africano.

Il libero scambio potrebbe poi sollevare 30 milioni di persone dalla povertà estrema. Se si considera la poverty headcount ratio, ossia la quota di popolazione che vive con un reddito al di sotto della soglia di povertà, nel 2035 l’AfCFTA potrebbe contribuire a ridurre la percentuale di cittadini africani in situazione di povertà sia estrema sia moderata (figura 3). Inoltre, è previsto che la piena attuazione dell’accordo crei migliori opportunità per i lavoratori non qualificati e per le donne, che vedranno un aumento dei salari di oltre il 10 per cento rispetto allo scenario di base nel 2035 (figura 4).

In termini monetari, il commercio entro i confini del continente potrebbe crescere di 238 miliardi di dollari nel 2035 rispetto allo scenario di base, arrivando a 532 miliardi. Un aumento significativo e importante per un continente che, nel 2019, vedeva solo il 14,4 per cento del proprio commercio avvenire entro i confini continentali, contro il 73 per cento del commercio intra-europeo e il 52 per cento di quello intra-asiatico. Dal 2020 al 2035, le esportazioni all’interno del continente passeranno, secondo le previsioni, dal 12 per cento al 21 per cento, per un aumento dell’81 per cento rispetto allo scenario di base, mentre le esportazioni extra-continentali cresceranno del 19 per cento. Parallelamente, le importazioni dovrebbero aumentare del 102 per cento nel 2035 rispetto al 2020, passando dal 12 al 25 per cento nei prossimi quindici anni (figura 5). Le importazioni da paesi non africani dovrebbero ridursi invece di sette punti percentuali, dall’82 al 75 per cento.

Sia l’export che l’import saranno trainati principalmente dal settore manifatturiero: per esempio, le esportazioni del settore verso il continente africano aumenteranno del 110 per cento. Oggi, il 76,7 per cento delle esportazioni verso l’Unione europea e l’88,9 per cento di quelle verso la Cina sono in beni intermedi. Al contrario, le esportazioni da paesi africani verso altri paesi africani comprendono il 62 per cento di input intermedi e il 38 per cento di beni per la domanda finale. La crescita del commercio intra-africano potrebbe fornire ai paesi del continente maggiori opportunità di esportare prodotti sofisticati e trasferire conoscenza e una maggiore integrazione entro le catene del valore globali, aumentando la qualità e la diversificazione delle esportazioni, con effetti positivi per l’economia, come maggiore inclusione delle piccole e medie imprese, innovazione e produttività.

L’importanza del Trattato alla luce del Covid-19 

I numeri della Banca Mondiale sull’aumento del commercio potrebbero non essere pienamente rappresentativi della realtà, a causa del commercio transfrontaliero informale e non registrato, ampiamente diffuso nel continente, svolto principalmente da donne e importante nel favorire occupazione, crescita e riduzione della povertà. Il Covid-19 e la conseguente chiusura di molti confini ostacolano questo tipo di scambio, rendendo ancor più importante l’AfCFTA che, riducendo i costi del commercio, potrebbe indirettamente portare verso la formalizzazione di quello informale.

Inoltre, il Covid-19 ha reso ancora più chiara la dipendenza dei paesi africani dai partner extra-continentali. Per esempio, con oltre il 90 per cento dei farmaci che viene importato da paesi non africani (figura 6), il minore accesso alle forniture di medicinali (a causa della chiusura di impianti di produzione in Cina e in India), l’aumento dei prezzi e il divieto alle esportazioni di materiali farmaceutici istituito da diversi paesi per far fronte dell’aumento di domanda interna hanno messo in difficoltà il continente. L’AfCFTA offre un’opportunità per favorire la crescita dell’industria farmaceutica africana e limitare le vulnerabilità del continente.

Le difficoltà

La pandemia ha dunque aumentato l’importanza dell’AfCFTA per l’Africa, duramente colpita dalla crisi. Tuttavia, ci sono diversi aspetti che devono essere tenuti in considerazione per permettere la piena e corretta attuazione dell’accordo e rendere realtà i benefici ipotizzati.

Il primo aspetto è la consapevolezza: fino a pochi mesi fa infatti, solo circa un quarto delle aziende intervistate in Nigeria e in Gambia si diceva a conoscenza dell’AfCFTA.

Altri problemi seri riguardano poi il miglioramento delle infrastrutture e l’accesso al credito. Secondo il Fondo monetario internazionale, l’inadeguatezza delle infrastrutture e il limitato accesso al credito per il settore privato, insieme alle barriere tariffarie, sono tra i maggiori ostacoli presenti nell’Africa sub-Sahariana al commercio intra-africano. Il Segretariato dell’AfCFTA ha recentemente ribadito l’urgenza di migliorare le infrastrutture, sia hard che soft, senza le quali si ridurrebbe l’intero significato dell’accordo. E l’African Export-Import Bank ha insistito sulla importanza dell’accesso ai finanziamenti per le Pmi del continente, che rappresentano l’80 per cento delle imprese africane. Benché non direttamente toccati dall’Afcfta, sono ostacoli che devono essere affrontati se si vuole far sì che la più grande area di libero scambio al mondo porti davvero verso “the Africa we want”.

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Il Punto

  1. Nasce in primo luogo una domanda: è l’Africa che ha bisogno dell’Europa, o è l’Europa che ha bisogno dell’Africa ? Tutte e due hanno bisogno l’una dell’altra ! Il libero scambio è un tema difficile e richiede consapevolezza e disponibilità al libero scambio proponendo partnership industriale e tecnologico avanzato ovvero beni intangibili e tangibili in grado di cogliere insieme le opportunità che consento una vera crescita economico-sociale sostenibile con utilizzo delle materie prime dell’Africa con finalità operosa della reciprocità, ovvero crescita insieme smettendo di considerare l’Africa un ricettacolo di tecnologie dismesse in Europa e pattumiera dei rifiuti di ogni ordine e genere e mercato dipendente. Engineer Orlando Lozzi DT R&S MIT Srl web http://www.mitenergia.it

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